Il mercato globale dei semiconduttori ha vissuto momenti di tensione la scorsa settimana quando la Cina ha annunciato una stretta sui controlli delle esportazioni di terre rare, materiali essenziali per la produzione tecnologica moderna. La decisione di Pechino ha inizialmente fatto temere conseguenze devastanti per colossi come Apple, che dipendono dalle fonderie taiwanesi e sudcoreane per la produzione dei chip più avanzati. Tuttavia, un'analisi più approfondita delle nuove restrizioni cinesi ha rivelato uno scenario meno catastrofico del previsto, almeno per quanto riguarda l'industria dei semiconduttori.
Le autorità taiwanesi hanno chiarito domenica che i materiali soggetti alle nuove restrizioni cinesi non includono quelli utilizzati dalle principali fonderie per la produzione di semiconduttori. Il ministero dell'economia di Taiwan ha specificato che aziende come TSMC, Samsung e SK Hynix non dovranno affrontare problemi nell'approvvigionamento dei materiali necessari per i loro processi produttivi. Questa precisazione ha permesso al CEO di Apple Tim Cook di tirare un sospiro di sollievo, considerando la dipendenza quasi totale dell'azienda di Cupertino dalla produzione taiwanese per i suoi processori più avanzati.
La Cina controlla infatti il 90% della produzione mondiale di terre rare, elementi chimici fondamentali per migliorare le proprietà elettriche, ottiche e magnetiche dei componenti elettronici. Tra questi materiali figura il samario, utilizzato dagli Stati Uniti nella produzione di caccia F-35 e sistemi missilistici, disponibile esclusivamente sul territorio cinese.
Le nuove regole, che entreranno in vigore l'8 novembre, colpiranno invece settori come la produzione di droni e veicoli elettrici. Pechino ha giustificato questa decisione citando preoccupazioni per l'uso di questi materiali in "applicazioni militari" in un periodo caratterizzato da "frequenti conflitti armati". La strategia cinese sembra quindi mirare a specifici comparti industriali piuttosto che al cuore dell'industria dei semiconduttori.
Jimmy Goodrich, esperto dell'Università della California, aveva inizialmente commentato che "la Cina sta giocando duro", ipotizzando che la mossa potesse posizionare Pechino per "avere il controllo completo della catena di fornitura globale dell'intelligenza artificiale e dell'elettronica moderna". Tuttavia, queste preoccupazioni si sono ridimensionate una volta chiarito l'ambito effettivo delle restrizioni.
Al di là delle terre rare, Apple deve comunque fare i conti con vulnerabilità geopolitiche più ampie legate alla sua dipendenza da Taiwan. Recenti immagini satellitari hanno rivelato che la Cina ha costruito una replica dell'ufficio presidenziale di Taipei, alimentando timori su possibili azioni militari future. Il presidente taiwanese Lai Ching-te ha annunciato venerdì scorso l'accelerazione dei progetti per uno "scudo" aereo a protezione dell'isola.
Una eventuale invasione cinese di Taiwan rappresenterebbe uno scenario apocalittico per Apple e l'intera industria tecnologica, considerando che TSMC produce la maggior parte dei chip più avanzati al mondo. Oltre ad Apple, clienti importanti come NVIDIA, AMD e Qualcomm si troverebbero nella stessa situazione critica.
Gli Stati Uniti stanno intensificando gli sforzi per ridurre la dipendenza dalle terre rare cinesi attraverso progetti di estrazione domestica e ricerca di materiali alternativi. Il Dipartimento della Difesa ha stanziato centinaia di milioni di dollari per aziende americane impegnate nella ricerca di fonti alternative di approvvigionamento. Anche TSMC, pur avendo diversi fornitori, deve fare i conti con il fatto che la maggior parte di questi si rifornisce comunque dalla Cina.
La situazione attuale offre una tregua temporanea, ma evidenzia la fragilità delle catene di fornitura globali in un contesto geopolitico sempre più teso. La possibilità che la Cina estenda in futuro le restrizioni ai materiali effettivamente utilizzati nella produzione di semiconduttori rimane una minaccia concreta per l'intero settore tecnologico mondiale.