Atomic Heart ricorda Bioshock ed è tecnicamente notevole | Provato

Siamo volati a Parigi per provare per ben 4 ore in anteprima Atomic Heart, l'FPS/Immersive Sim di Mundfish e Focus Entertainment.

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a cura di Andrea Riviera

Managing Editor

Ci sono opere che rimangono nel mistero fino a pochi giorni dall'uscita: alcune riescono a convincere, altre confermano solitamente lo scetticismo che dapprima le accompagnava. Dopo essere volato a Parigi e aver provato per ben quattro ore Atomic Heart, mi sento tranquillo nel dire che la seconda opzione non è il caso per il videogioco di Mundfish e Focus Entertainment.

Il team russo ha passato gli ultimi cinque anni a lavorare senza sosta a questa avventura in prima persona, affrontando numerosi problemi comunicativi e soprattutto voci che vedevano lo stesso titolo come un prodotto inesistente. Ora, il mio augurio è che tutto ciò che si è detto del crunch e delle difficoltà sia falso, poiché ciò che ho giocato mi ha convinto, anche se con qualche criticità che vi esporrò nel corso dell'articolo e che mi auguro venga risolta o chiarita nel prodotto finito.

Atomic Heart e la forte impronta sovietica

La demo provata partiva probabilmente da poco dopo l'inizio del gioco; siamo nel 1955, e l'Unione Sovietica ha vinto la Seconda Guerra Mondiale portando la nazione ad avere un repentino progresso tecnologico. Tra le tante personalità di spicco che hanno saputo dare una spinta in più a tutta l'Unione, il Dottor Sechenov è certamente uno dei più importanti: a lui dobbiamo la città volante di Chelomev, un luogo in cui gli abitanti prosperano, vivono insieme ai droidi con intelligenza artificiale e comunicano con il pensiero.

Il personaggio da noi impersonato è il maggiore Nechaev (anche denominato P-3), che ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale ma che, a causa di un incidente non meglio precisato, non ricorda molto del suo passato. Egli viene chiamato dal Dottor Sechenov per una missione importantissima nella misteriosa struttura 3826, luogo in cui sono presenti tutti i laboratori di produzione e di ricerca della città di Chelomev. P-3 non viaggia da solo: abbiamo l'intelligenza artificiale Char-Les, un guanto composto da neuropolimeri sperimentali in grado di comunicare con il protagonista, nonché compagno di viaggio.

A causa di un evento improvviso provocato da un traditore dell'Unione Sovietica (e da una tecnologia lanciata dal Dottor Sechenov denominata "Pensiero"), Nechaev si ritrova in un vero e proprio disastro: gli androidi hanno cominciato a ribellarsi e a uccidere tutto il personale della struttura 3826, ed è qua che il gioco reale inizia, portandomi da subito ad affrontare i primi passi e temibili nemici.

Bene o male, ciò che vi ho appena descritto è l'inizio dell'opera senza spoiler significativi, e pur rendendomi conto che sia sbagliato fare confronti con altri titoli, è innegabile non sottolineare quanto l'impatto iniziale di questo Atomic Heart ricordi da subito il bellissimo Bioshock Infinite, basti pensare: una città volante e distopica, tutti estremamente felici e proiettati verso un futuro rivoluzionario. Nonostante ciò, Mundfish ha lavorato maledettamente bene con il world building, e ci si sente subito immersi nella Unione Sovietica retro-futuristica del 1955. In quello che ho giocato non c'è comunque banalità: abbiamo enormi edifici con lo stile del classicismo socialista, automobili fluttuanti staliniane, documenti e registrazioni che raccontano e offrono un contesto di lore più interessante e una serie di personaggi dal carattere decisamente particolare.

Seppur la storia di Atomic Heart rimanga ancora un mistero per una buona sua parte, posso certamente già sottolineare quanto la curiosità narrativa messa in piedi da Mundfish colpisca sin dai primi minuti, anche per merito di un'ambientazione unica e un mood irriverente ben lontano dalla serietà a cui ci hanno abituati titoli simili. P-3 non è certamente Booker Dewitt, ma un soldato fatto e finito che vuole raggiungere il suo scopo e a cui non interessa minimamente approfondire determinati discorsi, tanto è vero che il suo rapporto con Char-Les è sempre ostile e mai cordiale, anche se non nego che mi aspetto una crescita caratteriale di entrambi nel corso dell'esperienza finita.

Si spara, si martella e si esplora, anche se...

