Cosa ne pensate dell’iPhone 17? Personalmente, sono tutt’altro che impressionato. E lo dice un utente iPhone: quello che uso è ancora un 15 Pro. Non ho sentito la necessità di acquistare il 16, e nemmeno ora quella di passare al 17.
Possiamo dire che Apple abbia perso un po’ di… magia, forse. Fino a qualche anno fa, le novità introdotte, pur senza rivoluzioni, riuscivano a far venire voglia di aggiornare. Magari erano funzioni già viste altrove, ma il loro arrivo su iPhone bastava a rendere il nuovo modello desiderabile. Da tempo, però, quel fascino si è affievolito.
Guardiamo il nuovo iPhone 17: design più sottile, vetro antiriflesso, Dynamic Island più compatta, fotocamera con zoom più potente, ricarica wireless migliorata, chip più performante… e poi? La solita fotocamera frontale che restituisce selfie mediocri? Tutto segue lo schema tipico di Apple: “un po’ meglio di prima”. Solo che, col passare degli anni, questo “poco in più” fa sempre meno la differenza, fino quasi a sparire.
E allora perché continua a vendere così tanto? Perché guadagna miliardi? La risposta non è “la gente è scema”, ve lo anticipo. Ci sono ragioni precise, concrete, che spiegano il perché.
Come vanno le vendite
Partiamo dai numeri. Per capire la situazione bisogna analizzare i dati di vendita e il comportamento dei consumatori. Non esistono comunicati dettagliati, quindi occorre leggere tra le righe.
Nel terzo trimestre fiscale del 2025, chiuso a giugno, Apple ha registrato un fatturato di 94 miliardi di dollari, in crescita del 10% su base annua. Di questi, 44,6 miliardi arrivano dagli iPhone, con un incremento del 13%. I servizi (app, abbonamenti e contenuti) rappresentano la seconda voce con 27,4 miliardi, seguiti da Mac (8 miliardi), indossabili e accessori (7 miliardi) e infine iPad (6,6 miliardi).
Il quadro complessivo conferma un modello consolidato: nel primo semestre dell’anno, su 220 miliardi di ricavi totali, gli iPhone ne hanno generati 116. Le spedizioni seguono la stessa tendenza: 55 milioni di unità nel primo trimestre 2025 (19% di quota di mercato) e 51,7 milioni nel secondo (+15% anno su anno, quota 17%).
Insomma, l’iPhone continua a vendere. Ma non perché attiri nuovi clienti: cresce perché gli utenti esistenti cambiano modello, spesso scegliendo le versioni più costose.
Apple ha comunicato che nel Q3 2025 le vendite della linea iPhone sono aumentate del 13% rispetto all’anno precedente, con la famiglia iPhone 16 in “strong double digits” di crescita rispetto alla serie 15. La stessa azienda ha parlato di “record di aggiornamenti” nel trimestre di giugno, segnalando anche un “mix di prodotti” sbilanciato verso i modelli Pro. Diversi analisti notano, infatti, una riduzione negli ordini dei modelli standard.
C’è poi l’ASP, il prezzo medio di vendita, che negli ultimi cinque anni è cresciuto di circa il 13%. L’iPhone 13 Pro costava intorno ai 1.189 euro, il 17 Pro arriva oggi a 1.339: un aumento di circa 150 euro in cinque anni, nettamente superiore all’inflazione media del periodo (4,5%).
Può sembrare poco, ma 50 milioni di unità trimestrali moltiplicate per quei 150 euro significano oltre 7 miliardi di euro potenziali in più. È la dimostrazione concreta di quanto una strategia fondata su prezzi più alti e modelli Pro possa generare profitti colossali, anche a parità di vendite.
In sintesi, i dati restano forti in termini finanziari, ma più che da nuovi ingressi derivano da aggiornamenti, prezzi più elevati e dal famoso “lock-in” dell’ecosistema Apple.
Le (non) innovazioni di iPhone
Per capire cosa sia successo dal punto di vista dello sviluppo dei dispositivi, vale la pena ripercorrere quella che è stata l'effettiva evoluzione dei modelli nel tempo. Perché, come dicevo all’inizio, l’iPhone è oggi un prodotto stanco, e Apple fa una fatica enorme a innovare davvero. Le uniche mosse concrete sono la creazione di versioni “meno costose”, che però restano tutt’altro che economiche e cercano solo di ampliare la platea.
Basta scorrere la lista in modo freddo e ragionato per rendersi conto che, nel corso degli anni, le novità sono state risicate e, tutto sommato, poco convincenti:
- 2007: il primo iPhone rivoluziona il mercato. Schermo multitouch, browser completo, design iconico. C’erano infiniti motivi per desiderarlo.
