Il Marvel Cinematic Universe: la Fase Quattro non è la peggiore, ma potrebbe

La Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe non è il momento peggiore del franchise, ma potrebbe ancora diventarlo

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a cura di Manuel Enrico

Nonostante la roboante nuova avventura del Dio del Tuono, Thor: Love and Thunder, stia animando una vivace discussione nei fan del Marvel Cinematic Universe in merito alla visione dell’asgardiano offerta da Taika Waititi, serpeggia in questi commenti un altro grande interrogativo, che riguarda non solo questo film ma l’interno franchise: la Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe è la peggiore? Domanda lecita, che nasce dopo che la nuova era della saga degli eroi della Casa delle Idee si è già presentata in diverse forme, cercando di mostrare agli appassionati una nuova dimensione di questi eroi. Posizione non facile per i Marvel Studios e il patron Kevin Feige, che si ritrovano a dovere portare questo universo supereroico in una nuova direzione, dopo la perdita di figure chiave come Tony Stark e Steve Rogers.

L’inizio di questa posizione traballante coincide, non a caso, con il finale di Avengers: Endgame. Nomen omen, il capitolo finale della saga dei Vendicatori rappresenta un comodo exit point dal franchise, una vera e propria chiusura del cerchio per la lunga storia iniziata quando Tony Stark scampò alla prigionia dei Dieci Anelli diventando Iron Man, nell’oramai lontano 2008. Sono passati quattordici anni da quel momento, che hanno consentito ai Marvel Studios di pianificare una lunga avventura in cui nuovi eroi entravano in scena, ma sempre con un meccanismo ben rodato: creare un legame tra la storia e i singoli capitoli. Sin dalla scena finale del primo Iron Man, allo spettatore veniva indicata, seppure in modo lieve, una meta, segnando un ideale tracciato che consentiva di tenere sempre a vista dove si sarebbe arrivati. Che si trattasse di creare i Vendicatori o di salvare Bucky dal suo condizionamento, tra un film e l’altro c’era sempre un fil rouge che focalizzava la nostra attenzione, ci dava una parziale, ma sufficiente, visione d’insieme del progetto.

La Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe non è il momento peggiore del franchise

Da Gulmira a Endgame: l’avventura è al cinema

Per quanto le sale fossero divenute oramai casa per i fan del franchise, questa narrazione era, soprattutto, basata su un’unica forma: il cinema. I pochi esperimenti fatti per trasportare l’epica dei comics marveliani dal grande schermo alla serialità erano mirati a una sorta di companion, come le prime tre stagioni di Agents of S.H.I.E.L.D. o Agent Carter, che miravano a essere null'altro che uno sguardo curioso ad aspetti poco valorizzati al cinema, anche perché non erano centrali ai fini della storia. Tradotto: si potevano anche ignorare senza privare il Marvel Cinematic Universe della sua coerenza.

Questa formula consentiva quindi allo spettatore di rimanere legato allo spettacolo cinematografico, condizione che di rimando permetteva agli sceneggiatori di concentrarsi al meglio su una pianificazione a lungo termine basata su un solo tramite narrativo, il cinema appunto. Nessuna frammentarietà, tutto era servito direttamente in sala. Meccanica che è diventata quasi un tratto distintivo del Marvel Cinematic Universe, con gli spettatori che si sono abituati a rimanere in sala fino all’ultimo per la scena post-credit che avrebbe rivelato la prossima tappa del viaggio. E se vicino alla nostra poltrona c’era un appassionato dei fumetti che sapeva darci qualche indicazione in più, tanto meglio. La sensazione era quella di avere un percorso sicuro, fatto di passaggi obbligati e di rivelazioni sorprendenti, ma il senso di tutto era chiaro. E si vedeva nel modo in cui venivano presentati i diversi eroi, nell’evoluzione personale di ciascuno, in ogni fase era evidente che i tasselli del grande piano di Feige andavano a collimare nel giusto modo.

Metaforicamente, Avengers: Endgame è il degno finale dell’era d’oro del Marvel Cinematic Universe, della sua Golden Age. Va riconosciuto che dare vita a un pantheon supereroico di tale portate, per quanto complesso, sia tutt’altra sfida che mantenerlo vivo, soprattutto non deludendo le aspettative di un pubblico abituato sempre più all’eccellenza, alla rivelazione continua che alzasse ulteriormente la qualità delle produzioni. Soprattutto, un pubblico che improvvisamente si ritrova privo dei suoi punti di riferimento.

