Intervista a Giacomo Bevilacqua: da a Panda piace ad Attica, il primo manga di Bonelli

Abbiamo intervistato Giacomo Bevilacqua, l'autore dietro ad Attica, il primo manga pubblicato da Sergio Bonelli Editore.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Conosco Giacomo da qualche anno, e prima di avere il piacere di conoscerlo ero già stato un suo lettore dai primi tempi di "A Panda Piace". Il personaggio di Panda è tenero, incantevole e riesce a raccontare gran parte dei dubbi e delle perplessità della vita di tutti i giorni, ma con un tono leggero e coinvolgente, perfetto per spiegare qualcosa anche a chi, come chi vi scrive, non sempre ha tutta questa voglia di fare i conti con i propri difetti. Giacomo, insomma, si è dimostrato da subito un talentuosissimo autore, e non fosse bastato Panda lo ha dimostrato al pubblico diverse volte, quando negli anni si è cimentato in una moltitudine di esperimenti narrativi: dal racconto d'autore di "Il suono del mondo a memoria", in cui Giacomo ci ha messo un po' di sè stesso e del suo amore per New York, sino all'horror di Lavennder, arrivando - infine - ad Attica.

Ma che cos'è Attica e perché vale la vostra attenzione? Attica è un manga, ambientato in grecia, scritto e disegnato da un italiano e pubblicato da una casa editrice che, fino a qualche anno fa, nessuno avrebbe mai scommesso avrebbe pubblicato un manga. Quella casa editrici è la Sergio Bonelli eùEditore, che da Tex e Texoni vari è passata, negli ultimi anni, a sperimentare per le vie più traverse. Lo ha fatto con il racconto one shot in cui si è incastrato proprio Lavennder, lo aveva fatto con il seriale breve di Caravan e con quello più lungo di Orfani, e più di recente ha sperimentato ancor dando carta bianca ad Uzzeo e Masi per il loro "Il Confine" e ora anche a Giacomo per il suo manga. Ma ha senso un manga in Italia? E se ne ha, perché dovrebbe valere la pena leggerlo? Lo abbiamo chiesto proprio a Giacomo, in questa intervista che abbiamo voluto online proprio oggi, venerdì 22 novembre, ovvero giorno di uscita in fumetteria del primo numero di Attica.

Che cosa ne pensi di quelle persone che si sono dimostrate titubanti nei confronti di un manga italiano, pubblicato per altro da una casa editrice storica come Bonelli?

Guarda, fino ad ora ci sono state solo reazioni positive. Ho vissuto in prima persona una cosa a Lucca che non mi aspettavo affatto, ovvero: in fila per farsi autografare il primo volume c'erano tantissime persone tra cui moltissimi lettori storici di Bonelli che hanno acquistato Attica e mi hanno chiesto delle dediche per i propri figli. La loro reazione è stata positiva perché pensavano che finalmente, grazie ad Attica, avrebbe avuto un pretesto per instradare i loro figli ai fumetti Bonelli. Ovviamente questa è una cosa che mi ha fatto tantissimo piacere, anche perché, come sai, per me le critiche lasciano il tempo che trovano. Mi piace concentrarmi sulle cose positive e tra queste, che dirti, ci sono un sacco di lettori storici che hanno acquistato il manga per i figli e che poi mi hanno confessato di averlo letto e di averlo apprezzato. Tra questi mio padre che, insomma, è un lettore storico di Bonelli anche lui…

È un integralista dei fumetti Bonelli?

Beh, lui legge un sacco di fumetti diversi, ma il manga non è proprio roba per lui.

Perché hai voluto fare un manga?

