Red Hat: la "medicina" alla crisi è l'open source

Come è cambiata la fornitura di tecnologia open da prima a dopo (o quasi) la pandemia? Il team italiano di Red Hat ci racconta le nuove strategie del gruppo, sempre più consulente IT e non solo vendor

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a cura di Antonino Caffo

In cosa consiste la digital transformation pre e post Covid? Un termine che potrebbe sintetizzare il cambiamento può essere "accelerazione". I concetti più utilizzati, in accezione IT, come "innovazione", "agilità" e "tco", possono infatti essere riassunti in questo modo. O almeno di questo è convinta Red Hat.

Ma come si abilita tale processo di accelerazione e abilitazione? «Vediamo tre flussi ben definiti» ci spiega Gianni Anguiletti, VP Med Region di Red Hat. «Il primo rientra nell'infrastruttura di cloud ibrido, che permette di scalare e gestire i workload in tutti gli ambienti di business. Il secondo riguarda lo sviluppo di cloud native, con cui realizzano applicazioni per stack differenti e tramite il quale si può dare ai developer il potere di innovare. La terza direttrice è invece il percorso di automazione, lo stesso che consente di attuare percorsi agili a livello sia di management che di adozione di software aperto e sicuro».

Secondo quanto definito dal gruppo, vale la pena contestualizzare gli annunci che Red Hat ha svelato al suo recente summit, tenuto solo online. Sono stati 56 mila i partecipanti, 118 mila le visite alle sessioni e 14 mila gli utenti che hanno preso parte alle chat verticali. Dal palcoscenico virtuale, la compagnia ha aggiornato la sua OpenShift Container Platform, ad esempio con l'Advanced Cluster Management, attraverso il quale si potranno gestire sempre più cluster eterogenei.

Poi il Cost Management, per capire quali costi e capacity planning conviene intraprendere per programmare le attività future e la OpenShift Virtualization, che per la prima volta consente di avere una vista su applicazioni di tipo moderno, sviluppate per micro servizi, con una finestra su un host virtuale, con le medesime capacità di gestione e supervisione. Altri annunci riguardano l'ambito di automazione dello storage, a contorno di OpenShift, così come use case di frontiera nel segmento serverless, computing ed edge computing.

«Da un punto di vista strategico, vogliamo continuare ad essere il partner che può portare più in alto il valore della digital transformation per i clienti, in ottica di open organization, come è nel nostro dna» continua Anguiletti. «Il focus resta la centralità della tecnologia di hybrid cloud, che riesce a potenziare al massimo la OpenShift Container Platform ma anche inserirsi sinergicamente in tutta l'ampiezza del portfolio di Red Hat».

«Siamo consci che le necessità dei clienti sono differenti, per settori merceologici e dimensioni, e lavoriamo proprio per rispondere a tali esigenze, adattando il beneficio di una piattaforma open al rilancio dell'economia italiana e globale, anche grazie alla collaborazione con IBM».

Non a caso, in seguito alla crisi dovuta al Covid-19, Red Hat ha permesso di accedere in maniera più semplice alla Ansible Automation Platform, estendendo peraltro il ciclo di vita di alcuni prodotti così da dare maggior tempo alla migrazione dei sistemi. Sono stati rilasciati vari training gratuiti e corsi online su skill tecnologiche più o meno avanzate. In termini finanziari, Red Hat ha chiuso il primo trimestre del 2020 con ottimi risultati, crescendo a doppia cifra anno su anno (+20%) e con un +40% su determinate proposizioni (Openshift e Ansible),

«Ci adoperiamo oggi come forse avremmo fatto tra 30 anni. Il virus e la pandemia che ne è scaturita, ha posto in evidenza il bisogno, per le aziende, di preparasi in maniera ottimale agli eventi che possono bloccare o rallentare in maniera decisiva il business. Siamo convinti che la "medicina" a livello IT per tali rischi può essere la tecnologia open» ci dice Rodolfo Falcone, Country Manager Italy.

«Il motivo è la comunità open source che vi è alla base, l'unica in grado di supportare non più un'evoluzione ma una rivoluzione, la serie di rivoluzioni che ci attendono in futuro. La Red Hat Business Continuity Management Policy è una delle modalità che consentono di seguire, da vicino, i clienti, integrando resilienza dei sistemi con le procedure aziendali» continua Falcone.

Ma non dimentichiamo la formazione, che per Red Hat rappresenta un tassello fondamentale in uscita dalla Fase 2. «Risk managament", "organization", "emergency" sono termini entrati con forza nei nostri piani di sviluppo e di aggiornamento professionale. Le fondamenta del business, oltre che le adozioni tecnologiche, pongono nella conoscenza e nel sapere un quid essenziale, non più rimandabile. Se il Covid-19 ha "accelerato" la risposta, lo ha fatto anche per quanto concerne il "sapere" cosa fare, piuttosto che delegare altri a farlo per noi» conclude Falcone.

Cosa per il futuro più immediato? Red Hat aveva già cominciato a consolidare la presenza nel mid market, che arriva ad aziende fino a 5 mila utenti, e sempre più lo farà nei prossimi mesi. Attraverso le proprie soluzioni, il gruppo si sta trasformando in una sorta di consulente integrato, che possa seguire le PMI non solo nella scelta del sistema operativo ma anche nelle migliori pratiche di  business continuity e verso la resa massima dei tool a disposizione.