Truth, ovvero il limite del giornalismo fazioso

Illuminato dalle interpretazioni di Robert Redford e soprattutto Cate Blanchett, Truth è un film imperfetto ma stimolante, che riflette sul concetto di verità, prendendo le mosse dallo scoop del 2004 della CBS su George Bush, che finì invece per rovinare la carriera dei giornalisti protagonisti.

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a cura di Alessandro Crea

È possibile giungere a una verità oggettiva o la sua natura è invece sempre irriducibilmente soggettiva? E quanto entrano nella sua costruzione i nostri preconcetti e persino desideri? Sono queste alcune delle domande che emergono da Truth, film drammatico che segna anche l'esordio alla regia di James Vanderbilt, già sceneggiatore di titoli come Zodiac ma anche dei due Spider Man più recenti e del remake di Robocop.

Truth, che arriverà nelle sale italiane a partire da domani, prende le mosse da una storia vera, accaduta a due giornalisti della CBS, Mary Mapes e Dan Rather, rispettivamente produttrice e volto storico del canale, che nel 2004 mandarono in onda un servizio esplosivo su George W. Bush che però finì per ritorcerglisi contro.

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La Mapes infatti lavorava sin dal 2000 all'ipotesi che nei primi anni ‘70 Bush avesse evitato di partire per la guerra del Vietnam, usufruendo di privilegi ottenuti in maniera non proprio legale. Alla vigilia delle elezioni del 2004 che si sarebbero svolte di lì a pochi mesi e che vedevano Bush nuovamente candidato, arrivò però la svolta tanto attesa e Mapes entrò in possesso di alcuni documenti scottanti, che avrebbero dovuto risultare decisivi nella questione.

Accadde così che Mary Mapes e il giornalista freelance Mike Smith decisero, in accordo col conduttore di 60 Minutes Dan Rather, col consulente per gli affari militari tenente colonnello Roger Charles e ovviamente con la dirigenza della CBS, di utilizzarli per costruirci sopra un servizio d'inchiesta.

Il reportage ottenne grande successo e non mancò ovviamente di sollevare un polverone, di cui però, inaspettatamente, non fu vittima Bush ma gli stessi autori.

A un più attento esame, infatti, i documenti su cui l'intera inchiesta fu costruita risultarono poco affidabili e non adeguatamente verificati, lo staff del programma 60 Minutes finì sotto accusa e alla fine Mapes fu licenziata e Rather decise di dare le dimissioni.

Il punto di partenza del film è il libro scritto di recente dalla stessa Mapes, Truth and Duty: The Press, the President, and the Privilege of Power (Verità e Dovere: i giornalisti, il Presidente e il privilegio del potere), ma i temi su cui il film si interroga e ci interroga vanno molto oltre la vicenda specifica e riguardano i limiti della libertà di stampa, l'influenza del potere politico sulla proprietà degli organi di informazione, il rapporto di fiducia tra stelle della TV e telespettatori e, soprattutto, la differenza tra faziosità e neutralità.

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Il film è impreziosito da un cast di eccezione, in cui brillano soprattutto Cate Blanchett nei panni della Mapes e Robert Redford in quelli di Rather, ma i volti noti non mancano nemmeno nei ruoli di contorno, da Dennis Quaid che fa il colonnello Charles a Topher Grace (Traffic, Ocean's Eleven, Spider Man 3, Interstellar) che impersona Mike Smith, fino a David Lyons, noto soprattutto per la serie TV Revolution, e a un ormai irriconoscibile ma sempre molto bravo Stacy Keach (The Bourne Legacy e Sin City - Una donna per cui uccidere tra i suoi titoli più recenti).

La regia di Vanderbilt invece è volutamente scolastica, privilegiando una narrazione lineare che rinuncia a colpi d'ala e tocchi autoriali per lasciare spazio alle interpretazioni degli attori e all'avanzamento della trama, ma che forse risulta un po' anonima.

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Truth non è un film perfettamente riuscito. Se infatti da un lato riflette con rigore su temi fondamentali del giornalismo e dell'informazione, dall'altro finisce però con lo sposare le tesi del libro su presunte macchinazioni politiche e teorie del complotto varie, tutte ovviamente tese a mettere la museruola a un'informazione scomoda e coraggiosa, risultando così alla fine indeciso e retorico, specialmente nell'enfatico finale.

Tuttavia, al di là dei suoi evidenti limiti stilistici e di contenuti, Truth è un film che bisogna vedere perché riflette efficacemente sui meccanismi di costruzione sociale e ideologica della verità, anche inconsci, e sul ruolo del giornalismo nell'era di Internet e della proliferazione delle fonti.