Ho sempre voluto fare un manga, perché comunque vengo da quella generazione che, vuoi o non vuoi, è cresciuta con i manga. Sì, legevo un sacco di fumetti di mio padre, però è ovvio che vengo da quella cultura lì, quella dei manga. Ken il guerriero della Granata Press, per dirti, è stata la prima serie che ho collezionato per intero. Ovviamente ho letto e collezionato anche tutto quello che è arrivato in seguito come Dragon Ball, Video Girl AI, Zetman e tantissima altra roba. Al di la del fatto che leggessi anche fumetti Marvel come X-Men o Avengers, penso che la mia formazione derivi praticamente dai manga e dagli anime. Oltre a questo c’è un motivo personale che riguarda la mia formazione alla scuola di fumetti.

Cioè?

Quando entrai a scuola e cominciai a fare i primi disegni, i miei docenti mi dissero che con il mio stile non sarei arrivato da nessuna parte. Che il mio era uno stile influenzato dai manga, che dunque non era adatto ad un paese come l’Italia. E quindi ci ho provato e già con Metamorphosis avevo cercato di portare quello stile manga in una produzione a fumetti italiana. Attica, quindi, è nato dalla mia volontà di voler portare un manga nella scuderia di quella che è la casa editrice italiana per eccellenza e che forse, qualche tempo fa, mai si sarebbe spinta a produrre un manga a 360°. Esperiementi ce n’erano stati, penso ad esempio ad alcune storie di Nathan Never che, per stile dei disegnatori, si erano avvicinate al genere, ma qui la questione è diversa. Attica è un manga in tutto e per tutto.

Parli del contenuto?

Non solo di quello, ma anche del metodo di lavoro che ho attuato. Per fare questo manga ho utilizzato un metodo di lavoro particolare, per cui mi sono scritto, disegnato e rifinito 800 pagine in meno di 2 anni: un ritmo di lavoro che mi ha fatto capire il perché tanti mangaka stiano a pezzi.

La mole di lavoro è il motivo per cui è un manga di soli sei numeri o c’è dell’altro? Mi spiego: un manga è caratterizzato da una lunghissima serialità. Attica è invece fatto e finito e sarei curioso di capire perché non si sia optato per una serie più lunga.Il discorso è semplice: partiamo dal presupposto che un manga classico, prima di essere raccolto in forma di tankobon, viene pubblicato in parti brevi all’interno di quelle che sono le tipiche riviste contenitore giapponesi. Un qualcosa che in Italia non si potrebbe fare, perché non esiste un settimanale simile anche se, diciamocelo, sarebbe mega fico se esistesse una cosa del genere che dà da mangiare a 100 autori ogni mese…

Chiuderebbe dopo il primo mese probabilmente…

Beh certo. Dovrebbe essere una cosa con la forza per sopravvivere e se fosse possibile sarebbe una roba rivoluzionaria nel nostro paese. Ma, appunto, non essendoci una cosa del genere quello che ho dovuto fare io è stato quello che ho sempre fatto: creare una storia con un inizio e una fine, dei personaggi con un arco di crescita e mettere il tutto in un pacchetto che fosse pubblicabile da una casa editrice che ha voglia di sperimentare. Cosa che la Bonelli sta facendo. Chiaramente, nonostante la voglia che ha la Bonelli di scommettere in questo momento, se io mi fossi presentato chiedendo di scommettere su di me che scrivo e disegno un manga infinito è ovvio che il progetto sarebbe stato irrealizzabile. Senza contare che non ce l’avrei fatta fisicamente. Sei numeri da 140 pagine mi sembrano un compromesso accettabile.

Anche perché comunque, come hai detto, è stata una bella mole di lavoro.

Eh si, e non indifferente. Anche perché qui non si parla di un personaggio come Panda con cui puoi giocarti tutta una serie di soluzioni di disegno che ti semplificano la vita. Qui si parla di un fumetto che deve avere una certa struttura sia nei personaggi, che nelle fisionomie che negli sfondi.

Il manga si chiama Attica, come la città greca che è al centro delle vicende. Perché hai scelto proprio Attica?

