Peaky Blinders 6, recensione: la conclusione della saga dei fratelli Shelby

Arriva su Netflix Peaky Blinders 6, un capitolo apparentemente finale che tutto ha meno che il tono del canto del cigno.

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a cura di Manuel Enrico

You don’t mess with the fuckin' Peaky Blinders. Sin dalla prima stagione della serie dedicata alla banda criminale dell’Inghilterra di inizio ‘900, questo monito foriero di sangue e violenza ci ha accompagnati, un motto che ha trovato nelle imprese della famiglia Shelby una più che veritiera conferma. Quasi leggendari, i fratelli Thomas (Cillian Murphy) e Arthur (Paul Anderson) ci hanno accompagnato in un’ascesa dai bassifondi dei docks sino alle comode poltrone del parlamento, sino all’ultima stagione che arriverà su Netflix il prossimo 10 giugno. Abbiamo visto in anteprima Peaky Blinders 6, un capitolo apparentemente finale che tutto ha meno che il tono del canto del cigno.

Non potrebbe certo concludersi banalmente questa trionfale, seppure drammatica, ascesa di Tommy Shelby all’interno della rigida e corrotta società britannica. Per quanto basata sulla vera storia dell’omonima banda che tra fine ‘800 e inizio ‘900 divenne una presenza fissa nella cronaca dei giornali inglesi, i Peaky Blinders della serie di Netflix sono stati ritratti in modo differente, spostando il loro tempo a cavallo tra le due guerre. Non semplici criminali, ma un vero e proprio clan zingaro che, in cerca di un posto nell’Impero, ha deciso di seguire Tommy e Arthur, i due fratelli eroi di guerra, che al ritorno dalla Prima Guerra Mondiale decisero di non limitarsi ai bassifondi, puntando in altro. Forse troppo, vedendo come al termine della scorsa stagione le mire di Thomas si siano ritorte contro di lui.

Peaky Blinders 6, la saga dei fratelli Shelby giunge al termine

Avevamo lasciato i Peaky Blinders decimati, con la perdita importante non solo dei membri più vicini a Thromas, ma anche dell’amata Polly, scelta dettata dalla prematura scomparsa dell’interprete Helen McCrory. Un momento drammatico per Thomas, che nelle prime scene di Peaky Blinders 6 affronta questo lutto devastante, salvo poi proiettarci quattro anni più avanti, nel 1933. Il Proibizionismo in America viene abolito, tagliando quindi un remunerativo contrabbando, e in Europa i primi passi del nazifascismo conducono figure pericolose a emergere come nuovi punti di riferimento politico. Non ultimo, il rivale di Tommy Shelby, Oswald Mosley. Un’apparente catena di eventi che sembra condurre a una faticosa guerra di logoramento per i Peaky Blinders, costretti a difendersi sia sul piano criminale, dove sono ora decisamente in minoranza, che sul fronte sociale, con la figura politica di Tommy messa a dura prova.

Trovare un equilibrio tra la facciata e il lavorio nelle ombre di questa famiglia criminale non era semplice. La costruzione delle precedenti stagioni era una lunga ma meticolosa preparazione a questo momento culminante, che ha potuto contare sull’ispirata sceneggiatura di Steven Knight. Non ci sono momenti di respiro in Peaky Blinders, non esistono sorrisi sinceri che possono lenire l’animo dei protagonisti, tutto viene ricondotto a un’estenuante guerra di logoramento emotiva, in cui gli obiettivi di grandezza di Tommy, forse sin troppo ambiziosi, si scontrano con una realtà che presenta conti decisamente salati. Knight non lesina dolori e inganni, riesce a riservare poco spazio alle scene d’azione rendendole quindi particolarmente avvincenti e spettacolari, perfetti scatti di adrenalina in una trama che fa delle preparazione e della definizione del complesso arazzo di personaggi il suo punto di forza.

Peaky Blinders 6 ha il merito di ricollegare tra loro tutti i tratti essenziali della famiglia Shelby. L’origine gitana diviene cardine di un fulcro di episodi che stravolge profondamente Thomas, chiedendo a Cillian Murphy di superarsi nel trasmettere l’anima tormentata del capofamiglia. Dall’ossessione alla disperazione, sino alla rassegnazione e alla ricerca di vendetta, la misurata recitazione di Murphy è una componente impagabile della magnificenza della serie. Movimenti contenuti e misurati, espressioni rigide ma con il giusto guizzo di emotività, Murphy non manca mai di trasmettere allo spettatore l’essenza di Thomas Shelby, complice la presenza di un ottimo comprimario, Paul Anderson.

Non esisterebbe Thomas Shelby senza il fratello Arthur, ed Anderson rende onore al suo drammatico personaggio. Sconfitto dalla vita, assuefatto a droghe e alcol, Arthur sembra esser la pecora nera della famiglia, l’anello debole per via delle sue fragilità, eppure è nel suo momento più buio che ritrova la sua umanità. Il volto stanco e segnato di Anderson è impeccabile, accompagna una recitazione nervosa e corporea nevrotica, rivelatrice della complessità di Arthur.

Knight non si focalizza solamente sui character maschili, dando alle donne di Peaky Blinders 6 una preminenza. Sono infatti loro a mettere in movimento le grandi macchinazioni, non sono figure femminili passive, come dimostrano l’intraprendenza di Ada Shelby, grintosa donna emancipata e poco propensa ad accettare la staticità di una società in mutamento, o Lizzie Shelby, che tra lutti e tradimenti si concede di soffrire come viatico per ritrovare una forza d’animo magnetica.

Meno violenza e maggior emotività

Rispetto ai precedenti capitoli della saga, Peaky Blinders 6 non è generoso in termini di violenza e spettacolarità visiva, ma si concentra maggiormente sull’aspetto interiore dei personaggi, sul loro cercare di dominare un mondo che cambia, controllandolo anziché venirne controllati. Knight coglie un periodo particolare della storia britannica, le correnti filo-naziste, per mostrare una società corrotta e immorale, in cui persino la famiglia Shelby riconosce una degna avversaria. La presa di coscienza di Tommy, la sua rassegnata accettazione dell’esser parte, anzi, del voler esser parte di un meccanismo fatto di potere e macchinazioni, vedendolo come unico strumento per ripulire la propria anima corrotta. Peaky Blinders 6 è una dicotomia tra redenzione e peccato, tra il cercare di mondare il nome degli Shelby sul piano pubblico e l’aggrapparsi a un potere sanguinario che solo tramite il delitto e la criminalità può esser mantenuto.

Knight trova un felice equilibrio in queste pulsioni emotive, trovando nuovamente in Anthony Byrne una spalla perfetta. Dietro la macchina da presa già nella precedente stagione, Byrne ha la sensibilità di indugiare sui piccoli vezzi, sulle espressioni più rivelatrici dei personaggi, sfruttando una fotografica algida e oscura che viene spezzata da radi sprazzi luminosi, in cui fa muovere i personaggi con studiata maestria. Memorabili alcune scene, come la cena a casa Shelby o il regolamento di conti finali. Momenti degni del grande cinema dei gangster movie, che crea un’eco con cult come Il Padrino o Gli intoccabili per tensione e movimenti di camera, mantenendo comunque una propria identità.

Peaky Blinders 6 dovrebbe essere la conclusione di questa saga famigliare, ma il finale sembra lasciare spazio alle speranze di un ulteriore incontro con la famiglia Shelby, magari tramite un film conclusivo. Se così non fosse, il finale aperto di questa sesta stagione sarebbe comunque un degno epilogo per una delle serie più interessanti del catalogo di Netflix.