La Banca Centrale Europea ha ufficialmente avviato, da novembre 2025, la "fase di preparazione" per l'Euro Digitale, un progetto che potrebbe vedere la luce non prima del 2029. È fondamentale comprendere che non si tratta di un aggiornamento tecnologico opzionale, né di una risposta a un'esplicita richiesta del mercato. È, prima di tutto, una risposta strategica necessaria a un panorama geopolitico e monetario che minaccia di erodere le fondamenta stesse della sovranità europea.
Il "perché" di quest’azione è da cercare in una possibile minaccia esistenziale. L'Europa soffre infatti di una vulnerabilità strategica: circa due terzi dei pagamenti digitali al dettaglio nell'Eurozona sono gestiti da società non europee, creando una dipendenza rischiosa in caso di tensioni geopolitiche. Il progetto è quindi intrinsecamente difensivo, nato forse da una doppia spinta geopolitica: da una parte l'avanzata di CBDC estere (come lo yuan digitale cinese) e dell’altra la sempre più concreta possibilità di sistemi monetari privati, vedi il progetto - seppure fallito di Libra/Diem di Meta.
L'obiettivo della BCE è riaffermare il concetto di "denaro come bene pubblico" in un'epoca in cui il contante, l'àncora fisica che garantisce la fiducia nel sistema, è in costante declino.
Ma il successo non è garantito, e il progetto dell'Euro Digitale si presenta come una coperta corta, un esercizio di bilanciamento quasi impossibile, costretto a navigare tre conflitti fondamentali che ne definiscono l'architettura e ne minano la fattibilità pratica.
Innovazione contro Stabilità
Il primo dilemma che l'Eurosistema deve risolvere è la tensione tra innovazione e stabilità. Da un lato, l'Euro Digitale non può limitarsi a essere un "contante digitale". Per competere con l'efficienza e l'attrattiva delle stablecoin private e della Finanza Decentralizzata (DeFi), deve offrire funzionalità avanzate e moderne. La BCE punta in particolare sui cosiddetti "pagamenti condizionati", ovvero la possibilità di programmare la moneta affinché una transazione avvenga solo al verificarsi di condizioni predefinite (come un pagamento automatico alla consegna di un pacco).
L'ambizione, condivisibile, è quella di creare un'infrastruttura pubblica, una piattaforma aperta su cui il settore FinTech europeo possa costruire nuovi servizi. In questo modo, la BCE internalizzerebbe l'innovazione degli smart contract che ha reso popolari le criptovalute, invece di subirla. L'obiettivo strategico è garantire che la futura economia dell'Internet of Things e dei pagamenti automatici tra macchine (M2M) si sviluppi utilizzando binari pubblici europei, piuttosto che frammentarsi su una miriade di token privati.
Dall'altro lato, c'è lo spettro del rischio per la stabilità. Se l'Euro Digitale fosse troppo attraente (essendo una passività diretta della banca centrale, è la forma di denaro digitale più sicura possibile) e innovativo, potrebbe innescare una disintermediazione bancaria sistemica. I cittadini e le imprese potrebbero decidere di spostare in massa i propri risparmi dai conti correnti bancari (moneta commerciale) ai nuovi wallet di Euro Digitale (moneta pubblica).
Questo scenario da incubo, definito da molti analisti come "rischio di un credit crunch", prosciugherebbe le banche della loro principale e più economica fonte di raccolta. Con meno liquidità, gli istituti avrebbero minore capacità di erogare prestiti all'economia reale (mutui e finanziamenti alle imprese), soffocando la crescita. Se risparmi e investimenti fossero “troppo attirati” dalla BCE, da ente di controllo potrebbe trasformarsi in una banca vera e propria, qualcosa che non è davvero desiderabile.
Per scongiurare questo esito, la BCE sta progettando l'Euro Digitale con precisi freni: dovrà essere uno "strumento di pagamento, non di investimento". I meccanismi di mitigazione includono limiti di detenzione (le simulazioni ipotizzano un tetto di circa 3.000 euro per cittadino) e la totale assenza di remunerazione (l'Euro Digitale non pagherà interessi). Questi e altri limiti si possono verificare nelle FAQ pubblicate dalla BCE.
Il dilemma del modello di business
Il secondo conflitto è puramente economico e riguarda gli attori della distribuzione, che è organizzata secondo un sistema a due livelli.
Il Livello 1 (l'Eurosistema) emette la moneta e gestisce l'infrastruttura di regolamento. Il Livello 2 (gli intermediari) distribuisce il prodotto ai clienti finali. Questi intermediari saranno principalmente le banche e altri fornitori di servizi di pagamento (PSP), che gestiranno i portafogli digitali e tutte le procedure di identificazione (KYC) e antiriciclaggio (AML).