L’ho fatto perché la Grecia è, vuoi o non vuoi, la culla della civiltà. La penisola ellenica è il luogo che mi sembrava più adatto per narrare questa storia che, in fin dei conti, è una storia di chiusura culturale. Mi piaceva quindi questo concetto della culla della civiltà che, ad un certo punto, si è chiusa dietro a queste alte mura, al cui interno non c’è più nulla che possa nascere. Tutto quello che c’è dietro alle mura di Attica è deciso dal Presidente della città. Non c’è apertura mentale, non c’è crescita culturale e persino internet è un luogo chiuso, limitato dai confini decisi dal Presidente. Eppure all’esterno, il mondo ritiene Attica una città perfetta ed avanzata da seguire come modello quando invece è solo un’utopia di facciata i cui cittadini non pensano ad altro che a sé stessi.

Perché delle mura gigantesche? Lo spunto lo hai avuto da altri manga come L’Attacco dei giganti?

Guarda, in realtà non ho letto il manga. Ne ho letto qualche numero ma, salvo My Hero Academia, non ho avuto tempo per leggere manga recenti con una lunga serializzazione. La qual cosa mi ha portato pure ad abbandonare One Piece… in ogni caso la questione delle mura, più che altro, nasce dall’ispirazione dell’attuale situazione politica e dalle mura, reali o fittizie, che oggi molti politici tirano in ballo per proteggere i propri confini immaginari. L’esigenza delle mura è nata da qui, dall’esigenza di raccontare qualcosa di reale e concreto.

Ed a proposito di citazioni o non citazioni. Quando ho visto il personaggio di Foxtail non ho potuto fare a meno di pensare a Gai Maito di Naruto. L’abbigliamento mi sembra davvero simile, almeno qui dimmi che c’ho preso!

Certo, per lo smanicato! Guarda, io ho una passione per lo smanicato. È un qualcosa che fa parte proprio della mia cultura dai tempi del liceo…

Quindi mi dici che esiste una “cultura dello smanicato”?

Secondo me c’è una cultura del coatto romano che non ti abbandona mai più. Scherzi a parte, ci hai visto bene. Quello smanicato vuole essere un omaggio proprio a Naruto che secondo me è uno dei manga con i personaggi più fichi in assoluto.

Ora che mi ci fai pensare, in Naruto i personaggi ignoranti hanno quasi tutti uno smanicato o un abbigliamento senza maniche…

Eh si, sono i Chunin, quindi i ninja che non sono più alle prime armi. Praticamente in Naruto il momento in cui ti danno lo smanicato è quello in cui ti dicono che sei uno forte. Scherzi a parte, io sono un grande appassionato di tokusatsu (termine con cui si definiscono le serie tv giapponesi di genere fantascientifico e fantasy ndr.) e Super Sentai (sottogenere televisivo a base di squadre di personaggi in stile “Power Rangers” ndr.). Ne colleziono a bizzeffe tra Kamen Raider, Ultraman e simili e mi piaceva l’idea di inserire nel mio racconto un personaggio su quella falsariga lì ma che avesse delle caratteristiche un po’ anomale. Per esempio, posso già dirti che i manga diventerà un racconto on the road nel numero 2 e l’alter ego di Foxtail, ovvero Aiden, se ne va in giro con uno zaino con dentro il pigiama, le mutande e i calzini. Quando poi si trasforma lo zaino con la roba sta sempre lì, non è che sparisce e questa cosa mi faceva molto ridere. Sono piccolezze ovviamente ma che raccontano un po’ di quello che mi piace: io, per dire, lo zaino me lo porto in giro da quando sono un ragazzino, è una cosa che fa parte di me.

Appassionato di zaini e smanicati quindi!

Però lo smanicato non me lo metto più!

Il volume è molto bello ma c’è una cosa che non mi è chiara. Alla fine del primo volume hai messo un prologo. Non all’inizio, alla fine, e questa cosa mi ha un po’ straniato. Perché è lì?

