La comunità internazionale si presenta al prossimo vertice sul clima di Belém, in Brasile, con un carico di promesse largamente disatteso. Secondo le Nazioni Unite, appena 64 paesi hanno presentato i nuovi piani nazionali per ridurre le emissioni di carbonio entro la scadenza prevista per la COP30, nonostante tutti i firmatari dell'Accordo di Parigi fossero obbligati a farlo. Si tratta di una percentuale che rappresenta soltanto il 30% delle emissioni globali, un dato che solleva interrogativi sulla reale volontà politica di contrastare i cambiamenti climatici.
L'analisi dell'organizzazione mondiale rivela che anche sommando tutti gli impegni attualmente sul tavolo, incluse le dichiarazioni presentate da Cina e Unione Europea durante la Climate Week di New York lo scorso settembre, il risultato sarebbe comunque insufficiente. Le proiezioni indicano una riduzione delle emissioni di anidride carbonica di circa il 10% entro il 2035, una cifra che gli scienziati definiscono drammaticamente inadeguata. Per mantenere l'aumento delle temperature sotto la soglia critica di 1,5 gradi Celsius, sarebbe necessario un taglio delle emissioni di gas serra fino al 57% nello stesso periodo.
Il limite di 1,5°C rappresenta da anni il confine oltre il quale gli effetti del riscaldamento globale diventano particolarmente pericolosi per l'umanità e gli ecosistemi. Nel 2018, la comunità scientifica aveva delineato con chiarezza i benefici enormi derivanti dal mantenere l'incremento termico sotto questa soglia, rispetto a un rialzo di 2°C. Superare permanentemente tale limite significherebbe affrontare ondate di calore e tempeste sempre più frequenti e intense, danni irreparabili alle barriere coralline e minacce crescenti per la salute umana e i mezzi di sussistenza.
La realtà dei fatti, tuttavia, ha già superato le previsioni più pessimistiche. Il 2024 ha segnato un primato negativo: per la prima volta nella storia delle misurazioni, la temperatura media globale ha superato la soglia di 1,5°C per un intero anno. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha ammesso con franchezza davanti ai delegati dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale che contenere il riscaldamento entro questo limite nei prossimi anni è ormai impossibile. Il superamento permanente della soglia appare inevitabile già entro l'inizio degli anni Trenta, secondo i ritmi attuali.
Nonostante il quadro preoccupante, le Nazioni Unite individuano alcuni segnali incoraggianti nel rapporto. Grandi produttori di emissioni come India e Indonesia non hanno ancora presentato i loro piani aggiornati, ma potrebbero farlo durante il vertice di Belém, modificando sostanzialmente le proiezioni complessive per il 2035. Inoltre, numerosi paesi potrebbero presentare i propri impegni nelle prossime settimane, quando i leader mondiali si riuniranno nel nord del Brasile.
Todd Stern, ex inviato speciale degli Stati Uniti per il clima, offre una prospettiva interessante sul caso cinese. Secondo l'esperto, Pechino tende storicamente a fissare obiettivi conservativi per poi superarli ampiamente, un comportamento che potrebbe rivelarsi decisivo per le proiezioni globali. La strategia diplomatica cinese prevede infatti di mantenere aspettative basse per poi sovraperformare, guadagnando credibilità internazionale.
Un aspetto tecnico rilevante riguarda il calcolo delle emissioni future: le Nazioni Unite includono ancora gli impegni degli Stati Uniti presentati sotto l'amministrazione Biden, nonostante il presidente Donald Trump abbia annunciato l'intenzione di ritirarsi dall'Accordo di Parigi. Poiché la procedura di uscita non è ancora completata, formalmente Washington rimane tra i firmatari, anche se gli obiettivi americani difficilmente verranno rispettati come pianificato.
Laurence Tubiana, CEO della European Climate Foundation e figura centrale nella stesura dell'Accordo di Parigi del 2015, sintetizza la situazione attuale con lucidità: la direzione intrapresa è quella corretta, ma la velocità di cambiamento risulta drammaticamente insufficiente. La vera sfida, secondo Tubiana, non risiede soltanto nell'assenza di impegni nazionali da parte di molti paesi, ma nel divario persistente tra ambizione dichiarata e attuazione concreta delle politiche climatiche.
L'elemento forse più significativo emerso dal rapporto riguarda una svolta storica: per la prima volta dalla rivoluzione industriale del XIX secolo, le emissioni globali dovrebbero raggiungere il picco massimo nei prossimi anni per poi iniziare a diminuire. I piani attualmente in campo, sostengono le Nazioni Unite, rappresentano passi concreti verso l'obiettivo delle emissioni nette zero entro la metà del secolo, un traguardo che richiede di bilanciare la quantità di gas serra prodotti dalle attività umane con quella rimossa attivamente dall'atmosfera.