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Osservatorio PoliMi: il Covid non ferma la blockchain

Secondo i dati dell'Osservatorio, il mercato esce dalla fase di hype mediatico e mostra maggior maturità

Avatar di Antonino Caffo

a cura di Antonino Caffo

Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 25/01/2021 alle 15:19
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Pubblicato il 25/01/2021 alle 15:19
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L’emergenza Covid-19 non ha fermato lo sviluppo delle tecnologie blockchain, che, anzi, nel 2020 sono entrate in una fase di maggiore maturità. Secondo i dati dell'Osservatorio PoliMi, su 1.242 iniziative censite dal 2016 al 2020 (734 annunci e 508 progetti concreti), sono 267 quelle avviate negli ultimi dodici mesi a livello internazionale da aziende e pubbliche amministrazioni, che comprendono 70 annunci e 197 progetti concreti (di cui 83 operativi, il resto sperimentazioni o proof of concept).

Rispetto al 2019 sono cresciuti del 59% i progetti concreti, mentre gli annunci sono calati dell’80%, segno di un mercato che sta uscendo dall’hype mediatico per concentrarsi su iniziative più operative e la creazione di ecosistemi. Il 47% dei casi mappati nel 2020 utilizza piattaforme esistenti segno che l’attenzione degli operatori si sta spostando sempre più verso lo sviluppo di applicazioni e meno sulla creazione di nuove piattaforme.

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Nel 2020 la finanza decentralizzata ha visto moltiplicare applicazioni, utenti e capitale investito, fino all’annuncio dello sviluppo di Diem (ex Libra, la valuta digitale sponsorizzata da Facebook), mentre è cresciuto l’utilizzo di criptovalute e stablecoin. È stato l’anno dell’avvio delle valute digitali delle Banche Centrali: innanzitutto il DCEP cinese, in fase di sperimentazione, a cui sono seguite esplorazioni, analisi, prototipi di altri istituti e l’annuncio della BCE di voler realizzare il Digital Euro.

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Ma non c’è stata solo la finanza: l’emergenza sanitaria ha evidenziato i benefici ottenibili da soluzioni blockchain per la gestione dell’identità in ambito clinico/sanitario o economico, sono nati iniziative di filiera in ambito supply chain e progetti di infrastrutture internazionali come EBSI, la European Blockchain Services Infrastructure che sta promuovendo diverse sperimentazioni.

I paesi più attivi nella blockchain sono gli Stati Uniti, con 72 progetti avviati negli ultimi cinque anni, e Cina, con 35 casi, seguiti da Giappone (28), Australia (23) e Corea Del Sud (19). Con 18 casi, l’Italia resta nella top ten dei paesi con più iniziative, nonostante la frenata degli investimenti delle aziende, che nel 2020 valgono 23 milioni di euro, il 23% in meno rispetto al 2019.

Un mercato in calo, a causa dell’emergenza che ha limitato il lancio di nuove iniziative e ha spinto le aziende a concentrarsi su progetti già attivi, ma più maturo: il 60% della spesa riguarda progetti operativi, il 28% progetti pilota, solo l’11% proof of concept e appena l’1% formazione. La finanza è il settore più rappresentato, con il 58% della spesa, e l’unico ad aver aumentato gli investimenti (+6%), seguito da agroalimentare (11%), utility (7%) e PA (6%).

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«Nel 2020 le tecnologie Blockchain hanno continuato a svilupparsi e sono sempre più utilizzate dalle imprese per migliorare processi aziendali e creare nuove opportunità di business in ambiti diversi dalla finanza, dall’agroalimentare alle utility, dalla Pa alle assicurazioni» ha affermato Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger.

«La frenata del mercato a causa della pandemia è compensata da una maggior maturità delle imprese, che investono principalmente in progetti operativi e pilota, e delle piattaforme disponibili, alcune già operative e altre che lo diventeranno nel 2021».

Quelle attualmente in uso sono prevalentemente di due tipologie: Application Specific, che si concentrano su una specifica applicazione o un limitato ambito applicativo e sono generalmente sviluppate da un consorzio di aziende dello stesso settore allo scopo di sviluppare una singola applicazione, e General Purpose, che possono essere sfruttate dalle aziende di qualsiasi settore per la creazione di applicazioni diverse e si dividono in piattaforme General Purpose Permissionless e piattaforme General Purpose Permissioned.

Alle piattaforme Permissionless chiunque può accedere e svolgere qualsiasi attività e il loro contenuto è pubblico. Sono utilizzate da un numero sempre maggiore di aziende, nonostante presentino problemi di scalabilità, privacy e affidabilità che non le rendono ancora adatte a qualsiasi tipo di applicazione.

Per accedere alle piattaforme Permissioned, di solito promosse da governi o consorzi nazionali o internazionali, è invece necessario registrarsi e identificarsi e quindi essere autorizzati da un ente centrale o dalla rete stessa.

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