Apple chiede un iPhone 5 migliore e i lavoratori scioperano

Secondo China Labour Watch gli operai che assemblano l'iPhone 5 sono entrati in sciopero dopo che Apple ha chiesto a Foxconn di rispettare standard qualitativi più rigidi. Lo stesso problema avrebbe fatto nascere risse in azienda la settimana scorsa. Foxconn tuttavia nega tutto e assicura che la produzione procede senza intoppi.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Alcuni lavoratori di Foxconn sono entrati in sciopero, dopo che l'azienda ha aumentato la pressione su di loro per rispondere a richieste di maggiore qualità da parte di Apple. L'informazione è stata diffusa da China Labour Watch (CLW), organizzazione nota per le indagini sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti cinesi. Foxconn tuttavia ha negato che lo sciopero si sia mai verificato.

Stando a CLW sarebbero tra tre e quattromila i lavoratori addetti al controllo qualità ad aver incrociato le braccia. Foxconn avrebbe "innalzato eccessivamente le richieste sulla qualità dei prodotti senza dare ai lavoratori la formazione necessaria. Questo […] ha portato a un'eccessiva pressione sui lavoratori stessi. Inoltre i responsabili della qualità si sono trovati spesso in conflitto con gli altri lavoratori", racconta l'organizzazione. Lo sciopero avrebbe portato all'arresto totale di diverse linee dove si produce il nuovo iPhone 5.

L'iPhone di Apple appassiona, anche troppo

Le richieste di maggiore qualità secondo CLW arrivano direttamente da Apple, e includono una tolleranza di 0,02 mm nell'assemblaggio dei componenti, e standard più rigidi sui graffi della cover posteriore. Secondo l'associazione tra l'altro Apple starebbe chiedendo a Foxconn di correggere difetti di progettazione durante le fasi finali della realizzazione.

L'organizzazione ritiene inoltre che le risse della settimana scorsa, verificatesi negli stabilimenti Foxconn, sarebbero nate proprio dai dissapori tra operai e responsabili della qualità - questi ultimi a quanto pare avrebbero rischiato il linciaggio da parte dei colleghi. Un segnale che la dirigenza Foxconn avrebbe del tutto ignorato. 

Ad aggravare le tensioni ci sarebbe il fatto che Foxconn ha chiesto di lavorare tra l'uno e l'otto ottobre, giorni di festività nazionali; la giornata del cinque sarebbe stata particolarmente critica. Gli ispettori della qualità avrebbero scioperato in piccoli gruppi, di poche centinaia, e nel momento di massima partecipazione si sarebbero raggiunti i 4000 aderenti.

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Foxconn da parte sua nega che ci sia stato uno sciopero, limitandosi a confermare i disordini della settimana scorsa. "Le informazioni secondo cui ci sarebbe stato uno sciopero dei lavori sono imprecise. Non c'è stato nessun fermo alle attività e la produzione va avanti come da programma. Gli operai che hanno lavorato durante le feste nazionali lo hanno fatto volontariamente, e ciò è documentato", ha fatto sapere l'azienda tramite un comunicato stampa, dove si specifica anche che la paga per quei giorni è il triplo del normale.

China Labour Watch ha aggiornato la propria comunicazione dopo la risposta di Foxconn, confermando che secondo le sue fonti (alcuni lavoratori) lo sciopero c'è stato. E ha aggiunto che dopo un giorno l'azienda avrebbe minacciato di licenziamento chi non si fosse presentato la lavoro, mettendo così fine alla protesta.

Foxconn in Cina non è una semplice azienda. Dà lavoro a 1,2 milioni di persone e praticamente possiede intere città. È noto che esercita un controllo molto preciso sui mezzi d'informazione, e si sospetta anche che abbia un qualche potere sulle autorità nazionali. A fronte di un'organizzazione indipendente come China Labour Watch, quindi, è piuttosto difficile se non impossibile arrivare a dire quali siano le informazioni corrette.

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CLW lascia trasparire l'ipotesi che Apple sia in qualche modo responsabile di quanto accaduto ai lavoratori Foxconn, per quanto tra le due aziende non ci sia che un rapporto cliente-fornitore, e l'onere di certi problemi dovrebbe essere in teoria solo di quest'ultimo. Anzi, per Apple questa potrebbe persino essere l'occasione di dimostrare quanto sia concreto l'impegno che ha preso nei riguardi dei lavoratori cinesi.  

Nell'attesa di vedere che cosa farà l'azienda californiana si può guardare a quanto accaduto con un po' di ottimismo, perché forse quanto sta accadendo è indice di una maturazione nella manifattura cinese, o almeno della Foxconn.

Ben venga se i lavoratori stanno cominciando a organizzarsi, perché significa che l'industria manifatturiera si sta in qualche modo evolvendo.  E sia ancora più benvenuto il fatto che da un anno a questa parte in Occidente vendiamo a sapere di questi fatti, mentre in passato oltre la grande muraglia non c'era che un oscuro abisso informativo.

Perché così da una parte i consumatori hanno la possibilità di diventare più consapevoli, e questo è un passo avanti anche se oggi per chi vuole uno smartphone non ci sono certo alternative più etiche di altre. E dall'altra parte molte aziende europee e statunitensi (ma anche coreane e giapponesi) sono obbligate a confrontarsi con un potenziale danno d'immagine, e costrette a fare qualcosa per evitarlo.

Sarebbe ingenuo pensare che il problema si risolverà in tempi brevi, ma negli ultimi mesi qualcosa è cambiato, e ci piace pensare che qualche consumatore abbia cominciato a considerare importante l'origine dei propri gadget preferiti. È così anche per voi?