Dal Golem al robot

Il film di Richard Stanley è una centrifuga psichedelica di tutti i luoghi comuni cyberpunk, ma il risultato è un film autoriale, con una visione assolutamente originale sul rapporto tra uomo e tecnologia. Un piccolo cult dimenticato, tutto da riscoprire.

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a cura di Alessandro Crea

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M.A.R.K. 13 è di fatto il fulcro dell'intera narrazione, almeno dal punto di vista simbolico, perché dalla sua vera natura passa la riflessione principale del film, tutt'altro che banale e scontata come invece potrebbe sembrare a un'analisi più superficiale. Chi pensa infatti che si tratti di un calco in chiave minore di Terminator si sbaglia di grosso. Qui a differenza che nel film di Cameron non c'è la solita opposizione binaria tra uomo e macchina. In Hardware non è la macchina che impazzisce o si ribella all'essere umano, tentando di estinguerlo. Al contrario è lo stesso essere umano ad aver progettato il M.A.R.K. 13 all'unico scopo di uccidere altri esseri umani, al fine di contenerne il numero in un mondo devastato che non può più sostentarli tutti.

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A differenza di Terminator dunque non ci troviamo dinanzi all'ennesima rilettura del mito del Golem, il servitore di cui si perde il controllo, metafora di una tecnologia sfuggitaci di mano e diventata minacciosa. Qui il robot assurge invece a simbolo della razionale follia dell'uomo, in cui esso non è che strumento meccanico, dispensatore serializzato di morte, catena di montaggio della distruzione, pianificata scientificamente e massima espressione del nostro modello di consumo. Una differenza fondamentale, che costituisce gran parte del valore del film.