In realtà quel prologo è il numero zero che abbiamo pubblicato lo scorso anno per il free comic book day. Per altro fu la prima volta per Bonelli. Quel prologo assume comunque una certa importanza nello schema generale delle cose e nello sviluppo dei personaggi. Penso che l’opera, che è corale con i suoi 5 protagonisti, sia abbastanza complessa ma, al contempo, pensavo che il primo numero mostrasse troppo poco. O almeno questo era il mo timore. Questa cosa mi ha portato a chiedere alla Bonelli la possibilità di avere un primo numero che, invece di 140 pagine ne avesse 160, così da poter proprio inserire questo prologo. Si tratta però di una versione di quel numero zero un po’ modificata e con qualche aggiustamento che dunque è stato aggiunto alla fine poco prima di andare in stampa.

Sempre parlando di questo primo volume, all’inizio di esso ci sono i crediti di collaborazione con due altri grandiosi artisti romani, ovvero Emilio Lecce e Davide “Dado” Caporali. Immagino che la collaborazione sia scaturita dalla necessità di consegnare un lavoro di ottima qualità ma ad un ritmo molto serrato, giusto? Per altro se non sbaglio li selezionasti da una richiesta pubblicata su Facebook un paio di anni fa, o sbaglio?

Come ti ho detto, volevo avvicinarmi allo stile di realizzazione di un manga anche dal punto di vista lavorativo, con una schedule molto serrata ed un approccio di un certo tipo. Per questo mi è sembrato naturale cercare un aiuto e, ricordi bene, feci un annuncio si Facebook per selezionare dei collaboratori. Per altro ancora oggi mi fa ridere il fatto che scrissi su Facebook che cercavo degli assistenti per un progetto importante e di un certo livello, con una casa editrice di primissimo piano e per questo ricevetti un sacco di critiche…

Perchè?

Perché molte persone si lamentarono della mancanza di informazioni concrete. Io, al tempo, avevo ovviamente firmato un contratto di non divulgazione e non potevo dire a chiunque di cosa si trattasse. Molti non vollero inviarmi nulla per questo motivo e io pensai che era una cosa un po’ assurda. Cioè, al di la di tutto ho comunque 10 anni di esperienza in questo settore e non credo si potesse pensare che la mia ricerca di collaboratori fosse tanto per far perdere tempo a qualcuno. Comunque alla fine di questa selezione le persone più adatte sono state sicuramente Emilio Lecce, per il modo che ha di disegnare gli sfondi e di utilizzare i chiaroscuri, e Dado che ha un tipo di disegno e inchiostrazione che sfocia molto nel manga. Nei primi due volumi entrambi mi hanno dato una mano su qualche sfondo e qualche grigio. Dopo è andato avanti solo Emilio, e solo per i grigi, perché poi ho cambiato metodo di lavoro, ma Dado è poi tornato nel quinto volume per una storia spin-off su di un personaggio che, per altro, è interamente inchiostrato da lui. Tra l’altro questo spin-off è su di un personaggio davvero antipatico e comparirà nel terzo volume.

Se è antipatico perché dedicargli uno spin-off?

Perché di questo personaggio ho l’idea che sia scomodo, brutto e terrificante, e mi piaceva l’idea che un personaggio così restasse “scomodo” anche per i lettori, anche se poi non era necessario in termini narrativi. Lo so, è una cosa assurda, ma mi piaceva l’idea e per questo il volume 5 è anche un po’ più breve di qualche pagina, proprio perché ci serviva spazio per questo spin-off.

Dopo questo ciclo di pubblicazione degli ultimi anni che ti ha visto su Panda, Il suono del mondo a memoria, Lavennder e ora su Attica, cosa succederà? Tornerai a Panda o ti concentrerai su qualcosa di completamente diverso?

Io mi annoio facile, parliamoci chiaro. C’è un romanzo di King, Insomnia, in cui il protagonista ad un certo punto dice: “Each thing I do, I rush through so I can do something else”. Ovvero: “qualunque cosa faccio, la faccio in fretta così posso passare ad altro”. Questa non è a mia filosofia di vita, eppure mi rendo conto che quando sono bloccato su qualcosa di lungo, la mia testa vaga e mi ritrovo a pensare già ai prossimi progetti. Ora, visto che soffro molto di questa cosa, ho la tendenza a fare cose estremamente diverse le une dalle altre, anche se ovviamente sono io la matrice. Mi piace pensare che per noia salto da una parte all’altra e, per lo stesso motivo, i miei lettori alla fine mi seguono, forse domandandosi dove andrò a parare con la prossima storia.

