Le major non sanno calcolare i danni da pirateria

Secondo una commissione statunitense i danni generati dalla pirateria esistono, ma non c'è modo di verificarne l'entità. Le cifre dichiarate dai produttori sono inaffidabili, e inoltre la pirateria ha anche degli effetti positivi da considerare.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Le perdite economiche dichiarate dalle major dovute alla pirateria sono un'esagerazione. La questione è emersa martedì, quando la Commissione Statunitense per il Commercio Internazionale (USITC) ha presentato al senato USA un rapporto per far luce sulla protezione della proprietà intellettuale in Cina.

Pirati, se fossero tutti così ...

I produttori cinematografici e musicali, MPAA e RIAA, affermano da sempre di perdere milioni di dollari a causa della pirateria, e dicono che il fenomeno mette a rischio anche molti posti di lavoro. La commissione e gli esperti interpellati non negano l'esistenza di questi danni, ma hanno dubbi sulla loro entità.

Questa piccola rivoluzione era forse prevedibile, considerando che lo scorso aprile fu pubblicato un rapporto governativo che andava nella stessa direzione (Le major svergognate sui danni della pirateria).

"Mi sembra folle pensare che chi paga una piccola cifra per un prodotto pirata ne sborserebbe una sei volte maggiore, o anche dieci, per una autentica" ha detto uno degli esperti Fritz Foley (Università di Harvard). "Maneggiate con cura le informazioni che vi danno le multinazionali. Immagino che siano incentivate a far sembrare le perdite molto ingenti".

Gli fa eco Peter Yu, che insegna Diritto della Proprietà Intellettuale: secondo lui la pirateria potrebbe persino rappresentare un sostegno all'economia statunitense, perché dà occupazione a lavoratori locali, e stimola consumi che altrimenti non esisterebbero.

Daniel Chow, professore di legge all'Università dell'Ohio, aggiunge che la USITC dovrebbe pretendere dati più concreti dalle industrie  del settore.

Per quanto riguarda la Cina, che era il tema principale dell'incontro, si ritiene che provenga da lì il 79% dei prodotti falsi bloccati alle dogane statunitensi. Il professor Chow ritiene tuttavia che le autorità cinesi siano ormai stanche delle "retate", e che sia necessario un approccio diverso per contenere il fenomeno, che faccia leva sull'educazione dei consumatori.