La sindrome di Down, una delle condizioni genetiche più comuni al mondo che colpisce circa un neonato ogni 640 negli Stati Uniti, potrebbe trovare nuove prospettive terapeutiche grazie alla scoperta del ruolo chiave di una molecola chiamata pleiotropina. Un gruppo di neuroscienziati del Salk Institute for Biological Studies ha identificato questa proteina come elemento cruciale per il corretto sviluppo dei circuiti cerebrali, aprendo scenari inediti per interventi che potrebbero essere efficaci anche in età adulta, ben oltre le ristrette finestre temporali della gestazione finora considerate critiche.
Il team guidato da Nicola J. Allen ha concentrato l'attenzione sugli astrociti, cellule gliali del sistema nervoso centrale che svolgono funzioni essenziali di supporto ai neuroni. Queste cellule specializzate sono in grado di secernere molecole che modulano le sinapsi, le giunzioni dove avviene la trasmissione dell'informazione nervosa. L'intuizione dei ricercatori è stata quella di utilizzare gli astrociti come "vettori biologici" per distribuire la pleiotropina direttamente dove serve, sfruttando virus ingegnerizzati privati della loro capacità patogena e trasformati in navette molecolari.
La pleiotropina normalmente raggiunge livelli molto elevati durante fasi critiche dello sviluppo cerebrale, quando contribuisce attivamente alla formazione delle sinapsi e alla crescita di assoni e dendriti, le strutture che permettono ai neuroni di inviare e ricevere segnali. Analizzando i profili proteici nelle cellule cerebrali di modelli murini della sindrome di Down, gli scienziati hanno osservato che i livelli di questa molecola risultano significativamente ridotti nella condizione genetica, suggerendo un nesso causale con le alterazioni dei circuiti neurali.
La metodologia sperimentale si è basata sull'impiego di vettori virali, strumenti ormai consolidati nella ricerca genetica che permettono di veicolare materiale terapeutico con precisione. Nel caso specifico, i virus sono stati modificati per trasportare il gene codificante per la pleiotropina direttamente nelle cellule bersaglio. Questo approccio di terapia genica ha permesso agli astrociti di produrre autonomamente la molecola mancante, ripristinando almeno in parte la funzionalità dei circuiti neurali.
Particolarmente rilevante è il fatto che i benefici funzionali sono stati osservati in topi adulti, quando il cervello aveva già completato il suo sviluppo strutturale. Questo dato rappresenta un potenziale vantaggio rispetto alle strategie precedenti, che avrebbero richiesto interventi durante finestre temporali molto ristrette della gravidanza. Come spiega Ashley N. Brandebura, ricercatrice che ha partecipato allo studio e ora fa parte del Brain Institute dell'Università della Virginia, "questo studio fornisce una prova di principio che possiamo modulare gli astrociti per ricablare i circuiti cerebrali anche in età adulta".
La sindrome di Down origina da un errore nella divisione cellulare durante lo sviluppo embrionale, che porta alla presenza di una copia extra del cromosoma 21. Le conseguenze cliniche includono ritardi nello sviluppo, iperattività, riduzione dell'aspettativa di vita e aumentato rischio di patologie cardiovascolari, tiroidee, uditive e visive. Le alterazioni cognitive, particolarmente evidenti nell'apprendimento e nella memoria, sono correlate a disfunzioni dell'ippocampo, la stessa regione cerebrale dove gli scienziati hanno osservato l'incremento sinaptico dopo somministrazione di pleiotropina.
I ricercatori sottolineano con cautela che la pleiotropina non è probabilmente l'unico fattore coinvolto nelle alterazioni circuitali della sindrome di Down. Tuttavia, i risultati pubblicati su Cell Reports in modalità open access dimostrano la validità dell'approccio generale. Allen evidenzia che utilizzare gli astrociti come vettori per molecole che inducono plasticità cerebrale potrebbe un giorno permettere di correggere connessioni disfunzionali e migliorare le performance cognitive.
Le implicazioni potrebbero estendersi ben oltre la sindrome di Down. Brandebura suggerisce applicazioni potenziali in altri disturbi del neurosviluppo come la sindrome dell'X fragile, ma anche in patologie neurodegenerative come l'Alzheimer. Il principio di "riprogrammare" astrociti disfunzionali affinché producano molecole sinaptogeniche rappresenta una strategia innovativa che potrebbe beneficiare numerose condizioni neurologiche caratterizzate da alterazioni della connettività neuronale.
Brandebura proseguirà questa linea di ricerca presso l'Università della Virginia, dove farà parte del Dipartimento di Neuroscienze e del Center for Brain Immunology and Glia. Gli sviluppi futuri dovranno chiarire i molteplici fattori coinvolti nelle disfunzioni circuitali della sindrome di Down e ottimizzare le strategie di somministrazione per eventuali applicazioni nell'uomo, rispettando i tempi e i rigorosi standard di sicurezza richiesti dalla sperimentazione clinica.