She-Hulk: Attorney at Law mette alla sbarra il Marvel Cinematic Universe, recensione

She-Hulk: Attorney at Law, Jennifer Walters spacca il Marvel Cinematic Universe dimostrando quanto la Fase 4 sia sperimentale.

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a cura di Manuel Enrico

Che non fosse la solita serie del Marvel Cinematic Universe era stato chiaro sin dal suo primo trailer, ma difficilmente ci si saremmo potuti aspettare che She-Hulk: Attorney at Law riuscisse a stravolgere con questa vivacità quello che sembrava un impianto narrativo granitico. Per quanto la Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe si sia dimostrata una parentesi fortemente sperimentale, complice la necessità di andare oltre i limiti imposti dalla perdita di figure chiave della saga dopo Avengers: Endgame, le produzioni precedenti, a partire da WandaVision, hanno mitigato questa necessità con un approccio non propriamente di rottura, stuzzicando la curiosità degli spettatori ma rimanendo comunque all’interno di una zona di comfort che non risultasse eccessiva.

Limite che è stato coraggiosamente infranto con She-Hulk. Non poteva esserci personaggio più adatto di Jennifer Walters per infrangere i limiti la grammatica del Marvel Cinematic Universe, cercando un nuovo equilibrio narrativo che potesse scuotere una saga che, inutile negarlo, comincia ad accusare pesantemente il peso degli anni. Pur concedendo tutte le attenuanti del caso alla Fase Quattro, e in attesa di vedere Black Panther: Wakanda Forever, è evidente che questa parentesi della saga sia la più debole, dove emerge una certa opacità nella costruzione di eventi e storie che possano appassionare. Ms. Marvel aveva illuso con i primi episodi, Moon Knight ha apparentemente peccato di lucidità nel dare vivacità a un personaggio complesso e necessariamente edulcorato nella sua essenza per poter essere ricondotto alla visione più delicata del Marvel Cinematic Universe.

She-Hulk: Attorney at Law, Jennifer Walters spacca il Marvel Cinematic Universe

Con Jennifer Walters, invece, queste remore sono state accantonate, offrendo quella che, specie alla luce di un finale magnifico, si presenta, assieme a Werewolf by Night, l’esperimento più riuscito della Fase Quattro. Un merito che non è frutto solamente di un complesso lavoro di scrittura da parte di Jessica Gao e della squadra, ma che ha messo in primo piano un’evidente criticità del franchise, mettendolo alla berlina assieme ai fan, non disdegnando di lanciare qualche frecciatina anche agli stessi estimatori del Marvel Cinematic Universe. Ironicamente, questa rottura con la consuetudine della saga, viene resa possibile realizzando quella che a oggi possiamo considerare come la più fedele trasposizione di un personaggio della Casa delle Idee all’interno del Marvel Cinematic Universe.

Difficile, magari, per chi ha conosciuto Vendicatori e altri personaggi solo al cinema apprezzare questo aspetto, ma questa metanarrazione intrecciata a una ragionata rottura della quarta parete è eredità di uno dei più felici capitoli della dimensione fumettistica di She-Hulk, La sensazionale She-Hulk di John Byrne. Non solamente perché in questa saga vediamo la tanto decantata rottura della quarta parete, ma perché Byrne per primo sembra cogliere le sfumature più intime e personali dell’eroina, rivestendo di comicità situazioni in cui emerge una vitalità palpabile, concreta.

She-Hulk: Attorney at Law vuole dare lustro a questo tratto del personaggio, ispirandosi alla verve narrativa di Byrne, cercando di adattarla alle potenzialità della serialità. Due linguaggi profondamente diversi, le cui differenze non tardano a tradire questo approccio, presentando momenti in cui la trama sembra perdere di lucidità, schiava di una costruzione quasi imposta dal canone del franchise. Potremmo citare numerosi esempi di questi cali, dall’uso poco convincente di Titania alla puntata matrimoniale, filler quasi avulso dalle dinamiche della serie. Eppure, sono queste fragilità, unite a un utilizzo della CGI non sempre entusiasmante, che rendono She-Hulk: Attorney at Law una ventata di freschezza, soprattutto perché sono crepe perdonabili in una produzione che con ironia e sicurezza presenta un punto di vista femminile sull’essere un supereroe, appellandosi a situazioni quotidiane cui le donne sono sottoposte, rendendole, in un certo senso, il vero cuore di Jennifer Walters.

Tatiana Maslany riesce a farsi interprete magnifica di questo dualismo, risultando perfetta nei momenti comici, grazie a una mimica che suscita subito simpatia, ma non mancando di lasciar emergere il giusto pathos nei momenti più drammatici. E non è un compito semplice, in una produzione in cui le battute non devono farci dimenticare che con sottigliezza si parla di temi attuali, dal revenge porn al cyber-bullismo, senza tralasciare la sotterranea disparità dei sessi, arrivando a deridere elementi controversi della narrativa superoica (come le ‘women in refrigerator’ teorizzate da Gail Simone) o ponendo un avvincente cambio di prospettiva sugli eventi, sovvertendo regole non scritte, ma ben radicate, dello show biz. She-Hulk non spacca, ma viene quasi spaccata da questa presa di coscienza di Jen, nasconde dietro i muscoli e un sorriso spesso di circostanza l’essenza di un’eroina che risulta ancor più credibile nelle situazioni in cui è la sua anima più intima a esser messa sotto la lente, consentendoci di scoprire una donna autentica.

Un nuovo inizio per il Marvel Cinematic Universe?

Il valore di She-Hulk: Attorney at Law, al netto dei citati difetti, è l’aver il coraggio di non limitarsi a spaccare la quarta parete, ma volere intavolare un discorso di auto-critica che riguarda l’interno franchise. L’ultima puntata, nella sua seconda parte, assume quasi i toni di un processo al Marvel Cinematic Universe, dove Jen passa dall’essere un difensore a comportarsi da accusatrice, facendosi in modo paradossalmente sublime voce delle lamentele recenti dei fan. E per farlo, viene costruito un finale in cui ogni elemento negativo, ogni stanca ripetizione del franchise viene prima inserita in quella che sembra essere una scrittura fuori controllo, salvo poi rendere questa spirale impazzita la scintilla vitale di un’auto-critica lucida e puntuale, capace di attaccare anche l’intoccabile Kevin Feige, intavolando una encomiabile pagina di scrittura. Anche salvifica e, rimanendo in tema, quasi una disperata arringa difensiva, che vorrebbe far dimenticare allo spettatore scelte prive di senso all’interno della serie (una su tutte, la presenza di Titania), lasciando il furbesco dubbio su quanto siano scelte volute per dare maggior corpo alla presa di coscienza finale dei Marvel Studios e quanto siano altresì frutto di una scrittura traballante.

Questo dubbio rimane nell’aria al termine di She-Hulk: Attorney at Law, che resta una serie fortemente divisiva. Chi non apprezza la metanarrazione e la sperimentazione narrativa accuserà la serie di avere voluto strafare, mentre altri potrebbero vedere in questo slancio creativo un punto di (ri)partenza per il nuovo corso del franchise. Come la si veda, She-Hulk ha dato comunque una scossa non solo al Marvel Cinematic Universe, ma anche al modo di vedere la figura delle supereroine nella narrativa cinematografica.

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