Questa scelta, sebbene necessaria per non scardinare il sistema, crea un dilemma politico-economico. Per garantire l'adozione di massa, la BCE ha bisogno del supporto entusiasta dei commercianti. Questi ultimi, rappresentati da potenti lobby come EuroCommerce, sono "cautamente ottimisti" sul progetto: vedono nell'Euro Digitale un'opportunità storica, un grimaldello per rompere il duopolio dei circuiti di carte di pagamento (spesso extra-UE) e abbattere drasticamente le commissioni di transazione.
La richiesta dei commercianti è netta e già sul tavolo dei legislatori: implementare un tetto uniforme e semplice alle commissioni di servizio. EuroCommerce preme attivamente perché questo limite sia fissato a un massimo di 4 centesimi per transazione. Per loro, i servizi di base (pagamenti in negozio ed e-commerce) devono essere quasi gratuiti.
Sul fronte opposto c'è il settore bancario. Le banche, che dovrebbero distribuire il prodotto, devono farsi carico di costi di implementazione miliardari. Uno studio della stessa BCE stima che l'adeguamento delle infrastrutture costerà al settore bancario europeo tra i 4 e i 5,77 miliardi di euro. Sebbene la BCE minimizzi la cifra (sostenendo che sia solo il 3,4% dei budget IT annuali), si tratta di un onere significativo per un'infrastruttura che, di fatto, non hanno richiesto.
La posizione delle associazioni bancarie, come l'italiana ABI o Federcasse, è di "sostegno critico". Il presidente dell'ABI, Antonio Patuelli, ha definito il progetto "ineluttabile", ma ha espresso scetticismo sui costi finali. Le banche chiedono, in sostanza, un modello di remunerazione sostenibile e una chiara ripartizione degli oneri. La BCE è quindi intrappolata tra il "martello" dei commercianti (che vogliono commissioni zero) e l'"incudine" delle banche (che chiedono una remunerazione per partecipare).
Il nodo della Privacy
Il conflitto più profondo, quello che tocca direttamente i cittadini, è lo scontro tra privacy e controllo. Nella consultazione pubblica condotta dalla BCE, la privacy è emessa come la caratteristica più importante richiesta dagli europei. La BCE ha risposto con toni rassicuranti, promettendo "i più elevati livelli di privacy" e specificando che l'Eurosistema non sarà in grado di collegare direttamente i pagamenti alle identità degli utenti, gestendo solo dati anonimizzati.
Fantastico, ma è vero anche che negli ultimi 20 anni non sono mancati casi di dati anonimizzati che poi tanto anonimi non erano.
E infatti la stessa BCE è stata chiara su un punto: la "completa anonimità" non è un'opzione praticabile per i pagamenti online. Le inderogabili normative europee in materia di antiriciclaggio (AML) e contrasto al finanziamento del terrorismo (CFT) lo impediscono. D’altra parte nemmeno con le criptovalute (tranne forse pochi casi) si essere totalmente certi di essere anonimi.
In una FAQ ufficiale, la BCE ha specificato che l'Euro Digitale avrà lo "stesso livello di privacy delle attuali soluzioni digitali del settore privato". Anche Banca D’Italia ha una pagina di FAQ dedicata all’Euro Digitale, dove possiamo ritrovare le stesse informazioni distribuite dalla BCE.
Per i critici, è proprio questo il cuore del problema. Avere lo stesso livello di privacy di una carta di credito significa che l'utente è identificato e che ogni transazione viene esaminata. La differenza fondamentale è chi effettua il controllo: attualmente è un operatore privato (la propria banca); con l'Euro Digitale, l'autorità ultima che supervisiona i dati aggregati è un'istituzione governativa, la banca centrale. Ed ecco perché alcuni temono che l’Euro Digitale sia un primo passo verso un "sistema di sorveglianza paneuropeo".
Certo, la UE e i singoli governi nazionali potrebbero spiare ogni singolo cittadini tramite le sue operazioni finanziaria. Ma rispetto a oggi cambierebbe poco, perché possono andare da Visa o da Mastercard a chiedere le stesse informazioni. Chi vuole restare del tutto anonimo deve rinunciare a ogni forma di esistenza digitale - non solo al denaro digitale. E sarebbe comunque parecchio difficile.
Queste preoccupazioni sono condivise dalle massime autorità di vigilanza. Il Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB) e il Garante Europeo della Protezione dei Dati (EDPS), in un parere congiunto, hanno chiesto "standard più elevati". Hanno espresso dubbi specifici sulla "necessità e proporzionalità" di un "punto unico di accesso" (un database centralizzato della BCE) per verificare i tetti di detenzione, suggerendo che alternative tecniche decentralizzate potrebbero esistere.
