Daisy Jones and The Six, recensione: musica, droghe e una generazione imperfetta

Arriva su Prime Video Daisy Jones and The Six: serie tv ambientata nel mondo del rock ma che racconta l'anima musicale degli anni 70.

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a cura di Nicholas Massa

Il 3 marzo è arrivata su Prime Video (coi suoi primi tre episodi, seguiti nelle successive settimane dagli altri) Daisy Jones and The Six, la nuova serie tv musicale basata sul romanzo best-seller di Taylor Jenkins Reid (se interessati a recuperarlo lo trovate su Amazon) e prodotta da Reese Witherspoon con la Hello Sunshine insieme agli Amazon Studios. Costruita su una struttura narrativa che gioca continuamente con la dimensione del mockumentary, al centro del progetto troviamo una band che non è realmente esistita, ma che comunque ci offre una serie di spunti relativi al periodo e al mondo narrato, abbracciando un insieme di riflessioni tranquillamente applicabili a tantissimi altri artisti musicali sulla stessa china.

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Siamo alla fine degli anni 60, inizio anni 70 e il rock’n'roll sta letteralmente prendendo il sopravvento su ogni cosa, infiltrandosi anche nella dimensione emotiva e culturale delle generazioni di quegli anni. Non più semplice musica quindi, ma un vero e proprio urlo, una voce che proviene dal profondo di un contesto giovanile un po’ spaesato e demotivato da ogni cosa, alla ricerca di una ragione per andare avanti, o di un’identità a cui aggrapparsi che non fosse quella stantia dei genitori e di coloro che hanno vissuto negli anni precedenti. Così cominciano ad emergere alcune band, gruppi di persone che racontano e si raccontano attraverso la musica, segnando un confine netto fra quello che c’era prima e un presente che si riconosce in modelli del tutto differenti dal passato.

Daisy Jones and The Six sviluppa il suo potenziale narrativo partendo proprio da un contesto del genere, da un periodo storico che risulta chiaro fin dalla primissima inquadratura per raccontare la storia di questo gruppo di giovani che, come tanti altri in quel periodo, cercano la gloria eterna attraverso la musica. Con una serie di escamotage narrativi, però, non si limita soltanto a tessere un percorso dalle stelle alle stalle di maniera, ma va ben oltre, cercando continuamente di approfondire anche i propri protagonisti e tutti i demoni che si trascinano dietro. Il tutto scandito da un insieme di brani che si coordinano alla perfezione con tutto il resto.

Daisy Jones and The Six: essere attraverso la musica

Tutto si sviluppa da un grande mistero irrisolto ancora oggi: perché Daisy Jones and The Six si sono sciolti all’apice del proprio successo, dopo uno dei loro più grandi e famosi concerti del 1977 al Soldier Field di Chicago? Questa è la miccia che accende le macchine da presa di questo mockumentary alla ricerca di una risposta fra le pieghe dei vari membri della band. Un’indagine, quindi, che non vuole solamente glorificare il celebre gruppo, ma approfondirne alcuni aspetti che necessitano della loro collaborazione in prima persona, senza troppi filtri. Così vediamo questa esibizione, il pubblico in delirio e la costruzione delle singole interviste a ognuno di loro nel presente, alternate a una narrazione che vuole ricostruire per filo e per segno i fatti come andarono fin dall’inizio, fin dalle origini della loro collaborazione musicale.

Tutti vogliono scoprire la verità dietro alla band che, in quegli anni, era diventata una sorta di famiglia, una sorta di nucleo affettivo estremamente unito e pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Fin dalle primissime inquadrature, però, si percepisce qualcosa di particolare negli sguardi dei protagonisti, nei loro occhi che guardano in basso fin troppo spesso, celando probabilmente litigi o scontri nella dimensione privata. Erano gli anni ’70 e oltre, e moltissime persone si erano perse lungo la strada, sollecitate dai vizi che cominciavano a dilagare lungo le strade di tutto il mondo. In un contesto del genere in molti costruivano legami affettivi con gli amici e con le proprie band. In parallelo, però, troviamo il sogno, l’obiettivo di arrivare da qualche parte con la propria musica, di sfondare in qualche modo, cercando con tutte le forze di produrre qualcosa d’immortale e significativo, in realzione al proprio modo di essere.

Così lungo la strada del successo troviamo questi ragazzi, abbastanza sperduti, che si uniscono, in un modo o nell’altro, instaurando fra loro legami sinceri e profondi che vanno ben presto oltre la musica. Vivono di quello che suonano e di quello che provano mentre creano qualcosa dal nulla. Questo è uno degli aspetti su cui la serie si sofferma molto cercando di proporre un contesto che risulti credibile dall’inizio alla fine. Daisy Jones (Riley Keough), Billy Dunne (Sam Claflin) e gli altri membri del cast sono innanzitutto esseri umani, prima che rockstar leggendarie, con un tocco narrativo che ne valorizza, di episodio in episodio, il valore sul piccolo schermo consentendo agli spettatori di empatizzare più facilmente con loro.

Saper raccontare

Daisy Jones and The Six non è solamente storia, ma anche narrazione per immagini e suoni. Uno dei lati più interessanti di questa serie tv risiede proprio nell’impianto formale che plasma ogni singolo episodio. La regia e il montaggio non possono non ricordare i video musicali di quell’epoca e successivi, con vezzi fotografici riconoscibili sia in termini cromatici che compositivi. A valorizzare ulteriormente la situazione troviamo un comparto musicale che cita continuamente quegli anni, accompagnato da una serie di brani originali scritti da Blake Mills e altri artisti (sono 24 ad essere precisi).

Un comparto artistico del genere non serve solamente a cingere gli eventi rappresentati, diventando ben presto una voce a se stante, un modo più diretto di raccontare non soltanto quello che è successo ai protagonisti in gioco, ma un periodo storico ben preciso, scandito da un ritmo figurativo superiore a tantissimi altri prodotti dello stesso genere.

Riflessioni finali

Sulle note di una colonna sonora studiata e costruita ad hoc si muove una storia che incrocia le note rotte di una generazione con gli sguardi dei suoi protagonisti. Il loro è un racconto di ascesa che tutti vogliono conoscere ma in quanti saranno in grado di comprenderli sul serio? In quanti riusciranno ad andare oltre il velo della leggenda fino a toccare le reali fragilità di un gruppo di persone come tutte le altre?

Perché è proprio su questo che riflette tantissimo Daisy Jones and The Six, sulla realtà dietro alla storia, sull’appartenere a qualcosa d’imperfetto che deve necessariamente scontrarsi con i demoni di ognuna di queste persone, restituendo una vicenda strettamente connessa con la dimensione musicale di una generazione in particolare, riuscendo comunque a risultare estremamente familiare anche per tutti coloro che la vedono oggi.

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