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a cura di Tom's Hardware

La realizzazione del mondo interiore dell'assassino è il vero elemento originale del film. Essa è un ricamo di citazioni artistiche, simbologie religiose e psicologiche e rappresentazioni oniriche: elementi che in un modo o nell'altro affondano le radici nella psiche umana.

Singh è il suo fantastico staff [...] hanno preso la materia degli incubi e l'hanno trasformata in una rappresentazione credibile di una mente malata, offrendoci una messa in scena che potrebbe stare tranquillamente in un film horror, perché ciò che accade nella mente di un serial killer non è molto diverso da un film horror.

Jeff Beck - The Blu Spot

Un elemento cardine della mente di Carl Stargher è la purezza, espressa dall'acqua e dal bianco. Il suo cane è un pastore tedesco albino, mentre i corpi delle sue vittime vengono immersi in bagni di candeggina. Anche la sospensione, climax della sua perversione sfogata sui corpi purificati, è una sorta di elevazione dalla realtà terrena, ottenuta attraverso il dolore e priva di alcun contatto con le sue bambole di carne. Se questo simbolismo nel mondo reale è riscontrabile nei gesti del serial killer, nel suo dreamscape diventa assoluto, pervasivo di ogni ambiente, oggetto e accadimento.

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Gli scenari che Cathrine si trova ad attraversare all'interno della mente dell'uomo sono degni delle opere di M.C. Escher. Le scene sono surreali, cariche di simbolismo in cui lo spettatore può cogliere significati reconditi e inconsci.

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Il mondo interiore non obbedisce alle lineari leggi fisiche, ma alle oscure regole della psiche: i cambi di scena, di costume, di gravità, le interazioni tra Cathrine e i personaggi che popolano quel mondo. Tutto procede con la logica del sogno e del subconscio, in cui niente è reale per ciò che è, tutto è reale per ciò che rappresenta.

Questo è un modo tremendamente efficace di visualizzare cinematograficamente il processo con cui si costruisce la personalità umana a partire da frammenti di ricordi, che si tratti di esperienze personali o di appropriazione di fantasie, storie e la radiazione di fondo culturale.

Tim Brayton - Alternate Ending

In tutto il viaggio nel dreamscape le citazioni artistiche sono abbondanti e ben collocate: oltre al già citato Escher, la scena del cavallo sezionato è ispirata alle opere dell'artista britannico Damien Hirst. La stanza dove Cathrine incontra il Carl adulto per la prima volta è invece una citazione del video rivelazione dei REM Losing my Religion, anch'esso diretto da Tarsem Singh, e anch'esso intriso di simbologie religiose di diverse origini.

The Cell 375[1]

La scena in cui Novak entra nella mente di Carl Stargher, (quella delle tre donne di profilo con le bocche rivolte al cielo) richiama il dipinto Dawn del pittore norvegese Odd Nerdrum. La scena iniziale in cui Catherine insegue Carl è ispirata al dipinto Schacht di H. R. Giger. La tortura a cui viene sottoposto l'agente Novak, sicuramente la scena più cruda di tutto il film, si rivela poi ispirata ad un dipinto medievale, rinvenuto nella casa dell'assassino.

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E non mancano inoltre richiami alla simbologia Cristiana e Classica, specie nella scena finale, in cui è rappresentato il rassicurante mondo interiore di Catherine.  

Ma oltre alle citazioni pittoriche, Singh richiama insistentemente anche un'altra forma d'arte: il teatro. Le scenografie del subconscio sono palesemente più teatrali che cinematografiche. D'altro lato, il teatro - giocoforza- fa grande uso di simbolismo, a sua volta strumento chiave della rappresentazione psicanalitica. Si può dire che il regista metta in scena una rappresentazione teatrale del subconscio, riscontrabile anche nelle interpretazioni di D'Onofrio.

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Così, attraversando quel non-luogo, Cathrine incontra il Carl bambino, rappresentante la purezza originaria, e il Carl-Orco, monarca assoluto di un regno in decadenza. Su questo palcoscenico va in scena lo scontro tra la follia, la violenza, contrapposta a e allo stesso tempo conseguenza di un'innocenza primordiale violata del suo passato, purezza perduta ed inseguita attraverso i delitti.

Conclusione

The Cell è una pellicola di fantascienza in cui una trama thriller un po' pilotata fa da supporto ad una splendida rappresentazione della mente deviata di un assassino psicopatico. Un esempio di come trucco, costumi, scenografie e immagini di grande impatto e la ricerca di dettagli e richiami tra tipi diversi di arte possano essere più efficaci di un abbondante uso di computer grafica (che ovviamente non è assente nel film). Solo per questo è da vedere almeno una volta.

Se poi vi è piaciuto il genere, e magari avete apprezzato anche il surreale Labirinth o il più cupo Labirinto del Fauno, non potete perdervi Il Re Orco, romanzo di Matteo Piombo Papucci edito da La Caravella.

retrocult

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