Ma di Panda che mi dici? Ti sei scocciato?

Panda è una parte di me, non mi sono scocciato di farlo. Il punto è che quando sono a lavoro su progetti grandi come Attica, per forza di cose devo mettere Panda da parte. Perché poi possa riprenderlo c’è bisogno di grandi avvenimenti nella mia vita, perché comunque Panda è una sorta di diario a cui, poco ma sicuro, voglio tornare.

Ti è mai venuto in mente di lasciarlo andare? Di metterlo da parte e non riprenderlo più?

Me lo chiedi perché ti sta sulle scatole Panda?

Dai, lo sai che non è così. Ed anzi, penso sinceramente che “Ansia la mia migliore amica” (ultimo volume dedicato al personaggio, pubblicato da Panini Comics ndr.) è una delle cose più belle che hai fatto e mi è piaciuto molto più de “Il suono del mondo a memoria”.

Grazie! A questo punto ti dico che mi piacerebbe una versione a colori di quel libro da fare entro breve.

Sarebbe fico! Personalmente trovo che con Panda, che è un personaggio “morbido” sia per come si presenta che per come racconta le cose, sia molto più semplice identificarsi ed identificare i proprio problemi. Questo, ovviamente, non è un problema del tuo modo di raccontare ma una riflessione strettamente personale.

Si ho capito bene quello che dici e penso sia vero.

Al di la di questo, quando parlo con un autore che si accompagna da tanto tempo ad un personaggio, mi viene sempre da chiedermi se esista un momento in cui l’autore capisce che il personaggio si deve fare da parte.

Io mi sono reso conto che ci sono dei temi e delle persone che posso raggiungere con Panda, che fanno sì che sia difficile che io possa abbandonare Panda. Ad esempio ho da poco fatto un opuscolo a fumetti di 32 pagine per il GSE (Gestore Servizi Energetici ndr.) italiano, che è un ente pubblico, che tratta di riciclo e uso ponderato delle energie. Penso che questo sia un tema che non sarei stato in grado di trattare se non avessi fatto usando Panda ed il suo tipo di narrazione. Senza Panda ne sarebbe venuta una roba illeggibile, a metà tra qualcuno che cerca di farti una paternale e chissà che cosa. Panda mi da la possibilità e i mezzi di esprimere tanti concetti complessi in maniera semplice senza che per questo perdano della loro forza e della loro complessità. Ormai è un meccanismo mentale che mi viene automatico ogni volta che penso a Panda, tanto che ormai considero il personaggio una condizione mentale nel quale mi rifugio ogni volta che ho bisogno di scrivere determinate cose.

A proposito di Panda e i suoi amici. Tu sei un grande amico di Zerocalcare e insieme stavate mandando avanti un progetto chiamato “Caldaje”. A che punto state?

Questa è una domanda che ci fanno tutti. Attualmente abbiamo dovuto abbandonare il progetto per mancanza di tempo. Io con Attica e lui sul progetto della sua serie animata a cui, per altro, sto collaborando… e non so perché Michele non lo dica. Comunque Caldaje però non è morto! Ci sarà un ciclo di chiusura sottoforma di vignette che posteremo sui social ma ci serve del tempo. Caldaje cambia format con un finale prematuro ma non lo abbandoneremo. Per il resto, ci sentiamo quasi tutti i giorni e di materiale ce ne sta. Ci manca il tempo.

