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Foxconn, una tragedia che riguarda tutti noi

La tragedia che si sta consumando in questi mesi negli stabilimenti di Foxconn, azienda leader nella produzione di elettronica e di componenti per computer, è emblematica. Tutto è iniziato con un suicidio, ma il vero problema è il sistema industriale che coinvolge i grandi marchi IT.

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Avatar di Dario D'Elia

a cura di Dario D'Elia

Pubblicato il 01/06/2010 alle 12:40 - Aggiornato il 15/03/2015 alle 01:19

HP, Dell, Apple, Nintendo, Sony, Nokia e tutto il resto del gotha IT globale hanno impiegato quasi cinque mesi per capire che negli stabilimenti cinesi Foxconn qualcosa non funziona. La cronaca che ha seguito i fatti ha dovuto registrare dal 23 gennaio "undici suicidi, due tentativi falliti, sedici sventati e trenta prevenuti dagli psichiatri", come riporta La Repubblica.

Stabilimento Foxconn

Quell'ingranaggio rotto non riguarda solo una tragedia umana, ma anche le dinamiche che investono il settore industriale tecnologico. Foxconn è l'ombelico hardware del mondo: i suoi 800mila dipendenti realizzano quotidianamente le nostre console, i prodotti della Apple, i cellulari Motorola, le periferiche Cisco, Amazon Kindle, tutto insomma.

Negli stabilimenti di Shenzhen e Longhua, situati nella regione cinese del Guangdong, i lavoratori sono costretti a turni di lavoro estenuanti (anche 80 ore mensili di straordinario), nessuna privacy, nessun divertimento, niente di niente. "È una vita normale, uguale a quella che conducono gli operai nelle altre fabbriche della zona: si lavora, si mangia e si dorme. Niente di più", hanno dichiarato alcuni operai al Sole-24-Ore.

In verità recentemente la stessa dirigenza Foxconn ha dovuto ammettere che per soddisfare le richieste dei più importanti brand si viola persino la normativa vigente per il lavoro. Difficile credere che Pechino abbia imposto freni potenti alla locomotiva industriale.

Al di là della Grande Muraglia si parla già di fabbrica-lager, dimenticando forse che questo è la punta dell'iceberg di un problema ben più complesso. Non a caso il presidente della società Terry Gou e i suoi committenti hanno paura dell'opinione pubblica (Occidentale). Lo spettro del boicottaggio internazionale attuato dai consumatori aleggia sulla sciagura terrena.

Qui c'è in gioco un intero sistema che è basato su manodopera a basso prezzo e utili che devono germogliare anche in tempo di crisi. Il tutto sapientemente celato al grande pubblico con cortine di immagine e marketing. È proprio un'equazione: tutto è relazionato a costi e benefici.

Ecco quindi scattate le indagini dei grandi marchi: tutte vogliono fare chiarezza.

Lo spleen (mal di vivere) però si combatte anche con la speranza di una vita migliore per se stessi o almeno per i propri figli. E in una società che corre e cresce a vista d'occhio il denaro è un argomento convincente (forse). Terry Gou ha promesso aumenti di stipendio fino al 20%; Apple secondo indiscrezioni, potrebbe contribuire con sussidi aggiuntivi. La testata cinese Zol (CBS Interactive) ha svelato che il colosso di Cupertino destina il 2,3% dei suoi prezzi di listino alla Foxconn. In futuro potrebbe incrementare la quota contribuendo direttamente all'aumento degli stipendi mensili (circa 132 dollari) percepiti dai lavoratori cinesi.

Per di più dovrebbero arrivare migliori condizioni di lavoro, tempo libero, cinema e sale di lettura – senza contare l'attuale piano d'emergenza che ha salutato l'avvento di duemila psicologi, monaci buddisti e hot-line anti-suicidi.

L'epilogo, se tale si può definire, è in quel nuovo contratto che tutti i dipendenti sono stati obbligati a firmare. La clausola chiave prevede un'unica promessa. Il lavoratore si impegna a non suicidarsi per tutta la durata del contratto. In caso contrario chi pagherà il conto? I figli?

Intanto in Occidente ci interroghiamo sul successo di un dispositivo invece che un altro, senza porre altre domande. Valutiamo i nostri acquisti in base alle prestazioni, all'aspetto e all'economicità, sapendo poco o nulla della filiera produttiva. Ci aspettiamo che anche le aziende IT, come già fanno quelle di altri settori, prima o poi espongano sulla loro merce un "certificato etico". Una garanzia in più che ci assicuri  che un prodotto non sia stato fabbricato ricorrendo a manodopera sottopagata o sfruttata. 

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