L'IA non sta "aumentando" le capacità dei lavoratori, ma piuttosto generando risultati discutibili, che poi fanno perdere tempo alle persone per sistemarli. E quanto emerge da un recente report pubblicato su The Guardian, nel quale si spiega anche che buona parte del problema sta nella mancanza di formazione specifica - trasformando la questione in un fallimento della leadership nell'investire nelle persone che la devono utilizzare.
Il messaggio sembra essere: se dai ai dipendenti strumenti AI ma non insegni loro come usarli al meglio, avrai risultati mediocri o pessimi. E in quel caso la colpa sarà tua che come leader non hai saputo gestire una transizione che poteva essere semplice.
La logica del "sostituire l'uomo con l'algoritmo" per aumentare l'efficienza senza investire nell'upskilling del personale espone le aziende a un rischio reputazionale e operativo. Se, come confermano alcuni studi, solo l'8,5% delle persone si fida totalmente dei risultati di ricerca prodotti dall'IA, è evidente che l'output automatico richiede una competenza umana di validazione, e la sua assenza porta inevitabilmente a un workslop dilagante.
Il paradosso metodologico: usare l'ai per mascherare l'inefficienza
Il dato più problematico è che, anziché essere impiegata per liberare tempo per compiti più complessi e creativi, l'IA viene usata per produrre rapidamente un volume di lavoro maggiore ma superficiale.
Molti lavoratori si limitano a incollare l'output grezzo dei modelli generativi, senza applicare il filtro critico o la rielaborazione che trasforma l'informazione in valore. Questo non è "lavorare con l'IA", ma delegare il pensiero a una macchina non istruita. Il fallimento si trova in ciò che si potrebbe definire un bias cognitivo aziendale, dove l'illusione della velocità soppianta la necessità della qualità.
Il nodo cruciale risiede in un’errata comprensione del vantaggio competitivo offerto dall'intelligenza artificiale. L'obiettivo non è automatizzare l'80% del lavoro, ma garantire che il restante 20% di competenza umana venga indirizzato verso attività a più alto valore, come la governance del dato e la verifica della correttezza concettuale dell'output. Altrimenti, le aziende si trasformano in meri chioschi di produzione di contenuto di massa, dove il costo si riduce, ma il valore strategico svanisce.
Competenze e responsabilità: la palla torna al CEO
La chiave per affrontare la trasformazione è l'eliminazione degli sprechi di tempo e la concentrazione sulle attività che generano valore misurabile. Il workslop è, di fatto, il più grande spreco di tempo e risorse. La responsabilità di questo scivolamento di qualità non è dei dipendenti, ma della dirigenza. Se le aziende investono miliardi in licenze software, ma non in formazione mirata sull'uso critico di questi strumenti, il problema è a monte.
Non possiamo permetterci uno scenario in cui l'intelligenza artificiale, da motore di ottimizzazione e innovazione, si trasformi in una macchina per l'appiattimento della qualità professionale. La visione culturale deve essere quella di un'integrazione che esalti la competenza umana, altrimenti l'IA diventerà un amplificatore di mediocrità, innescando un tsunami di cambiamenti travolgenti nel mercato del lavoro, come paventato da più parti, che non faranno altro che minacciare l'ethos aziendale nel suo complesso.