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Outer Range, recensione: tempus fugit country style

Outer Range, tempus fugit country style nella serie di Prime Video con Josh Brolin: una delle più interessanti attualmente sulla piattaforma.

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Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Pubblicato il 20/05/2022 alle 09:00 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 11:09

Quando Prime Video ci aveva invitati ad avventurarci nelle sterminate pianure del Wyoming con i primi quattro episodi in anteprima di Outer Range, l’incontro con la famiglia Abbott ci aveva lasciato con parecchi, intriganti interrogativi. La prima sensazione era stata quella di trovarsi di fronte a un esperimento di intreccio tra le trame tipiche di serie come Yellowstone e le tematiche dei mondi paralleli, un pur sempre affascinante concept narrativo che si sposa alla perfezione con il viscerale domandarsi quali altre direzioni avrebbe potuto prendere la nostra vita. Alla conclusione della prima stagione di Outer Range, gli otto episodi sono stati capaci di dare nuova forma a queste nostre impressioni, lasciandoci l’impressione di aver assistito a una serie intrigante. Non perfetta, come vedremo, ma dotata di un proprio carattere che potrebbe trovare in una seconda stagione un maggior equilibrio.

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Quando una serie si azzarda a giocare con i mondi alternativi o i viaggi nel tempo, come nel caso di Outer Range, si viene tentati dal fare scomodi paragoni con altre opere del genere. Nel comparto seriale, l’idea di viaggi nel tempo è dominata, negli ultimi anni, dalla complessa architettura narrativa di Dark, la serie Netflix che ha sfidato gli spettatori a comprendere le possibilità e i paradossi dei cronoviaggiatori. Outer Range, precisiamolo subito, non pare spingersi verso una così impegnativa definizione delle complessità dei balzi temporali, mantenendo l’attenzione del pubblico sul presente, calando la vicenda della famiglia Abbott un sin troppo terreno ambiente rurale.

Outer Range, il tempo è una percezione personale o assoluto?

La scelta di ritrarre un angolo di America ancorato a tradizione dal sapore antico può anzi essere visto come un elemento essenziale della definizione di tempo all’interno di Outer Range. Tempo inteso non solo come dimensione, ma soprattutto come percezione personale, un modo intimo di vivere e ricercare la propria definizione all’interno di un mondo che sembra, in più occasioni, spingerci verso una direzione differente. L’angolo di Wyoming in cui siamo portati dalla serie di Prime Video diviene, sotto questo aspetto, un microcosmo a sé stante, non definito tanto dall’aderenza a un mondo, quanto dal proprio esser refrattario al mutamento, ancorato profondamente a un’identità cristallizzata. Non è un caso se i due cardini su cui ruota l’intera vicenda, Royal Abbott (Josh Brolin) e la misteriosa Autumn (Imogen Potts), incarnino due antitesi: il preservare il proprio mondo e la voglia di spaccare la consuetudine, imprimendo nuovo slancio.

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Royal Abbott (Josh Brolin) è il patriarca di una famiglia di allevatori legata alle tradizioni dei rancheros, seguendo una cultura che sembra in contrasto con i tempi moderni. Una difficoltà vissuta anche economicamente, che porta la famiglia confinante, i Tillerson, ad avanzare pretese su un appezzamento della loro tenuta. Una lite tra confinanti che incarna la rivalità storica tra le due famiglie, con gli Abbott che si ritrovano a dover vivere una traversia personale, legata a un evento tragico che sconvolge i rapporti tra le due famiglie. La morte violenta di uno dei figli dei Tillerson, legato a una rissa con i giovani Abbot, inasprisce la situazione, specialmente in una comunità ristretta come quella di Wind River, perfetto ritratto dei tipici piccoli centri, mondi asincroni in cui la tradizione e la preservazione delle proprie consuetudini è una legge non scritta. Una situazione sociale che costringe Royal Abbott a compiere scelte difficili per proteggere la propria famiglia e al contempo scoprire quali segreti siano nascosti dietro la misteriosa apparizione che fa la sua comparsa nel terreno della sua famiglia.

A rendere ancora più inquietante la situazione è la presenza di questa oscura cavità, perfettamente e innaturalmente circolare, che pare nascondere insidie e possibilità. L’arrivo di una giovane raminga, Autumn (Imogen Potts) che custodisce un segreto che la lega al patriarca degli Abbott renderà il tutto ancora più complesso, ma al contempo si rivelerà un momento di svolta per Royal. O forse, una resa dei conti a lungo rimandata, la rivelazione di un segreto che l’uomo ha gelosamente custodito anche ai propri famigliari, temendo di sconvolgere la loro esistenza con una storia dai toni irreali.

