The Ghost Fleet - Il Convoglio Fantasma: recensione, la lunga strada della paura.

The Ghost Fleet pubblicato in Italia da Saldapress è un frenetico fumetto d'azione con tinte fantasy e horror. Un'esperienza intrisa di cultura pop e cardiopalma.

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a cura di Stefano Cappuccelli

Arriva per Saldapress il frenetico fumetto scritto da Donnie Cates e illustrato da Darren Warren Johnson pubblicato in patria da Image Comics. The Ghost Fleet ci proietta in un mondo grottesco e folle, in cui l'orrore si fonde meravigliosamente con l'azione più pura.

L’impronta Carpenteriana presente in The Ghost Fleet – Il Convoglio Fantasma è chiara e fin troppo tangibile. Redigere una storia in cui una serie di convogli ruotati trasportano in lungo e in largo materiale ben al di sopra dall’essere considerato sensibile è chiaramente il sottoprodotto di un amore spasmodico per il regista americano; non a caso Donny Cates, il suo sceneggiatore, non ne fa mistero, dedicando l’intera serie a Kurt Russell, storico attore feticcio di John Carpenter, il cui layout estetico in Escape From New York viene meravigliosamente omaggiato proprio nel corso di quest’opera. Procediamo con ordine.

La genesi

Nato dal connubio fra Donny Cates e Daniel Warren Johnson, The Ghost Fleet, edito in patria da Image Comics e pubblicato in Italia per Saldapress, si presenta come un’opera decisamente borderline, i cui rimandi stilistici oscillano fra l’horror e il fantasy, arricchendo il tutto con una vena pulp fin troppo evidente. Stiamo chiaramente parlando di una serie a fumetti fortemente pop, colma di iperboli ed esagerazioni, il cui vettore sembra essere definito da un frenetismo poco ponderato, dialoghi decisamente caricaturati e una veste grafica meravigliosamente sporca. La genesi editoriale di The Ghost Fleet non è stata delle migliori, di fatto l’editore dopo un primo risconto non certamente esaustivo, decise di ridurre l’arco narrativo originalmente stabilito, obbligando i due autori a riscrivere e ridisegnare in parte un’opera già terminata. Ovviamente lo scarso feedback del pubblico statunitense non definisce proporzionalmente uno standard di qualità, e basterebbe leggere i primi capitoli per rendersene conto. L’opera non stanca, non annoia e indubbiamente non rallenta, spostando la sua diegesi verso vette progressivamente sempre più alte. I più schizzinosi potrebbero storcere il naso davanti a una truculenza mai velata, eppure le sequenze intrise di maggior violenza non mostrano mai una certa gratuità, veicolando lo splatter in maniera persino intelligente.

Il Plot

La linea topica di The Ghost Fleet, come accennavo poc’anzi, introduce il lettore in una realtà in cui dozzine di grossi autoarticolati – appartenenti a un’agenzia privata – si spostano per gli Stati Uniti trasportando carichi ignoti e altamente classificati. Il nostro protagonista, Trace Morales, è un operatore di sicurezza il cui compito è garantire la scorta del convoglio per l’interezza del tragitto. Durante un trasporto, il mezzo viene ingaggiato e attaccato da un’organizzazione paramilitare altresì nota come “I Campanari”, che causeranno l’uscita di strada del grosso camion, liberando accidentalmente il contenuto celato nel suo rimorchio. In questo stesso istante apprendiamo la vera natura dell’opera, che apparentemente si inaugurava come una sorta di techno thriller, per poi deviare in forme e fattezze prossime al dark fantasy: un intervento chiaramente sovrannaturale, librato dalle profondità del rimorchio, uccide – disgustosamente – tutti i mercenari accorsi sul luogo dell’incidente. Gli eventi che susseguiranno il termine di questa sequenza assurgono a un livello tale di dinamismo, da paventare le fattezze di una messinscena degna di George Miller: Trace Morales è vivo e incazzato, particolarmente incazzato. Un solo sentimento lo mantiene in vita, la vendetta. Ma ciò con cui si andrà a scontrare va ben oltre la sua crociata personale. Domande e dubbi. Cosa conteneva quel rimorchio? Cosa c’è realmente in ballo?

