Il tweet può essere considerato un atto amministrativo?

Anche se i tweet provengono da Ministri, Parlamentari o esponenti della pubblica amministrazione non possono essere considerati come atti amministrativi. Ecco perché.

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a cura di Luigi Dinella

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Il Consiglio di Stato con una recente pronuncia (n. 769/2015) ha precisato che un tweet non può essere considerato come atto amministrativo in quanto difetta della tipicità che la legge richiede per questo tipo di provvedimenti. Abbiamo chiesto un parere al Dott. Luigi Dinella dello Studio Legale Fioriglio Croari.

Le fonti del diritto continuano ad essere minate dal sempre più frequente uso dei social network, che in alcuni casi può creare grande confusione. Infatti può accadere che Ministri, Parlamentari o altri esponenti della pubblica amministrazione pubblichino sui siti ufficiali del proprio settore di appartenenza dei tweet o post in cui, in un certo senso, anticipano la soluzione di questioni ancora oggetto di discussione, influenzando l'attività dei soggetti interessati, i quali a loro volta possono credere che la decisione riferita sia quella ufficiale.

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Foto: © vdovichenko / Depositphotos

Un caso del genere si è verificato nella vicenda decisa con la sentenza che andrò ad analizzare nel prosieguo dell'articolo, dove il Consiglio di Stato ha voluto sottolineare come un tweet (e molto probabilmente anche un post su altri social), non rientrando nel requisito della tipicità che la legge richiede per gli atti amministrativi, non può in alcun modo essere assimilato a questi ultimi.

Prima di analizzare il caso, ritengo opportuno precisare cosa la legge italiana intende per "atto amministrativo" e quali sono i requisiti che deve possedere per essere definito come tale.

L'atto amministrativo

Proprio per la forza imperativa di tali atti, sono stati indicati determinati requisiti senza i quali l'atto non può definirsi come tale. Il primo elemento che viene richiesto è l'intestazione, intesa come indicazione dell'autorità che emette il provvedimento, poiché solo determinate autorità sono competenti a emettere un certo tipo di atto.

Secondo il diritto, un atto amministrativo è quell'atto giuridico prodotto da un'autorità amministrativa (come ad esempio un ministro) nell'esercizio delle proprie funzioni. Ogni atto amministrativo è espressione di un potere autoritativo in quanto, indipendentemente dalla volontà di chi ne è destinatario, questo produce comunque i propri effetti.

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È poi necessario il preambolo, in cui sono indicati la legge che giustifica l'emanazione del provvedimento e tutti gli atti preparatori all'emanazione: infatti, da un lato il principio di legalità richiede che ogni attività amministrativa debba avere il proprio fondamento nella legge, dall'altro un provvedimento definitivo richiede l'attuazione vari mini-atti procedurali necessari per arrivare alla sua emanazione.

Elemento importantissimo degli atti amministrativi è la motivazione con la quale vengono indicati gli interessi che sono oggetto del provvedimento e viene chiarito, nel caso in cui vengano sacrificati alcuni interessi a favore di altri, perché ai secondi sia riconosciuta maggior rilevanza. Nel dispositivo, invece, viene indicato ciò che la pubblica amministrazione richiede in concreto, vale a dire il contenuto materiale dell'atto.

Devono seguire, infine, l'indicazione del luogo, della data e la firma dell'autorità che emette l'atto (o di un suo delegato). Questi sono i requisiti necessari perché un atto possa essere definito "atto amministrativo", e appare quindi comprensibile che un semplice tweet difficilmente li possegga.

Il Caso

Il Caso analizzato dal Consiglio di Stato riguarda un Comune che, nel 2013, aveva deciso di avviare dei lavori per la riqualificazione di una piazza, avendo già ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie. Tuttavia una volta cominciati i lavori vi era stata la ferma opposizione da parte di alcune associazioni e comitati locali contrari al nuovo progetto.

Per sostenere le proprie ragioni tali organizzazioni avevano fatto leva sull'appoggio loro riconosciuto da un Ministro, il quale, nell'effettuare delle verifiche, aveva informalmente chiesto al Comune con un tweet (e pubbliche dichiarazioni) di sospendere i lavori, anticipando così l'emissione di un successivo provvedimento.

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In seguito veniva emesso un provvedimento degli stessi organi dirigenziali del Ministero, destinato al Comune in questione, con il quale si ordinava la sospensione dei lavori. Il Comune, tuttavia, si rifiutava di attenersi a tale provvedimento e ricorreva al TAR per opporvisi, ritenendo che il tweet pubblicato dal Ministro integrasse un eccesso di potere. Secondo il Comune tramite quel tweet era stata illegittimamente espressa la volontà di sospendere i lavori, in quanto il Ministro non era competente a emettere il provvedimento, di pertinenza dirigenziale. Con il cinguettio, infatti, il Ministro aveva comunque influenzato gli addetti ai lavori.

Il Tar aveva accolto le richieste del Comune, poiché, essendo state rilasciate legittimamente tutte le autorizzazioni necessarie, non era possibile emettere un provvedimento cautelare di sospensione dei lavori. D'altra parte, però, il Tar riteneva che il tweet contestato non fosse impugnabile autonomamente, in quanto non qualificabile come atto amministrativo (dunque, non un atto espressione della volontà di sospendere dei lavori).

Il Comune, peraltro, impugnava il tweet anche in appello al Consiglio di Stato. Il Giudice dell'Appello, dopo aver ribadito che la sospensione dei lavori non poteva essere consentita, si soffermava sul cinguettio e confermava che esso, essendo privo degli elementi essenziali richiesti dalla legge, non poteva in alcun modo essere assimilato ad un atto amministrativo di volontà e, dunque, non era impugnabile autonomamente.

Conclusioni

Nonostante la conclusione, il caso analizzato resta comunque di particolare peculiarità e interesse perché, oggigiorno, sono numerosi i casi in cui esponenti della politica e della pubblica amministrazione pubblicano, in modo completamente arbitrario, le proprie dichiarazioni e i propri pensieri anche su siti ufficiali. Non sarebbe quindi inutile un eventuale intervento del legislatore volto a limitare questo tipo di attività al fine di evitare l'ingenerarsi di inutili confusioni.