Le VPN sono sulla bocca di tutti: strumenti essenziali per la privacy online o zone grigie che favoriscono attività illecite? Abbiamo approfondito la questione con l'avvocato Giuseppe Croari, esperto in diritto dell'informatica, per capire quando l'uso di una Virtual Private Network è un diritto e quando diventa un'aggravante.
Le pubblicità ci bombardano, gli youtuber le sponsorizzano e la promessa è sempre la stessa: privacy, sicurezza e libertà online. Le VPN (Virtual Private Network) sono diventate uno strumento di uso comune. Ma la loro natura solleva interrogativi complessi, specialmente quando dall'esigenza di anonimato si passa all'illegalità.
Se usare una VPN per aggirare i blocchi geografici di Netflix è una cosa, utilizzarla per accedere al "pezzotto" o per commettere crimini ben più gravi è tutt'altra. Qual è il confine? E quali sono le responsabilità, non solo per l'utente, ma anche per il fornitore del servizio?
Il principio fondamentale: lo strumento non è il reato
La domanda di partenza è semplice: le VPN sono legali? "La risposta accademica sarebbe: assolutamente sì," afferma l'avvocato Croari. "Anzi, è un diritto poterle utilizzare perché uno ha diritto di essere anonimo".
Il problema, come spesso accade nel mondo digitale, non risiede nello strumento in sé, ma nell'uso che se ne fa. L'avvocato traccia un parallelo efficace: una VPN può essere considerata come un coltello o un passamontagna. Di per sé non sono oggetti illegali, ma il loro possesso in determinate circostanze può diventare un indizio di premeditazione.
"Non è tanto lo strumento, ma è il modo in cui viene usato a fare la differenza. All'interno di un'indagine, questo potrebbe essere un elemento che il Pubblico Ministero potrebbe chiedersi: come mai quel soggetto si è approcciato con una VPN? Perché, in realtà, aveva premeditato di compiere un crimine." - Avv. Giuseppe Croari
Uno dei più grandi equivoci riguardo alle VPN è la credenza di essere completamente invisibili e irrintracciabili. L'avvocato Croari smonta categoricamente questa convinzione, offrendo una delle affermazioni più nette e importanti per gli utenti.
"Tecnicamente in rete nessuno è anonimo. È un concetto che può sembrare strano per molti, ma c'è sempre, ovviamente, un IP, c'è sempre un tracciamento. Poi potrebbe essere che sia molto difficile ricondurre quell'IP al soggetto fisico, ma le persone che vengono identificate ci sono." - Avv. Giuseppe Croari
Le VPN commerciali sono società che devono rispettare le leggi, pagare le tasse e, quando interpellate da un giudice, rispondere. Sebbene provider con sede in paradisi fiscali o strutturati con complesse "scatole cinesi" possano rendere l'identificazione più ardua, non la rendono impossibile.
Una responsabilità che cambia: il ruolo attivo dei provider
Il quadro legale si sta evolvendo rapidamente. Se in passato ai provider di servizi online veniva chiesto un ruolo passivo — essenzialmente, fornire i dati degli utenti su richiesta dell'autorità giudiziaria — oggi le cose stanno cambiando, soprattutto alla luce di normative europee come il Digital Services Act (DSA).
La nuova frontiera della responsabilità impone un ruolo proattivo. Non basta più collaborare ex-post, ma si richiede di prevenire l'illecito.
"Oggi [la domanda è]: 'come mai non hai adottato dei sistemi per bloccare quel tipo di percorso?'. Non basta più quello che si chiedeva fino a poco fa, [...] tu addirittura diventi un soggetto attivo e devi fare in modo di bloccare la possibilità di delinquere." - Avv. Giuseppe Croari
Questo implica che le società di VPN potrebbero essere chiamate a implementare filtri e sistemi di monitoraggio per impedire attivamente che i loro servizi vengano usati per accedere a contenuti illegali, come nel caso dei servizi IPTV pirata ("pezzotto"), dove le autorità italiane hanno già chiesto e ottenuto la disabilitazione di specifici indirizzi IP.
Analizzando gli scenari di tutti i giorni, emerge una netta distinzione. Usare una VPN per vedere il catalogo americano di una piattaforma che già si paga è, secondo l'avvocato, una situazione "controversa". Si tratta principalmente di una violazione contrattuale con il fornitore del servizio, un'azione che generalmente non ha risvolti penali.
Ben diversa, e più grave, è la situazione quando la VPN viene impiegata per accedere a siti palesemente bloccati in Italia. Qui la gravità dipende dalla natura del sito: se si tratta di materiale protetto da copyright, si entra nel campo della pirateria; se il contenuto è palesemente criminale, come nel caso di materiale pedopornografico, l'uso della VPN diventa un elemento che aggrava la posizione dell'utente di fronte alla legge.
Infine, un avvertimento cruciale riguarda la privacy. Spesso si sceglie una VPN proprio per proteggere i propri dati, ma cosa succede se è il provider stesso a monetizzarli? "È un po' una roba assurda," commenta Croari, "uno dice 'Io uso la VPN per essere anonimo e la mia VPN è quella che mi controlla'".
Il GDPR europeo non vieta la raccolta dei dati, ma impone trasparenza. Un servizio, specialmente se gratuito o semi-gratuito, può legalmente raccogliere e usare i dati di navigazione degli utenti per scopi commerciali, a patto che sia chiaramente specificato nei termini di servizio che l'utente accetta. Il diritto alla privacy è tutelato dal diritto all'informazione e al controllo sui propri dati, non da un anonimato imposto per legge.
Le VPN restano quindi strumenti potentissimi per la difesa della libertà e della privacy individuale. Tuttavia, è fondamentale usarle con consapevolezza, comprendendo che non offrono un mantello di invisibilità né un'immunità legale. La responsabilità finale delle proprie azioni online rimane, e rimarrà sempre, personale.