Don DeLillo - Zero K: vincere la morte disumanizzando la vita

Sconfiggere la morte tramite la criogenia, ma a quale prezzo? Disumanizzarla, prosciugarla di significato? Attraverso gli occhi di un figlio che vuole dedicarsi alla vita, e di un padre che la vuole sospendere, DeLillo in Zero K affronta le sfaccettature più intime di una prospettiva estrema.

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a cura di Matt Briar

Zero K è il lavoro più recente di un grande autore della letteratura postmodernista: Don DeLillo. Non è semplice parlarne, dal momento che non è mai stato semplice parlare di DeLillo. Abbiamo già provato a fare il punto su alcuni degli aspetti della sua poetica grazie a Cosmopolis, il suo romanzo sul terzo millennio. Zero K va ancora oltre nella ricerca delle frontiere verso cui l'umanità si sta spingendo. Ad attirare il lettore è soprattutto la curiosità di sapere come DeLillo tratterà un tema ai confini con la fantascienza: Zero K (acquistalo qui nell'edizione Einaudi) parla della conservazione criogenica del corpo in funzione del suo ritorno in vita nel futuro, il giorno in cui una scienza più evoluta avrà debellato le malattie degenerative.

La criogenia come tentativo di vincere la morte. Ma a quale prezzo?

La Convergence è un'agenzia che offre proprio questo servizio. A guidarla c'è Ross, la cui ex moglie, Artis, è ormai in fin di vita e decide quindi di sottoporsi alla criogenia. Anche Ross è tentato di farlo, ma nel suo caso per libera scelta: in parte per godere in prima persona dell'incredibile opportunità che lui stesso ha contribuito a rendere possibile, in parte spinto dal sogno di vivere di nuovo, nel futuro, insieme alla persona che ama. Jeff, il figlio della coppia, assiste alle ultime ore di vita di Artis nei laboratori bianchi, glaciali e disumanizzanti della Convergence. Poi, tornato alla sua vita quotidiana, ce ne racconta dei frammenti fino a quando anche il padre prende la strada della criogenia.

Questa è l'unica trama di Zero K, il cui titolo è un riferimento alla temperatura di congelamento in gradi Kelvin che sospende la vita. Il romanzo coincide con le osservazioni e le riflessioni di Jeff, Ross e Artis. Il primo, essendo il narratore diretto, dà la voce alle opinioni dello stesso DeLillo, o almeno questa è l'impressione che se ne trae. All'inizio Jeff dubita della scelta di Artis, che tuttavia riesce a comprendere vista la malattia che la colpisce e che la condurrebbe alla morte prematura, e in seguito dubita di quella di Ross, che invece non ha alcuna giustificazione. Jeff si dimostra restio ad accettare questa nuova frontiera perché nel tentativo di vincere la morte si finisce per disumanizzare la vita, azzerando il suo significato.Inoltre, al fine della conservazione di ogni parte del corpo, la procedura comporta un suicidio assistito e una vera e propria asportazione degli organi interni con una pratica che si rifà all'Antico Egitto, dove si ponevano gli organi del defunto nei vasi canopi, separati dal corpo. Proprio come gli Egizi, anche la Convergence tramite queste tecniche ambisce a raggiungere l'immortalità, armata però di scienza e tecnologia anziché di religione.

Un giorno di ordinaria deriva.

La legittimità e la moralità di un'azione terribile, necessaria oggi in nome dell'ipotetico sogno del domani, è fonte della costante riflessione di Jeff. Il suo personaggio, soprattutto nella seconda parte del romanzo, sembra perdere l'orientamento nel suo tempo. Diventa incapace di distinguere il giusto dallo sbagliato, l'importante dal futile, la sua capacità di attribuire un significato e un valore alle azioni, alla vita stessa nel tempo presente, entra in crisi. Per usare le sue stesse parole, va alla deriva.

“Le cose che la gente fa, di solito, [sono] cose dimenticabili (…). Voglio che questi gesti, questi momenti abbiano un significato, controllare il portafoglio, controllare le chiavi, qualcosa che ci tenga uniti, implicitamente (…). Questi sono gli effetti soporiferi della normalità, le mie giornate di ordinaria deriva.”

L'aspetto più enigmatico di Zero K risiede proprio qui. Superficialmente abbiamo una storia semplice con pochissima azione e qualche riflessione, a ben guardare neanche tanto originale (la fantascienza riflette su questi aspetti da parecchi decenni). DeLillo poteva limitarsi alla prima parte del romanzo, condensandola persino in meno pagine. Ma al di sopra di questo, l'autore costruisce un cappello di ragionamenti e considerazioni vissute tramite la mente del protagonista Jeff che infondono irrequietezza, inquietudine e fragilità. Tutto ciò acquisisce più importanza, e un senso compiuto, quando il lettore realizza che la scrittura di DeLillo è un'assoluta sospensione atemporale, scandita solo dai due momenti (le due parti) in cui si suddivide il romanzo. E' proprio questo che trasmette l'essenza effimera e impalpabile di quello che dovrebbe o potrebbe essere lo stato di simil-coscienza mantenuto dall'essere umano durante la criogenia, fuori dal tempo, finalmente svincolato dalle inezie che riempiono la vita quotidiana.

La tecnologia ridefinisce il contorno dell’esistenza fisica.

Scendendo ancora più in profondità, Zero K ci presenta anche una riflessione sulla tecnologia, sul mondo digitale e il modo in cui ha ridefinito il contorno stesso dell’esistenza quotidiana, dei nostri confini fisici. Come ci ha insegnato Cosmopolis, viviamo due esistenze parallele, una sotto forma di dati digitali, priva dei limiti imposti dal tempo e dal fisico. Ecco perché, idealmente, Zero K fa un passo più lontano ma nella stessa direzione di Cosmopolis.

“I dispositivi che usate, quelli che portate ovunque, di stanza in stanza, di minuto in minuto, inesorabilmente. (…) Tutti gli impulsi decodificati ai quali affidate il compito di guidarvi. Tutti i sensori presenti in una stanza che vi guardano, vi ascoltano, tengono traccia delle vostre abitudini, misurano le vostre capacità. Tutti i dati interconnessi che hanno lo scopo di incorporarvi all'interno di megadati. C’è qualcosa che vi rende inquieti?”

Una scrittura delicata ed empatica.

Zero K è un romanzo meditativo e limitato nell'azione, dalla lunghezza non eccessiva e la narrazione in prima persona che favorisce l'empatia con Jeff. Anche l'apparato riflessivo, piuttosto rilevante, non scivola mai nel saggistico, perciò non appesantisce il romanzo. DeLillo scrive più delicatamente che mai, al punto che, se ci si limita a un'occhiata superficiale, sia i personaggi che la vicenda potrebbero sembrare privi di sostanza o del mordente "sovversivo" delle opere più rappresentative di DeLillo (Rumore bianco, Underworld e Americana). Questo però potrebbe rendere Zero K più appetibile a un lettore occasionale.

Quando il libro termina rimane la curiosità di leggere del risveglio di Artis e Ross in un mondo che non appartiene a loro. Una terza storia che non c’è, ma che costituirebbe una parte simmetrica e speculare a quella di Jeff. DeLillo non è autore del fantastico e immaginare questa continuazione, per quanto inevitabile sia nella mente del lettore, probabilmente non è mai stato nelle sue intenzioni.