La trama di Bryan Watkins non manca di mostrare, nelle sue radici, una linearità con le altre serie di quel neo-western che sembra volersi imporre come uno dei nuovi generi narrativi della serialità. Il paragone con il citato Yellowstone, quindi, diventa inevitabile, creando una sorta di eco in alcuni passaggi, frutto di un ambiente sociale condiviso, più che di una voglia di emulazione. Un’identità complessa, almeno nei primi episodi, che nella scansione dei tempi e nella creazione degli eventi che mettono in moto la trama principale sembra voler premere sull’emotività dello spettatore affidandosi a meccaniche vicine alla narrativa di King: dialoghi dai toni inquietanti e caratterizzazione dei personaggi tagliente, melliflua. La componente di family drama è focale nella caratterizzazione di Outer Range, che si affida a tratti tipici della cultura rurale americana, dai rodei al complesso rapporto con la religione, per dare vita a una serie di stridenti meccaniche umorali che rendono morbosamente affascinante il macchinoso avvio della serie.

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Le prime puntate di Outer Range sembrano voler confondere lo spettatore, nella scansione degli eventi, ma questa apparente dissonanza è funzionale alla sensazione di spaesamento dello spettatore, che deve percepire come ci sia qualcosa di misterioso, atavico che ci attende. La voragine nel terreno a cui sembrano puntare i segreti della famiglia Abbott assume una rilevanza quasi mistica, trattata con una sorta di reverenziale ma spasmodica curiosità che ricorda nella sua peculiarità non tanto gli enigmi di Twin Peaks, pietra di paragone spesso utilizzata in questi casi, quanto la spaesante e vibrante aura di mistero di Pic-nic a Hanging Rock.  Non solo per la presenza di un mistero radicato alla terra in cui si svolge la vicenda, ma anche per l’importanza con cui viene valorizzata la creazione di una mitologia locale, che in Outer Range viene solamente abbozzata in questa prima stagione, legandola essenzialmente a Royal e Autumn, coinvolgendo marginalmente i Tillerson.

Passato, presente e futuro in gioco

Pur contando su una perfetta scenografia che echeggia le ricche suggestione della serie, Outer Range mostra alcune fragilità in termini di coerenza, specialmente negli episodi centrali. Allo spettatore più attento non sfuggono i dettagli rivelatori che aiutano a comprendere rapidamente il mistero dietro l’identità di Autumn, rivelata nel finale con un plot twist convincente più sul piano realizzativo, reso con giusta drammaticità, che non a livello narrativo, complice una serie di rivelazioni che sviliscono quella che doveva essere la grande sorpresa del finale di stagione.

Colpa, almeno in parte, di una gestione non sempre oculata dell’equilibrio tra le diverse ispirazioni della serie, che passando dal thriller, al western e infine alla fantascienza mistica, rischia in alcuni passaggi di confondere più del dovuto. Comprensibile come questa identità poliedrica abbia richiesto di orchestrare con difficoltà il contesto narrativo di Outer Range, che pur trovando negli scenari e nell’impeccabile fotografica un’eco emotiva mai scontata, sembra mancare di coesione quando si avventura con eccessiva foga nel comparto metafisico. Elemento che trova invece un solido supporto nella colonna sonora, firmata da Danny Bensi e Saunder Juriaans, che scelgono tonalità vibranti per enfatizzare la suspence nei momenti di maggior intensità, non disegnando di appellarsi a musiche spiccatamente yankee con cui ribadire l’appartenenza di Wind River a un immaginario visivo che viene lentamente, ma inesorabilmente sgretolato, spiazzando gli spettatori.

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A salvare questo spaesamento è, incredibilmente, il ritratto da mondo essenzialmente arcaico di Wind River. I rituali campestri come il rodeo o la struttura sociale fortemente basata sulla solidità dei grandi clan di allevatori, come Abbot e Tillerson, sono tratti che qualificano questa enclave come fuori dal tempo, sospesa tra passato e futuro, rivestendo il presente di una inconsistenza che trova un’eco nelle vite dei protagonisti. Se da un lato Brolin e la Potts giganteggiano nella costruzione di un rapporto graffiante e disturbato, meno credibili sono alcuni personaggi, come Billy Tillerson (Noah Reid), che sembra patire nella prima parte della serie una scrittura che lo rende forzatamente dissonante con il suo ambiente, complicandone la credibilità nella seconda parte della stagione.

La prima stagione di Outer Range si conclude con una serie di fratture emotive e separazioni che lascia una profonda curiosità per gli eventi futuri. La sensazione di affascinante confusione e curiosità che ereditiamo da questi primi otto episodi è, in minima parte, dovuta alla gestione tutto sommato attenta dei misteri personali dei due pilastri della storia, Royal e Autumn, che affascinano e aiutano a dimenticare alcuni passaggi meno convincenti. La seconda stagione di Outer Range dovrà fornire alcune risposte, un’esigenza che se raccolta con sicurezza potrebbe rendere la serie di Prime Video come uno degli show più interessanti della piattaforma.

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