Per oltre un decennio, l'industria digitale ha sviluppato una dipendenza quasi totale dai cookie di terze parti e da Google. Quella che una volta era una soluzione efficiente si è trasformata in un freno all'innovazione, perpetuando disuguaglianze e minando la fiducia degli utenti. Nonostante gli annunci di Google, dal 2020 a oggi (e siamo nel 2025), la situazione rimane nebulosa.
È sorprendente notare come il settore abbia "normalizzato" questa attesa, operando al ritmo imposto da un'unica azienda. Ma le alternative esistono e il cambiamento è già in atto. Realtà all'avanguardia come i principali media europei, le maggiori agenzie pubblicitarie, le società di consulenza e i brand più importanti stanno già adottando modelli più responsabili.
Un mandato, non una tendenza: la privacy al primo posto
In un contesto in cui il 70% dei cittadini europei percepisce un eccessivo potere delle grandi aziende tecnologiche sui propri dati, questa transizione non è solo necessaria, ma urgente. Come professionista del marketing, ma anche come utente e genitore, sento la responsabilità di contribuire a un nuovo modello: uno che non si basi su un tracciamento opaco, ma su relazioni di fiducia e trasparenza.
Oggi abbiamo gli strumenti per misurare, segmentare e personalizzare grazie a tecnologie etiche, senza cookie di terze parti e senza sorveglianza inutile. Ciò che manca non è la capacità tecnica, ma una volontà collettiva. Non possiamo più temporeggiare: è il momento di agire. Mentre la pressione normativa aumenta e la portata dei cookie si riduce, l'industria deve liberarsi dal controllo monopolistico e abbracciare alternative che diano priorità alla privacy e al consenso, costruite per un internet aperto e affidabile.
I cookie sono superati, il futuro è multi-segnale
L'industria ha passato gli ultimi cinque anni a prepararsi alla fine dei cookie di terze parti. Il motivo è semplice: non funzionano più. Perdono dati, rallentano il web, offrono tassi di corrispondenza scarsi e lasciano gli editori all'oscuro del proprio pubblico. Mantenere questa tecnologia obsoleta non risolve la sfida della privacy, la prolunga. I cookie di terze parti sono una reliquia di un'era precedente all'obbligo di consenso dell'utente, quando la governance dei dati era meno rilevante e i regolatori non avevano ancora imposto una vera responsabilità. Non possiamo costruire un futuro che dia priorità alla privacy sulle infrastrutture di ieri.
La frammentazione ha già vinto. La realtà è che i cookie di terze parti sono già un attore minoritario nell'ecosistema. Solo il 15% del tempo digitale si verifica in ambienti abilitati ai cookie, mentre il 75% del consumo di contenuti avviene al di fuori del browser (in app, su CTV, nel gaming e oltre). Gli inserzionisti necessitano oggi di un approccio a prova di futuro, adattivo e che funzioni ovunque si trovino i consumatori. Questo significa abbracciare soluzioni di identità multi-segnale che siano conformi per design, coerenti tra i punti di contatto e basate su relazioni con un consenso trasparente. Questa non è una transizione che inizierà il prossimo anno: sta già accadendo”.
Indipendenza vs dipendenza: la scelta del settore
(di Valerio Porcu, Senior Editor Tom’s Hardware)
Editori, inserzionisti e fornitori di tecnologia si trovano di fronte a una decisione cruciale: rimanere vincolati a un monopolista le cui strategie sono sempre più oggetto di indagini normative, oppure intraprendere la strada dell’indipendenza, adottando nuovi modelli di identità fondati sulla trasparenza e sulla fiducia.
Emergono soluzioni progettate sin dall’inizio per tutelare la privacy e restituire agli utenti il controllo sui propri dati. Si tratta di tecnologie che funzionano senza cookie di terze parti, capaci di operare in ambienti eterogenei come app mobile, CTV, gaming e web, garantendo tracciabilità coerente e rispetto del consenso. Tra queste, modelli come Utiq, sostenuto da operatori telco europei, puntano su identificatori basati sul consenso esplicito e verificabile. In parallelo, strumenti come Unified ID 2.0 (The Trade Desk), RampID (LiveRamp), ID5 e Panorama ID (Lotame) propongono approcci alternativi basati su dati di prima parte e interoperabilità. Altri rinunciano completamente all’identificazione dell’utente in favore di un targeting contestuale avanzato.
Queste soluzioni rappresentano una risposta concreta alla crisi del modello basato sui cookie: non una semplice sostituzione tecnica, ma un cambio strutturale nella relazione tra aziende e persone.
Una risposta che non può farsi attendere: secondo le previsioni di Gartner, infatti, entro il 2026 il 75% della popolazione globale sarà coperta da normative sulla privacy dei dati. I brand più consapevoli si stanno già muovendo in questa direzione, privilegiando partner e tecnologie che rispettano questi requisiti.
Non si tratta di una tendenza marginale, ma della traiettoria evolutiva del marketing digitale. L’incertezza generata dai continui rinvii non fa che amplificare l’urgenza di agire. Il settore ha bisogno di decisioni coraggiose, non di ulteriori rinvii. È il momento di dimostrare leadership, unirsi a chi sta già costruendo alternative credibili e sostenibili, e orientare l’industria verso un futuro che metta al centro le persone.