Quindi stai collaborando con Michele sulla sua serie animata? Ti stai approcciando all’animazione? Avevo visto che avevo già fatto qualcosina con Panda su Facebook se non sbaglio…

Guarda, ti fermo subito. L’apporto che sto dando a Michele su questo lavoro non è dal punto di vista tecnico sull’animazione o simili. Quello per cui Michele mi ha chiamato è un supporto registico su tutta una serie di faccende. Un aiuto che mi ha chiesto per la mia esperienza pregressa perché, come sai, venendo da un passato in teatro e tv ho sviluppato una certa visione registica. Parlo di posizionamento della musica, oppure in che modo inquadrare certe situazioni.

Insomma, trovate sempre un modo di collaborare.

Certo, per altro lui è anche ospite di Attica! Alla fine del primo numero c’è una sua illustrazione inedita.

Ho notato! Ed anzi, ho visto che ci sono diversi ospiti in realtà alla fine del fumetto.

Ogni numero avrà un ospite principale, che ha contribuito al numero con una illustrazione inedita, più un carnet di persone che su internet stanno partecipando ad una sorta di sfida, la “Attica Challenge”, per cui sto chiedendo alla rete di disegnare dei tributi basati sui personaggi che sto postando già da qualche tempo su Facebook. Molte persone, tra cui tanti amici e colleghi, mi hanno inviato tantissimi disegni. Per altro questa cosa mi ha anche permesso di seguire sui social tantissimi artisti molto bravi che fino a ieri non seguivo o conoscevo e ne ho inseriti parecchi già sui primi due volumi. Da poco inoltre, è partita la terza challenge.

A questo punto uno che sta leggendo questa intervista adesso e vuole partecipare, come fa ad unirsi agli autori che stanno tributando Attica?

Basta andare su Instagram, sul mio profilo @Keison22 e lì ci sono le immagini di Attica con le regole. Queste, per altro, sono davvero semplici: basta ripubblicare sul proprio profilo il disegno con accanto il mio e scrivere #atticachallenge e taggare il mio profilo sull’immagine.

Recentemente ho parlato con Lorenzo Palloni e Chiara Macioci della questione dell’autorialità e dell’autore. Oggi con la questione dei social è cambiata la prospettiva sulla questione dell’autorialità e se riesci a costruirti un seguito dal punto di vista social la tua immagine viene traslata al di fuori del tuo profilo lavorativo. L’autore oggi, almeno dal mio punto di vista, è diventato un mega-ibrido che è autore, influencer, testimonial e non penso sia più chiaro cosa significhi oggi essere un autore oggi. Tu come la vedi?

Secondo me la risposta a una domanda del genere si definisce a seconda di come uno interpreta la sua autorialità. Per me oggi un autore ha due alternative: o deve soffrire o si deve divertire. Le due cose possono coesistere e, parliamoci chiaro, questo è un lavoro in cui se vuoi arrivare ad un certo livello si deve lavorare molto e non smettere mai di studiare. Se non ti diverti nel fare tutto questo allora non lo fai. Il lato social della faccenda è un surplus perché chi si dedica ad una vita simile ha poi la stessa “linea di dolore e divertimento” anche al di fuori del lavoro. Sempre riguardo alla questione dei social, pensa a Dado: io conoscevo Dado da prima che diventasse famoso sui social, mi piaceva già il lavoro che faceva su Maschera Gialla. Oggi, però, si è creato sui social un mondo che funziona benissimo, perché aveva i mezzi e la possibilità di fare quella cosa in quel modo e gli è riuscita benissimo. Ora, questa capacità ce l’ha solo lui, perché andando in giro su Instagram si trova la qualunque, anche spunti divertenti sulla vita genitoriale, però sono poche le persone riconoscibili che riescono a fare qualcosa di davvero originale. Ecco, Dado è stato uno di questi. Uno che ha trovato una dimensione precisa, e non è che Dado non fosse Dado prima dei social. Dado era sempre Dado, ed era comunque bravo. I social amplificano quello che sei sempre stato.

Quindi è andata così anche per te?