Un mondo in cerca di eroi

L’eredità di Endgame è un lascito di spaesamento, di mancanza di una direzione. Ed è intenzionale, considerato come il Blip abbia profondamente sconvolto il mondo, che improvvisamente scopre l’esistenza di incredibili minacce aliene e la non invincibilità dei propri eroi. Sul piano narrativo, questa chiave di lettura ci consegna un mondo privo di punti riferimento, profondamente ferito e ancora in guarigione, condizione che interessa anche la comunità metaumana del Marvel Cinematic Universe. Serie come WandaVision, The Falcon & the Winter Soldier o Hawkeye sono fondate su questo assunto, pongono gli eroi sopravissuti di fronte alle conseguenze emotive di quanto visto in Avengers: Endgame. Un approccio che chiarisce come la Fase Quattro sia una quasi una rifondazione, la ricerca di una nuova direttrice emotiva per il franchise che si fonda non tanto sullo stupore per la comparsa dei supereroi, come accaduto in precedenza, quanto sulla presa di coscienza della loro fallibilità, della loro umanità. Ecco quindi che Wanda cede alla sua disperazione o Sam affrontare il duro percorso di accettazione della responsabilità dello Scudo di Cap.

Narrativamente parlando, la Fase Quattro è la più impattante. Il senso di smarrimento, percepito anche in figure solitamente più leggere come Spider-Man, e una rinnovata percezione da parte di alcune figure che ‘da grandi poteri derivano grandi responsabilità’ è una delle forze trainanti dell’evoluzione del Marvel Cinematic Universe, che cerca di espandere questa sua dimensione eroica sfruttando ogni possibile strumento. E l’arrivo di Disney+ è stato visto come uno strumento troppo allettante per non rendere la serialità un altro tassello della costruzione del Marvel Cineamatic Universe del futuro.

Il servizio streaming Disney, complice la pandemia degli scorsi anni, si è rapidamente trasformato nella vera arena della Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe. A fronte di cinque film al cinema(Spider-Man: Far From Home, Spider-Man: No Way Home, Eternals, Doctor Strange nel Multiverso della Follia e Thor: Love and Thunder), da cui possiamo esclude il flashback Black Widow, la Fase Quattro è stata attualmente imbastita da ben sette serie su Disney+(WandaVision, Marvel’s What if…?, The Falcon and The Winters Soldier, Loki, Hawkeye, Moon Knight e Ms Marvel), con una presenza della serialità sempre più marcata rispetto alla realizzazione dei filme. Un radicale cambio approccio, che richiede inevitabilmente anche al pubblico di cambiare la propria interazione con il franchise: il cuore della narrazione ora è sul piccolo schermo.

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Se parlando delle precedenti serie, di cui solo Agent Carter è stata ricompresa nel canon del franchise, si era apprezzato la relatività indipendenza narrativa, con il nuovo corso impresso alla Fase Quattro sembra che sia la serialità a dare il ritmo di marcia al Marvel Cinematic Universe. Una scelta che spinge quindi il pubblico in cerca della visione d’insieme a non perdersi serie che si presentano come ponti ideali verso la Fase Quattro (come WandaVision), produzioni che completano i cicli precedenti degli eroi del franchise (The Falcon and The Winter Soldier, Hawkeye) e altre che invece sono ideate per esser i punti di partenza di questa nuova Fase del Marvel Cinematic Universe (Loki, Ms Marvel).  Questa interdipendenza rischia di scontentare i fan dei cinecomic marveliani, che potrebbero non essere interessanti a questa frammentazione, che ottiene il risultato di acuire il senso di smarrimento in cui versa ora il Marvel Cinematic Universe.

È necessario fare una precisazione, a favore dei Marvel Studios. L’uscita di scena dei pilastri delle precedenti fasi del franchise è un momento di transizione di difficile gestione, considerato che ora la comunità supereroica si ritrova non solamente in cerca di punti di riferimento, ma anche priva di un vero e proprio nemico che li renda coese le vite dei diversi personaggi. Che si trattasse di Loki, prima, e Thanos poi, gli Eroi più potenti della Terra e i loro compagni di avventura hanno goduto di una lenta ma affinata costruzione narrativa ed emotiva che ha dato loro il giusto spazio per crescere, evolversi, sempre all’interno di un ecosistema definito e la cui costruzione era più che salda.

