Da una parte aziende che vorrebbero retribuire meglio i propri dipendenti, dall'altra lavoratori che desiderano stipendi più alti. Due legittime aspirazioni tra cui si frappone un sistema fiscale che rende quasi proibitivo trasformare le buone intenzioni in realtà. Quando un'impresa decide di aumentare di 5.000 euro netti la retribuzione di un dipendente, si trova a dover sostenere un costo che può arrivare fino a 10.000 euro, creando una frattura evidente tra volontà e possibilità concrete. La soluzione a questo dilemma si chiama welfare aziendale, uno strumento che in Italia sta vivendo una fase di sviluppo, nonostante le resistenze e le complessità del passato.
Andrea Guffanti, General Manager di Coverflex.it ed esperto del settore, descrive una realtà che porta sicuramente efficienza fiscale ma che deve essere bilanciato. L'esempio più emblematico è quello dei buoni pasto: "un'azienda può erogare circa 2.000 euro annui tramite questo strumento, sostenendo esattamente quella cifra come costo, mentre il dipendente riceve l'equivalente di 2.000 euro senza dover pagare tasse sulla somma". Il calcolo è semplice: la stessa spesa al supermercato costa effettivamente meno quando viene pagata con un buono pasto piuttosto che con lo stipendio tassato.
Nonostante la normativa italiana risulti particolarmente favorevole al welfare aziendale, "meno della metà delle imprese del paese utilizza ancora questi strumenti. Abbiamo una normativa estremamente favorevole però sono ancora poche le realtà che sfruttano lo strumento. Il motivo che ci diamo internamente è che storicamente è stato complesso per le aziende usufruire del welfare. C'è un aspetto collegato anche alla percezione del dipendente rispetto a quanto si possa usare il benefit. Se abito a 20 km dal primo negozio che accetta i buoni pasto è evidente che non sfrutterò più di tanto il welfare, dovendo sostenere i costi di spostamento".
Il confronto internazionale evidenzia una peculiarità tutta italiana: mentre in altri paesi europei il rapporto tra costo aziendale e stipendio netto risulta più equilibrato, nel nostro paese questo calcolo assume i connotati di una "magia nera", talmente complesso da rendere difficile prevedere con precisione l'importo che effettivamente finirà nelle tasche del lavoratore".
Concedere valore ottimizzando i costi
"Se oggi creo una nuova impresa, invece di distinguere i vari esborsi posso costruire un pacchetto retributivo più completo, che include stipendio e benefit. In tal modo, massimizzo il vantaggio per l'azienda a parità di valore percepito. Se invece avvio, da un giorno all'altro, un programma di concessione di buoni pasto, è evidente che questo abbia un costo, seppur minore rispetto ad un incremento dello stipendio. Anche il welfare deve avere una strategia ben precisa come fondamenta".
Oltre ai tradizionali buoni pasto, il panorama del welfare italiano si è arricchito di diverse tipologie di benefit. I buoni benzina rappresentano la seconda categoria più utilizzata: il limite annuale è stato recentemente innalzato da 258 euro (eredità delle vecchie 500.000 lire) a 1.000 euro per dipendente, valido per i prossimi tre anni. Questa forma di sostegno si rivela particolarmente apprezzata in un momento caratterizzato dall'instabilità dei prezzi dei carburanti.
Il settore dei flexible benefit apre invece scenari più ampi e personalizzabili. Questa categoria non prevede limiti economici fissi "ma si concentra su ambiti specifici: intrattenimento, cultura, abbonamenti a piattaforme streaming, attività sportive e, aspetto particolarmente rilevante, spese mediche. Quest'ultimo punto tocca una questione delicata ma centrale nel dibattito contemporaneo: il progressivo indebolimento del sistema sanitario nazionale e la conseguente necessità per i cittadini di ricorrere sempre più frequentemente al settore privato".
La pandemia ha accelerato lo sviluppo di alcune forme di welfare, creando inizialmente l'impressione che certe categorie di benefit fossero destinate a scomparire. In realtà, strumenti come il supporto per i centri estivi, l'assistenza per gli anziani, i rimborsi per il trasporto pubblico e i contributi per l'istruzione dei figli continuano a essere disponibili. "Quello che è cambiato è la distribuzione delle preferenze: molte aziende hanno preferito concentrarsi sui fringe benefit, più semplici da gestire e utilizzabili da tutti i dipendenti, piuttosto che su servizi specifici che interessano solo alcune categorie di lavoratori".
La questione generazionale rappresenta una delle sfide più complesse per chi progetta piani di welfare aziendale. "Le imprese italiane si trovano oggi a gestire contemporaneamente quattro, talvolta cinque generazioni diverse, dai neolaureati appena entrati nel mondo del lavoro ai dipendenti prossimi alla pensione. Costruire un piano di benefit che risponda efficacemente alle esigenze di un dirigente cinquantenne e di un giovane della Generazione Z richiede un approccio sofisticato e diversificato".
Le resistenze e le opportunità future
Il rapporto tra dipendenti e welfare aziendale non è sempre idilliaco come potrebbero suggerire i vantaggi fiscali. "Molti benefit messi a disposizione dalle aziende rimangono inutilizzati" prosegue Guffanti, "creando un cortocircuito che danneggia sia l'impresa che ha investito risorse, sia il lavoratore che non riesce a sfruttare le opportunità disponibili. Le cause di questo fenomeno sono principalmente due: carenze nella comunicazione e complessità nell'utilizzo".
La facilità d'uso rappresenta un elemento discriminante fondamentale. Un buono pasto che può essere utilizzato solo in una ristretta cerchia di esercizi commerciali, o un buono benzina valido esclusivamente presso distributori più costosi, finisce per perdere attrattiva nonostante i vantaggi fiscali. Alcuni fornitori hanno costruito in passato sistemi che sembravano progettati più per trattenere i benefit inutilizzati che per facilitarne l'impiego. Questa dinamica ha portato, in alcuni casi, alla creazione di meccanismi complessi che scoraggiavano l'utilizzo effettivo dei benefit. La situazione sta però evolvendo, grazie all'ingresso nel mercato di nuovi operatori che adottano un approccio più orientato verso l'utente finale.
"L'innovazione tecnologica, in modo particolare lo sviluppo dei pagamenti elettronici, sta aprendo nuove prospettive per il settore del welfare aziendale. I nuovi provider tendono a concepire i loro servizi con una mentalità diversa, pensando prima di tutto all'esperienza del dipendente che dovrà utilizzare il benefit, anche se il cliente pagante rimane l'azienda. Questo cambio di paradigma promette di rendere il welfare sempre più accessibile e appetibile. Ci sono varie dinamiche da seguire per un argomento complesso ma, sulla carta, scegliere il welfare è sempre l'opzione più efficiente.
In chiusura, Guffanti suggerisce il libro "Outliers: The Story of Success" (in italiano "Fuoriclasse: Storia naturale del successo") di Malcolm Gladwell, che racconta il contesto in cui sono nate alcune storie di successo, come l'infanzia di Bill Gates. Il fondatore di Microsoft frequentava il primo liceo Usa dotato di un computer. Il senso? "Se a 12 anni ti ritrovi in una scuola che ha il privilegio di farti usare per primo un computer, è più probabile sviluppare competenze in quel campo e creare qualcosa di interessante".