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a cura di Alessandro Crea

Nell'informale cornice di un ristorante del centro di Roma abbiamo avuto l'opportunità di fare due chiacchiere con Eric Leandri e Fabiano Lazzarini, rispettivamente presidente e co-fondatore e Country Manager per l'Italia di Qwant, il primo motore di ricerca europeo che rispetta la privacy dei propri utenti.

Disponibile in Italia dallo scorso ottobre, Qwant è interessante sotto diversi punti di vista. Finanziato in parte grazie alla Caisse de Depots, la Cassa Depositi e Prestiti francese e alla BEI, Banca di Investimenti Europea, Qwant si presenta a tutti gli effetti come l'anti Google, ma non in chiave commerciale. Il motore di ricerca infatti non vuole competere col colosso statunitense per la conquista del mercato ma piuttosto aiutare a liberalizzare il mercato stesso aumentando la competizione e soprattutto illustrando una via alternativa per quanto riguarda la gestione dei dati degli utenti e la presentazione dei risultati.

Qwant motore di ricerca salva privacy come funziona 633x315

Dati, privacy e patriot act

La differenza che viene rimarcata più spesso tra Qwant e Google riguarda la gestione dei dati personali degli utenti, un argomento di grande attualità in tempi di paranoia da profilazione. Qwant infatti non raccoglie alcun dato dell'utente, di nessun tipo. Non vi sono dispositivi di tracciamento o cookie finalizzati a proporre pubblicità diverse a seconda del profilo.

La cronologia delle ricerche rimane nei dispositivi dell'utente che resta l'unico proprietario dei suoi dati personali. Inoltre, tutte le ricerche sono codificate, di modo che nessuno possa mai accedervi. Da questo punto di vista inoltre bisogna tenere presente una fondamentale differenza: i server di Qwant sono tutti in Europa, mentre quelli dei maggiori colossi del Web, che i dati invece li raccolgono, sono su suolo statunitense e quindi soggetti al Patriot Act, che prevede in qualsiasi momento la possibilità di accesso ai dati personali degli utenti da parte della Polizia e di altre agenzie di sicurezza.

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Non volendo utilizzare i dati degli utenti come merce di scambio e fonte di guadagno, Qwant monetizza il proprio traffico grazie agli annunci a pagamento dei propri partner, sempre pertinenti e correlati alla ricerca stessa, un modello di business considerato da Eric Leandri efficace senza essere intrusivo.

Imparzialità dei risultati e bolla di filtraggio

Non profilando in alcun modo l'utente, Qwant è in grado di offrire risultati imparziali. Si tratta di uno snodo molto delicato ma importante da comprendere. Sebbene gli studi in merito siano contraddittori, è possibile che un motore di ricerca in grado di profilarci ci offra risultati a noi graditi. Una sorta di bolla di filtraggio dentro cui finiamo per restare dunque rinchiusi e che somiglia molto alle cosiddette echo chambers dei social, in cui gli utenti finiscono per creare cerchie in cui circolano e vengono condivise solo notizie confermative dei propri pregiudizi.

Anche se così non fosse, comunque il fatto che Google privilegi i contenuti più referenziati e indicizzati finisce col relegare in pagine mai visitate contenuti che magari hanno un livello qualitativo identico o addirittura superiore a quello dei primi 10 risultati, ma che per qualche ragione circola meno sul Web, magari perché più accademico o "difficile".

qwant motore di ricerca

In questo modo si finisce per impoverire e rimpicciolire l'infosfera, limitandola a contenuti di massa che, anche se magari corretti, non consentono un reale approfondimento di molte tematiche. Un rischio che con Qwant viene scongiurato. Test oggettivi svolti da terze parti dimostrano che la differenza di risultati tra Google e Qwant si discosta solo di un 4% (anche se magari il sito che su Google viene proposto come primo risulta quarto su Qwant o viceversa), ma in quel 4% può esserci molta ricchezza informativa aggiuntiva.

Facendo qualche rapida prova a volte potrà sembrarci che in realtà i risultati di Google siano più "efficaci", ma questa in realtà è solo la riprova di quanto pesante sia il cosiddetto Paradosso della rilevanza, che su Wikipedia è così descritto: "le persone e le organizzazioni cercano un'informazione che è inizialmente percepita come importante ma che in realtà è inutile o solo parzialmente utile, ed evita informazioni percepite come irrilevanti ma che in realtà sono utili. Il problema esiste in quanto la reale importanza di un particolare fatto o concetto in questi casi è evidente solo dopo che il fatto è diventato noto. Prima di ciò, l'idea di imparare un particolare fatto può essere scartata per un errore di percezione o di irrilevanza. Secondo ciò, colui che cerca l'informazione è intrappolato in un paradosso e non riesce ad imparare quello di cui ha realmente bisogno, e potrebbe essere preso in una sorta di vicolo cieco intellettuale".

Perché usare Qwant è importante

Proteggere la propria privacy e avere accesso a un'informazione più equilibrata, di per sé, sarebbero già due ragioni fondamentali per dare una chance a Qwant, ma tra desensibilizzazione sul tema della protezione dei dati personali e paradosso della rilevanza è assai probabile che la maggior parte di noi torni in fretta alle proprie abitudini, percepite come più rassicuranti.

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Eric Leandri però ci ha offerto un motivo assai valido per convincere gli incerti a provare Qwant almeno di tanto in tanto: aprire il mercato. Un mercato plurale infatti è l'unica garanzia di completezza e possibilità di scelta. Un solo player non può infatti gestire l'interezza delle informazioni e dei dati, si tratta infatti di un accentramento inaccettabile dal punto di vista del mercato prima ancora che dell'etica. Inoltre, nella situazione attuale, un solo attore che dovesse essere pesantemente ridimensionato attraverso leggi più severe e limitazioni di altro tipo metterebbe a rischio uno dei pilastri fondanti del Web, favorendo procedure che si avvicinano alla censura. Solo una molteplicità di attori di dimensioni minori consentirebbe di scongiurare questo rischio matenendo il Web aperto.

"Sul Web siamo abituati a comparare qualsiasi prodotto, dalle assicurazioni agi alberghi, ai voli, agli store musicali o ai servizi di streaming on demand di musica e video, ma per qualche ragione sull'informazione non lo facciamo. Non percepiamo l'informazione e i dati come 'prodotti' eppure è questo il modo in cui attualmente sono trattati. Vengono comprati e venduti e le informazioni che ci vengono fornite non rappresentano il mondo nella sua interezza, ma solo quella parte veicolata dai prodotti detenuti dai colossi dell'informazione e che noi, a forza di utilizzarli, finiamo per scambiare per l'universo. Il mondo in questo modo scompare dietro un'informazione parziale, ma noi non ce ne accorgiamo".

Ecco, pensiamo anche a questo la prossima volta che dovremo effettuare un qualche tipo di ricerca.