Con il nuovo corso post-Endgame, la sensazione di non avere più un mondo strutturato e coeso si è fatta concreta, specchio sia di quanto provano i personaggi, che di una difficoltà che probabilmente stanno vivendo anche gli sceneggiatori. Dovere tenere vivo l’interesse per un franchise che in quindici anni ha stracciato record e abituato il pubblico delle sale a una determinata grammatica narrativa non è semplice, e andrebbe riconosciuto a Feige e ai Marvel Studios il coraggio di cercare nuovi linguaggi, di sperimentare. Affidare un film come Eternals a una regista del calibro di Chloe Zao o decidere di puntare a una metanarrazione come quella vista in WandaVision sono segnali di una volontà di non rimanere schiavi di uno stile narrativo che iniziava a mostrare i primi segni di cedimento. Una rivoluzione, se vogliamo, che non ha sempre dato raccolto il favore del pubblico, vedi Moon Knight, ma che dovrebbe esser comunque vista come una fase sperimentale, in cui accogliere lo sforzo dei Marvel Studios di battere nuove strade.

Allo stesso tempo, Feige e compagni dovrebbero ricordare che per anni gli spettatori sono stati educati dal loro lavoro a una determinata fruizione del Marvel Cinematic Universe, basata su tre, quattro appuntamenti annuali al cinema. Il nuovo approccio della Fase Quattro ha invece stabilito una nuova dinamica, più presente e assidua, con più titoli sul grande schermo e una produzione quasi continua di serie, condensate in una interdipendenza che richiese agli spettatori un maggior impegno, in termini di partecipazione a questo complesso racconto corale. Una richiesta che può non trovare terreno fertile, ma che ha, come contropartita, il difetto di mettere a nudo difficoltà strutturali nel proseguire il franchise, figlie di una necessità di fornire costantemente non solo una nuova avventure del MCU, ma al contempo popolare un catalogo, quello di Disney+, che mostra di volere sfruttare al meglio (al limite dell’abuso) le proprie Ip di maggior fascino, come il Marvel Cinematic Universe o Star Wars. Per quanto possa sembrare strano dirlo, forse questa eccessiva produzione rischia di privare il tutto del suo fascino, rendendo monotono e prevedibile un elemento narrativo che si fonda sull’esatto opposto. Meno avventure, ma più emozionanti, insomma.

Cosa aspettarsi dalla Fase Quattro?

Seppure fragile e ad oggi poco definita, la Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe non merita di esser liquidata con facilità come la peggiore del franchise, giudizio che andrebbe sospeso almeno sino alla conclusione di questo capitolo del Marvel Cinematic Universe. Quello che si può affermare ora è che in questi primi passi della Fase Quattro mancano alcuni dei tratti tipici dei precedenti mnomenti del franchise, in primis un villain carismatico che sappia incuriosire gli spettatori, gettnado la propria ombra sul racconto complessivo della saga. L’apparizione di Kang nel finale di Loki è una premessa non ancora pienamente sviluppata, che si spera trovi una sua completezza in Ant-Man and the Wasp: Quantumania, e le recenti produzioni hanno aperto la strada all’ingresso di attesi simboli del Marvel Universe fumettistico, come X-Men e Fantastici Quattro.

Ad oggi le produzioni del Marvel Cinematic Universe della Fase Quattro si sono concentrare sulla definizione di un nuovo equilibrio per gli eroi del franchise, come abbiamo visto in Spider-Man: No Way Home e Doctor Strange nel Multiverso della Follia.  La qualità complessiva della produzione attuale della Fase Quattro è, onestamente, altalenante, ma su questo aspetto si può concordare con quanto dichiarato dai fratelli Russo, registi di Avengers: Endgame, alla NBC negli scorsi giorni:

“Ecco la verità. L’intera esistenza del Marvel Cinematic Universe ha visto alti e bassi, ci deve esser un naturale fluire su come le persone si sentano legate alle ultime offerte. Ma credo, che alla fine di tutto, siano ancor progetti ambiziosi in termini di come ci si approccia allo storytelling. Stanno sperimentando. Stanno cercando nuove forme di espressione per tenere il pubblico eccitato e sorpreso. Sembra ancora che abbiano un approccio creativo vitale e un procedimento che stanno seguendo, credo ci sia ancora davvero molto in cui sperare su ciò che sarà possibile nel Marvel Cinematic Universe. Non abbiamo perso fiducia, questo è sicuro”

Una dichiarazione di fede, quella dei Russo, che può trovare una propria liceità, che possiamo rispettare tenendoci stretti i nostri dubbi sul presente del Marvel Cinematic Universe ma non smettendo di confidare nei prossimi capitoli del franchise.

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