Certo! Lle cose che dico sui social le direi anche nel mondo reale. Chiaro che non faccio la stupidaggine di dire qualcosa pensando di stare nel salotto di casa mia e credimi, questo è un discorso molto importante: i social devono essere un luogo in cui si parla con un minimo di contestualizzazione. Io ho fatto degli errori in passato, scrivendo sui social qualcosa che magari ho pensato riportandola così com’era ed è stato uno sbaglio. Quando uno sta sui social deve imparare a regolarsi. Questo vale per tutti, ed essere un autore, essere una figura pubblica, significa ancor di più dover tarare quello che dici perché, in ogni caso, quello che scrivi sui social ti rappresenta.

Ultimissima domanda: visto che so che sei un folle sono curioso di sapere su quanti progetti che ti sei appuntato o che hai messo nei cassetti del tuo studio stai effettivamente lavorando adesso.

Ti stupirò: Attica mi ha impegnato davvero per tanto, anche dal punto di vista della fatica, quindi su carta sto lavorando esclusivamente sulla nuova graphic novel di Bao Publishing che uscirà nel 2021.

Già titolata?

No, ha solo un titolo provvisorio per ora.

Ok, ma mi dici almeno di che parla?

In linea di massima è una storia ambientata in un’Italia del futuro con protagonista una ragazza e il suo cane. Per ora ho in mente solo la macro trama e la sto sceneggiando adesso.

Quindi da ora a due anni lavorerai solo su questo?

Come ti ho detto, nel mentre, non mi dispiacerebbe vedere Ansia la mia migliore amica a colori.

Non lo abbiamo detto: è una cosa che si farà sul serio?

Sì, e c’è già un dialogo in merito. Per altro mi piacerebbe molto e so che farà piacere anche ai fan di Panda, per cui spero che il dialogo con l’editore si concretizzi. Per il resto è chiaro che ho tante idee, tra cui molte relative il futuro di Attica, ma siamo seri: ci sono un botto di fattori che devono unirsi affinché queste cose possano realizzarsi, primo fra tutti la speranza che ai lettori piaccia.

Beh, mi pare di capire che le vendite a Lucca in anteprima siano andate molto bene, perché il giorno che son passato a prenderlo non l’ho trovato…

Non solo le vendite a Lucca, ma anche i preordini sono andati bene, tanto che si è dovuto slittare di una settimana l’uscita del primo volume. Doveva uscire infatti il 14 novembre, ma alla fine uscirà questa settimana, il 21 o il 22. Questo perché la Bonelli ha voluto accontentare tutte le richieste per tempo. Seguendo la mia pagina Instagram, per altro, i lettori potranno seguire l’annuncio delle date del mini-tour di presentazione della serie in cui girerò le città per firmare i volumi. Per il resto, tornando ai progetti, per ora sono ancora impegnatissimo a lavorare su Attica per cui mi sto occupando di impaginazioni, redazionali, raccolta dei tributi della challenge e quant’altro. Sto facendo tantissime cose in prima persona, anche se vorrei spezzare una lancia a favore delle persone che mi hanno aiutato ovvero: Giovanni Masi, che mi ha fatto da story editor iniziale per la serie, mettendo a posto le idee sfasate che avevo; Dado ed Emilio Lecce che mi hanno aiutato e Marina Sanfelice, ovvero la letterista Bonelli che sto facendo impazzire, visto che i balloon dei dialoghi li ho messi da solo e sono un maniaco del controllo. La ringrazio particolarmente perché sta facendo un lavoro splendido e poi, ovviamente, ringrazio la Bonelli che per la prima volta dal 1940 sta facendo un manga e lo sta facendo fare a me. Per cui penso che dire grazie all’editore sia davvero il minimo. Pare scontate, ma non lo è.

Immagino che senti la responsabilità di una cosa del genere.

Si è così. Perchè se Attica va bene si può aprire la strada ad altri progetti. Ad autori che, come me, sono appassionati di manga e magari hanno anche loro qualcosa da dire in tal senso. Gente che è nata e cresciuta con i manga, che li respira e che ha voglia di disegnarli e raccontarli e che, a questo punto me lo auspico, possano poi proporre le loro storie.
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