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Guerra aperta sull'informazione online

Associated Press e Google si scambiano messaggi poco amichevoli, riguardo alla gestione delle informazioni online, e degli introiti pubblicitari relativi.

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Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Pubblicato il 08/04/2009 alle 09:35 - Aggiornato il 15/03/2015 alle 01:10

Recentemente molti giornali, editori ed associazioni hanno avuto da ridire per il servizio Google News, che produrrebbe utili sgraditi con gli articoli che ospita. La risposta di Google è "si tratta di fair use, con la pubblicità possiamo guadagnarci tutti".

La bagarre nasce, probabilmente, dal fatto che, da qualche tempo, Google News ospita anche annunci, e quindi è stato rimesso in discussione: se prima generava traffico per i giornali, oggi somiglia di più a un concorrente.

Lunedì Associated Press (AP) ha sollevato la questione, tramite il presidente William Dean Singleton: le notizie appartengono a chi le scrive, "non possiamo stare a guardare mentre altri sfruttano i nostri contenuti", e conclude dicendo che il sistema va rivisto, in modo che tutti paghino. Anche se non è mai citata, tutti hanno pensato a Google News.

Secondo Big G, però, Google News aiuta i giornali a produrre utili con gli annunci online, in ogni caso, sostiene l'avvocato Alexander Macgillivray. E aggiunge che i servizi di Google generano più di  un miliardo di visite l'anno, per i siti di notizie. Quanto ai criteri per la selezione delle fonti, Google News farebbe già quanto richiesto da AP, selezionando solo le "fonti più affidabili" per ogni notizia. La ricerca generica, tuttavia, è tutta un'altra cosa, e disturba gli editori.

Eric Schmidt ha poi ricordato che AP ha un contratto multimilionario con la sua azienda, per la riproduzione delle informazioni, quindi le accuse di Singleton non possono essere dirette a Big G. Alcuni editori, però, sostengono che Google, ma anche Yahoo, fanno milioni di dollari con le notizie che scrivono loro, e che quel denaro dovrebbe finire in altre tasche.

Il CEO di Google è convinto che il modello di business cambierà, fino ad includere la distribuzione totalmente gratuita dei contenuti, sostenuta dalla pubblicità e i micro pagamenti (piccole cifre, per il singolo articolo). Certo, c'è anche chi pensa che sia inevitabile un ritorno al vecchi modello, come Rupert Murdoch.

Nel frattempo la pubblicità continua la sua migrazione, lenta ma inesorabile, dalla carta stampata agli schermi dei computer, creando enormi difficoltà agli editori, che si ritrovano con ingressi ridotti e una concorrenza molto più agguerrita di quella che sono abituati a conoscere, e che spesso vedono come poco onesta, per non dire del tutto sleale.

La pubblicità online, però, non può generare gli stessi fatturati stellari di quella su carta: da una parte è più distribuita, su migliaia e migliaia di siti, e dall'altra la possibilità di controllare i click la rende molto meno produttiva, per chi la ospita.

Schmidt, in risposta alle polemiche, consiglia agli editori di innovare, sempre, e di pensare in termini di "ciò che vuole il lettore", e poi ha affermato che i giornali sono "deludenti": sono partiti molto bene sul web, ma poi si sono impantanati, apparentemente incapaci di adattarsi al nuovo mezzo.

Il problema di fondo è che Google News ha ogni giorno più lettori, e gli editori non possono evitare di pensare che quello sia un guadagno perso per loro. D'altra parte pochissimi, forse nessun giornale ha scelto di rimuovere i propri contenuti da Google News. Un motivo ci sarà, no?

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