- 2008: arriva il 3G e l’App Store. Ancora un salto in avanti.
- 2009: con l’iPhone 3GS inizia il ciclo “S”: miglioramenti più contenuti, interesse in calo.
- 2010: iPhone 4 porta il Retina Display – una rivoluzione visiva.
- 2011: il 4S introduce Siri, più fumo che arrosto.
- 2012: iPhone 5 sfoggia il connettore Lightning, lo schermo da 4 pollici e l’LTE. Innovazioni che spingono ad aggiornare.
- 2013: il 5S aggiunge Touch ID e il chip a 64 bit, ma resta un upgrade marginale.
- 2014: iPhone 6 e 6 Plus portano schermi più grandi e Apple Pay. Passaggio epocale.
- 2015: 6S e 3D Touch: esperimento fallito.
- 2016: iPhone 7 elimina il jack per le cuffie, aprendo la strada agli AirPods.
- 2017: iPhone X segna la svolta con Face ID e OLED.
- 2018–2025: da qui in poi, solo passetti in avanti. Sempre più fotocamere, più potenza, nuovi tasti, chip migliori. Ma rivoluzioni zero.
L’iPhone 17 si inserisce perfettamente in questo andamento: un’evoluzione prevedibile, lontana dall’entusiasmo dei suoi inizi.
Le difficoltà di Apple
A questo punto vale la pena porsi una domanda diversa: è Apple a essersi fermata, o è tutto il settore? Entrambe le cose, ma Apple paga anche alcune scelte strategiche sbagliate. In particolare, il ritardo clamoroso nello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Nel 2011, con il lancio di Siri, sembrava avanti anni luce. Oggi si trova invece a rincorrere Google, Microsoft, OpenAI e persino Samsung. Dopo l’annuncio di “Apple Intelligence” nel 2024, i risultati anzi, la mancanza di risultati, sono sotto gli occhi di tutti.
O Apple tirerà fuori qualcosa di sorprendente, magari tramite un’acquisizione importante, oppure dovrà inseguire per anni. E in un momento storico in cui tutto ruota attorno all’IA, restare indietro equivale a indebolirsi.
L’ecosistema: da privilegio a trappola
C’è però un punto su cui Apple resta insuperabile: la costruzione di un ecosistema chiuso e perfettamente integrato. Il famoso “giardino recintato”, che oggi, tra pressioni normative, sanzioni europee e critiche, è più evidente che mai.
Un tempo non era percepito come una gabbia, ma come un vantaggio. Avere un iPhone significava accedere a un mondo fluido, sincronizzato, sicuro. Ora, invece, quel sistema trattiene gli utenti più che attrarli: app acquistate, iCloud, dispositivi collegati, abitudini radicate. Uscirne costerebbe troppo, in ogni senso.
È la logica del cosiddetto “lock-in”: la fidelizzazione forzata che Apple ha perfezionato negli anni. Secondo il CIRP, nel 2024 il tasso di fidelizzazione ha superato il 90%, un primato assoluto. Ma lo scenario sta cambiando: il ciclo di sostituzione dei dispositivi si è allungato a 3-4 anni, contro i due di un tempo.
Oggi, insomma, si cambia iPhone per necessità, non più per desiderio. Le code davanti agli Apple Store sono un ricordo. L’entusiasmo si è trasformato in abitudine.
Apple vive di rendita?
Guardando la traiettoria dell’iPhone, la sensazione è chiara: Apple non stupisce più. È passata dall’essere un’azienda che ridefiniva il mercato a una macchina perfettamente oliata che vive di rendita.
I numeri continuano a premiarla (parliamo di 44,6 miliardi di dollari di ricavi solo nel terzo trimestre 2025) ma raccontano una storia diversa: non più crescita organica, bensì margini gonfiati, prezzi più alti e fidelizzazione spinta.
La protezione ossessiva del proprio ecosistema, le regole rigide per gli sviluppatori, la prudenza sul fronte IA e l’espansione in mercati di nicchia come quello del Vision Pro sono tasselli della stessa strategia: mantenere il controllo assoluto. Ma il ritardo sull’intelligenza artificiale pesa come un macigno.
Perché se domani la concorrenza offrirà esperienze rivoluzionarie grazie all’IA e Apple invece no, le cose potrebbero cambiare. Oggi restiamo su iPhone per comodità, abitudine, o per semplice inerzia. Ma domani, con l’intelligenza artificiale integrata nei dispositivi Android o nei servizi alternativi, quelle “piccole cose in più” potrebbero davvero fare la differenza. E rovesciare gli equilibri di mercato.
Perché pensare che l’IA non rivoluzioni anche il mondo degli smartphone sarebbe una sciocchezza. È solo questione di tempo.