Qualche giorno fa a Milano, durante l’evento Orbits organizzato da Action Agency, il filosofo Luciano Floridi ha delineato un quadro critico ma illuminante del nostro rapporto con la tecnologia. Non si tratta della solita narrazione apocalittica, ma di una presa di coscienza necessaria: l'intelligenza artificiale sta erodendo la nostra identità e la nostra capacità di azione, costringendoci a ridefinire cosa significhi essere umani. Di fronte a una platea di studenti e professionisti, il professore di Yale ha introdotto il concetto di Capitale Semantico come strumento indispensabile per muoverci e progredire nella società digitale.
Per comprendere la portata di questa sfida, dobbiamo guardare alle due grandi rivoluzioni recenti. Prima è arrivata quella dei dati, che ha messo a nudo la nostra privacy rispondendo in modo fin troppo dettagliato alla domanda "chi siamo". Poi è arrivata l'IA, che sfida direttamente la nostra agency, ovvero il "cosa sappiamo fare", rendendo obsolete competenze che fino a ieri ritenevamo esclusive. Siamo presi in una morsa: le macchine ci conoscono meglio di noi stessi e sanno fare le cose meglio di noi.
Tuttavia, Floridi ci invita a vedere in questa doppia crisi un'opportunità, citando il fenomeno della Risonanza Stocastica, che descrive come in certe condizioni ciò che sarebbe rumore diventa uno stimolo positivo per far emergere qualcosa che prima non era visibile. Ebbene, la pressione della tecnologia sulla nostra identità è quel rumore che ci rende sensibili, ci obbliga a occupare una zona che la macchina non può occupare: quella della produzione di senso.
Floridi cita T.S. Eliot, "la mente umana non sopporta troppa realtà" per spiegarci in che modo la mente umana crea senso e significato, costantemente. La realtà cruda ci irrita, come un granello di sabbia dentro un'ostrica. E proprio come l'ostrica reagisce al fastidio avvolgendo l'intruso con strati di madreperla, noi avvolgiamo la realtà con strati di storie, cultura, prassi e concetti. Il Capitale Semantico è ciò che usiamo, non possiamo farne a meno, per creare questa perla.
"Questa 'perla' è il capitale semantico. Emerge come qualcosa di unico del nostro pianeta." - L. Floridi
Cos'è il capitale semantico e perché è importante
Il Capitale Semantico è quella stratificazione di significati che abbiamo costruito intorno al nostro essere nel mondo. È ciò che ci permette di guardare un'immagine sacra e riconoscere immediatamente la Vergine Maria o San Pietro, senza doverci chiedere chi siano quella ragazza col bambino o quel vecchio con le chiavi. È un'infrastruttura invisibile che dà stabilità di senso a noi stessi e a ciò che ci circonda. Se domani ci svegliassimo senza capitale semantico, non saremmo più in grado di interpretare nulla, nemmeno le istruzioni per fare il caffè.
Prendiamo l'esempio di Sant'Agostino. Il nostro capitale semantico occidentale ce lo fa immaginare come un vescovo bianco, europeo. Ma Agostino era nordafricano, di madre berbera. In Brasile, dove il capitale semantico è diverso, lo raffigurano con la pelle nera, una rappresentazione storicamente più realistica ma culturalmente differente. L'IA, che non possiede questo capitale ma si limita a calcolare probabilità su dati grezzi, non può gestire queste sfumature interpretative. Non è in grado di creare senso né di comprendere il significato, e dobbiamo capirlo, dobbiamo smettere di credere che l'intelligenza artificiale pensi davvero: la macchina non ha la "perla", ha solo il granello di sabbia.
Il Capitale Semantico è qualcosa di più della semplice cultura o erudizione; è la capacità trasversale di unire i punti. È ciò che accade quando guardiamo una serie TV come The Sandman e scopriamo che il protagonista ha un figlio di nome Orfeo. I più giovani lo imparano da Netflix; il professore lo sa dal mito greco o dai fumetti; l'appassionato di cinema lo collega al film Orfeo Negro e il musicista alla bossa nova. Questi diversi livelli di lettura sono il vero capitale: una ricchezza che permette di dare un senso profondo e personale all'informazione, trasformando un dato in un'esperienza.