La struttura narrativa

L’intreccio narrativo è volutamente folle e caricaturato, forte di uno stilema pop oggi non più così ovvio. La delineazione stilistica, ma soprattutto estetica dei volti trae origine proprio dalla cifra stilistica di Carpenter: l’essenza di Trace è chiaramente ispirata a Snake Plissken (Kurt Russell) in Escape from New York, mostrando un personaggio dinamico, eccentrico, strafottente e persino anarchico. Inoltre questo viene raffigurato con una folta chioma incolta che termina all’altezza delle spalle, e una bandana oculare che non lascia troppo spazio all’interpretazione. Cates non si limita a calcare le note testuali del protagonista, scritturando i comprimari in maniera davvero sgargiante. Mickey Reno per esempio, è distinto da una caratura meravigliosamente goliardica, mostrando un sicario professionista dalla battuta pronta e costantemente con il dito sul grilletto. Persino l’antagonista, il generale Cohle, è tratteggiato con gusto; apparendo come un villain degno della sua nomea e forte di una sfaccettatura caratteriale cinica davvero ben scritta. Persino l’ambiente trae forza dalla natura immaginifica di Carpenter, proponendo dei palinsesti piuttosto famigliari ai fan del regista: si passa da location aride e desolate, ad assetti più urbani (nelle sequenze finali c’è un richiamo inequivocabile). Tornando alla sua narrazione, è doveroso specificare quanto la storia cerchi costantemente di mantenere costante la frenesia, mostrando ai suoi lettori una serie di sequenze caratterizzate da climax sempre più grossolani e cinetici. L’epilogo dell’opera è chiaramente una riscrittura; purtroppo è impossibile non notarlo. Qui la prosecuzione degli eventi subisce una forte inflessione, mostrando sì una sequenza potente, quasi videoludica, ma priva di quella coerenza narrativa che sino a quel momento, nella sua pazzia, la storia deteneva; si ha l’impressione di ritrovarsi davanti un collage mal riuscito, le cui pagine finali non fanno alto che sottolineare. Davvero un gran peccato.

Lo stile grafico

Il timbro grafico adottato da Johnson è senza alcun dubbio l’aspetto più entusiasmante ed edonista del fumetto. L’illustratore traduce i testi di Cates attraverso un disegno sporco, violento e muscolare. Tratti graffianti definiscono vignette al cardiopalma, dove l’azione senza freni occupa un posto di rilievo sul piano esplicativo. Johnson sottolinea i volti, rendendoli colmi di emozioni e intenzioni, siano questi carichi di odio, o colmi di paura. Il taglio utilizzato è evidente: numerosi primi piani, spesso visualizzati attraverso più prospettive, contribuiscono a definire gli spazi, questi mai sbagliati o incoerenti. La violenza è ben rappresentata, essendo lei una coprotagonista indiscussa; di fatto Johnson non tenta mai di velare l’arto reciso o l’esplosione di un corpo, bensì lo evidenzia senza troppi rimorsi, d’altronde qui la violenza è un veicolo propedeutico per visualizzare al meglio la storia, che va ricordato, non propone mai una violenza gratuita, bensì cerca di inserirla ottimamente laddove la scrittura lo richiede. Il profilo dei corpi è equilibrato e mai esagerato, mostrando proporzioni e figure anatomiche nella norma. A non essere a norma invece è l’altro aspetto dell’opera, quello soprannaturale: i "non corpi" delle entità celati nei rimorchi sono splendidamente orribili: questi rispecchiano la loro natura aberrante, non umana e quindi ultraterrena. Uno stile grafico che ricorda vagamente un certo Mike Mignola in un certo Hellboy. Un vitale contributo è dato dai colori della colorista Lauren Affe, perfettamente sublimati alle matite di Johnson, è capaci di esaltare l’anima sporca e occulta dell’opera. Non viene risparmiata alcuna tonalità di colore: ampi spazi ai rossi, largamente impiegati per le esplosioni e i grand guignol di sangue, fino ai blu per le sequenze in notturna. Menzione d’onore per quelle tonalità perlopiù gialle, essenziali per enfatizzare l’aridezza di alcune location.

In conclusione

The Ghost Fleet – Il convoglio fantasma è un’opera a fumetti estremamente divertente, cruda e altrettanto triste. È davvero un peccato non poter godere ulteriormente di un tale melting pot stilistico, in cui la cultura pop e l’estetica del cinema di genere si fondono per dare vita a una storia tanto cinetica quanto esilarante.