La risposta della BCE alla domanda di privacy assoluta è la promessa della "modalità offline". Questa funzionalità permetterebbe pagamenti tra due dispositivi senza connessione a Internet, replicando la privacy del contante. Si tratta, però, di una sfida tecnica colossale, soprattutto per il rischio di double-spending (la possibilità di spendere la stessa moneta digitale più volte). Come insegna il Teorema CAP dell'informatica distribuita, un sistema offline $(A+P)$ non può garantire la coerenza $(C)$ in tempo reale. Per prevenire le frodi, il sistema deve quindi affidarsi a "hardware sicuro" (come chip integrati), spostando la fiducia dalla fisica della banconota all'opacità di un componente hardware. Forse è tecnicamente possibile, ma dispositivi con questo genere di hardware (e software) sarebbero probabilmente più costosi.
La diffidenza è palpabile. Un sondaggio del BEUC (L'Organizzazione Europea dei Consumatori) ha mostrato che, sebbene i cittadini chiedano facilità d'uso (53%) e gratuità per i servizi base (49%), l'85% vuole che il contante rimanga ampiamente accettato. Per disinnescare questa paura e il rischio di esclusione digitale, la Commissione Europea ha adottato un approccio a due binari: affiancare alla proposta sull'Euro Digitale una legge per salvaguardare il contante. È il prezzo politico indispensabile che le istituzioni devono pagare per ottenere il consenso pubblico.
L'architettura dell'Euro Digitale emerge quindi come un delicato esercizio di equilibri precari. I tre conflitti analizzati – la necessità di innovare senza destabilizzare le banche, l'esigenza di un modello di business che accontenti attori con interessi opposti, e l'impossibile quadratura tra privacy assoluta e controllo legale – dipingono l'immagine della "coperta corta". La fattibilità pratica del progetto non è una conclusione scontata, ma dipenderà interamente dalla capacità dei legislatori e della BCE di trovare una sintesi sostenibile per questi dilemmi irrisolti.
La moneta come patto sociale
Al di là di questi equilibri tecnici, la vera partita sull'Euro Digitale si sposta su un piano politico e filosofico. Al netto dei suoi complessi conflitti commerciali, il progetto ci costringe a interrogarci sulla natura stessa del denaro. È un'infrastruttura fondamentale, un "bene pubblico" che riflette un patto sociale e democratico. L’esistenza di banche centrali e istituzioni, seppur problematica, è utile - indispensabile - proprio a garantire l’esistenza di questo bene pubblico come asset del sistema democratico.
L'attuale dibattito invece è spesso inquinato da una retorica di matrice libertaria che vede nell'anonimato totale, promesso (spesso a sproposito) da alcune criptovalute, una forma di liberazione definitiva. È una visione ingenua e, in ultima analisi, pericolosa. Un sistema finanziario completamente anonimo e slegato da ogni supervisione pubblica non è libertà: è un ritorno alla giungla, alla legge del più forte. Un ritorno inevitabile alla prevaricazione, e a un livello di disuguaglianza come non ne vediamo da almeno un secolo. Non è quello che desideriamo.
Indebolire la capacità dello Stato – inteso come comunità organizzata – di tracciare i flussi illeciti (finanziamento al terrorismo, evasione fiscale su larga scala, riciclaggio) significa indebolire il sistema democratico e liberale, regalando il controllo totale a chi opera nell'ombra. La trasparenza, se rigorosamente regolamentata e protetta da abusi, è un presidio democratico.
Questo non significa affatto che lo status quo sia desiderabile, non del tutto almeno. Per decenni, i cittadini sono stati stretti nella morsa degli intermediari finanziari e dei circuiti di pagamento privati, che hanno imposto costi elevati e operato spesso con scarsa trasparenza. Il progetto dell'Euro Digitale, sebbene difensivo, offre una storica opportunità per ridimensionare il potere eccessivo di questi attori sui cittadini.
Fornire un'opzione pubblica, efficiente e a basso costo (se la linea dei commercianti prevarrà su quella delle banche) costringerebbe l'intero settore privato a competere su un piano di parità. Questo migliorerebbe i servizi e abbasserebbe i costi per tutti, anche per coloro che sceglieranno di non utilizzare direttamente l'Euro Digitale. Sarebbe un beneficio sistemico, un forte e deciso impulso verso un sistema di concorrenza sana e stimolante.
L'errore fondamentale è pensare che il sistema finanziario possa essere slegato dalla gestione della "cosa pubblica". La moneta non è un fine, ma un mezzo. Serve a finanziare l'economia reale, certo, ma anche a garantire i servizi collettivi attraverso una tassazione equa ed efficace. Uno Stato che crea le condizioni per gli investimenti e garantisce i servizi essenziali (sanità, istruzione, infrastrutture) ha bisogno di un sistema monetario che sia funzionale a questi obiettivi.
La vera sfida dell'Euro Digitale è dunque squisitamente politica: riaffermare il primato della sovranità democratica sull'anarchia finanziaria e sulla pura rendita di posizione.