A cosa serve il capitale semantico: la logica dell'anagnorisi
Ma a cosa serve concretamente questo capitale? Non è solo un ornamento intellettuale, è uno strumento di lavoro e di sopravvivenza economica. Floridi utilizza il concetto aristotelico di Anagnorisi, il riconoscimento o la scoperta della vera identità, per spiegare come il capitale semantico crei valore. L'anagnorisi è il momento in cui, nella tragedia greca, si svela la verità senza che i fatti cambino: Edipo ha ucciso un uomo e sposato una donna (fatti), ma l'anagnorisi gli rivela che erano suo padre e sua madre (significato).
Nel business, questa capacità di reinterpretare i fatti è la chiave per non fallire. Pensiamo a IBM: a un certo punto ha smesso di vendere hardware per reinventarsi come società di servizi. I fatti (le competenze, le persone, la tecnologia) erano gli stessi, ma la narrazione e l'identità sono state rilette per generare nuovo valore. Chi non fa questa operazione di semantizzazione, chi non riesce a raccontarsi in modo nuovo, muore (come è successo a Nokia o BlackBerry). È un concetto che abbiamo esplorato anche parlando di come l'IA accelera il go-to-market, dove la differenza la fanno la narrazione e la strategia, non il tool.
“Se parli statistica il mondo dell'Al oggi è tuo. Se parli solo Python non ci capisci niente” - L. Floridi
Più di recente, non sono mancati i casi in cui startup di AI si sono rivelate come gruppi di persone che facevano le cose ma che raccontavano di farlo con uno o più LLM. Anche qui il fatto non cambia (ho la trascrizione della riunione), ma dietro c’è una verità diversa da quella che pensavo.
Un esempio di come il capitale semantico generi valore economico è l'auto da matrimonio. Se la compri come mezzo di trasporto (valore d'uso), è un pessimo affare: costa tanto, consuma molto, è scomoda. Ma se la noleggi per un evento, il suo valore esplode perché è carica di significati simbolici, di estetica, di memoria. Il capitale semantico segue questa logica: un contenuto "alla moda" produce molto valore immediato ma si deprezza subito; un contenuto "classico" (come Il Gattopardo) si apprezza nel tempo perché, come diceva Calvino, non ha mai finito di dire quel che ha da dire. È una risorsa rinnovabile di senso.
"Ogni fatto che ti accade può essere letto in modo diverso... l’anagnorisi ti permette di mantenere i fatti ma la verità può cambiare." - L. Floridi
Rischi del capitale semantico: perdita, spreco e deprezzamento
Il capitale semantico, come ogni capitale, è soggetto a rischi finanziari. Se non lo curiamo, lo perdiamo. Il rischio più evidente è la perdita di senso: quando l'informazione circola troppo, si banalizza e non fa più presa sulla realtà. È l'effetto delle fake news o della propaganda, che usano il capitale semantico in modo strumentale, "mettendo la perla nell'aceto" e sciogliendola.
C'è poi il rischio del sottoutilizzo, che in economia è un costo opportunità. È il problema dei musei che tengono i quadri in cantina o delle biblioteche che non prestano i libri. Floridi cita la parabola dei talenti: chi possiede capitale semantico ha il dovere morale ed economico di farlo fruttare, di rimetterlo in circolo aumentato. Se lo seppelliamo, lo rendiamo sterile. In un'epoca in cui l'IA al lavoro rischia di produrre contenuti mediocri, la capacità umana di generare valore semantico aggiunto è l'unica difesa contro l'appiattimento.
Infine, c'è il deprezzamento. Come un'automobile ferma, il capitale semantico invecchia. Se non ci formiamo, se non aggiorniamo le nostre categorie interpretative, diventiamo obsoleti. La soluzione non è imparare solo l'ultimo linguaggio di programmazione (il Python di oggi è l'HTML di ieri), ma padroneggiare i "linguaggi dell'informazione" a tutto tondo: dalla Statistica alla Storia, dall'Arte alla Zoologia. Solo chi controlla i linguaggi controlla il pensiero.
"Chi non controlla il linguaggio non controlla il pensiero... Se non hai la parola giusta per il concetto giusto è tutto 'particolare'." - L. Floridi
Dobbiamo dire ai giovani di leggere Proust e Aristotele non per pedanteria, ma per dotarli dell'infrastruttura necessaria a gestire l’enorme quantità di informazioni con cui devono convivere. Perché se l'IA è il motore, il capitale semantico è la mappa, e senza mappa il motore serve solo ad andare a sbattere più velocemente. Per chi volesse approfondire le basi teoriche di questa visione, è utile recuperare l'etica dell'Intelligenza Artificiale secondo Floridi, un testo fondamentale per orientarsi.