Chiaramente, in Atomic Heart si combatte e si esplora, ma in che modo? Vi basti sapere che le prime tre ore che ho giocato sono state molto lineari, mischiando elementi che ho avuto modo di vedere in vari giochi. Ciò non è un male, perché se c'è una cosa che il gioco di Mundfish ha... beh, quella è certamente la varietà.

Inizialmente ho combattuto solo con un'ascia chiamata Svedese, la quale mi ha permesso di apprendere le basi del combattimento all'arma bianca, attacco leggero, pesante e schivata, fondamentale per evitare di essere stesi dai terribili robot. Seppur non abbia trovato particolarmente legnose queste parti, la telecamera mi ha a volte infastidito, poiché perdevo di vista i droidi e venivo colpito senza che mi accorgessi da dove.

Proseguendo è comunque possibile trovare armi da fuoco e, ovviamente, poteri che vanno dalle scosse elettriche agli scudi protettivi, fino alla lievitazione dei nemici e agli attacchi ghiacciati, tutti raccontati da simpatiche animazioni cartoon, anche in questo caso volutamente ispirate a Bioshock. Tutto è potenziabile attraverso i materiali ottenibili da nemici o da armadietti, casse e quant'altro e dai Neuropolimeri, una risorsa fondamentale per migliorare le abilità legate al guanto. Le armi non sono poche, infatti spetta poi a noi capire cosa migliorare e cosa no. Giusto per dare risalto all'irriverenza citata poco prima, i potenziamenti avvengono in una macchina robot chiamata Nora che risulta costantemente... eccitata da ciò che le portiamo; questa si trova in stanze specifiche in cui è possibile riposare e salvare i nostri progressi (sì, i checkpoint sono pochi), un po' come le vecchie camere di Resident Evil.

Il gameplay è estremamente dinamico e lo shooting molto soddisfacente e sorprendentemente fluido. È possibile sfruttare i poteri in combinazioni letali, così come le armi; la strategia di approccio è fondamentale, visto che è presente anche una piccola componente stealth che ci permette di eliminare i nemici alle spalle senza farci scoprire. Anche il combattimento con un boss che ho provato, seppur non troppo complicato, si è rivelato divertente, mentre è evidente anche una certa qualità nella varietà dei nemici stessi, che vanno da mutanti fino a piccole macchine da guerra o droidi riparatori.

Ciò che mi ha convinto a metà è l'open world, che si sblocca dopo 5-6 ore da inizio gioco ed è la parte centrale dell'esperienza. La mappa è discretamente grande ed è composta interamente da strutture sovietiche, robot assassini, umani trasformati e praterie verdeggianti. Teoricamente le attività presenti dovrebbero essere in quantità: dai mini boss, ad aree puzzle in cui sbloccare materiali unici fino a una serie di luoghi da scoprire e da esplorare, stando sempre ben attenti alle telecamere che, oltre a segnalarci ai nemici nelle vicinanze, aumentano il livello di allerta per chiamare rinforzi in grado di darci molto fastidio. Ciò che ho giocato mi è sembrato piuttosto vuoto, ma in un video mostrato dopo dai ragazzi del team di sviluppo sono venuto a conoscenza dell'opportunità di guidare mezzi di trasporto e dell'esistenza di missioni secondarie e altre attività. Ora, io chiaramente giudico quello che vedo, ma in questo caso mi sento di rimandare il parere sull'open world, che comunque è bene sapere che sarà composto da cinque strutture grandi che compongono la storia del gioco.

Se avete una buona scheda grafica, è tempo di sfruttarla

La prova che ho effettuato è stata su un PC di fascia molto alta, non per altro ho giocato con l'impostazione "ATOMIC" e ciò significa massime impostazioni e 4K. Non so quanto la qualità possa abbassarsi in Full HD e con settaggi inferiori, ma ciò che ho visto mi ha davvero colpito e rientra tranquillamente tra le esperienze visivamente più incredibili a cui io abbia giocato di recente.

Oltre a un impatto visivo certamente notevole, Atomic Heart tecnicamente si è dimostrato solidissimo e con una qualità nei piccoli dettagli che mi ha lasciato di stucco. La distanza visiva è impressionante ed è possibile anche banalmente vedere i tagli dell'ascia dati sui droidi nell'esatta posizione in cui si effettuano. Tra particellari, texture e animazioni, siamo davvero su alti livelli, comprese le cutscene che, oltre a essere ben presenti, mostrano un valore qualitativo importante.

Se c'è però una particolarità che mi ha davvero esaltato è l'audio design. Mundfish ha sapientemente mischiato musiche da radio sovietiche e brani elettronici e rock sulla falsariga di ciò che si è sentito su DOOM grazie a Mick Gordon. Una cosa che nelle prime ore confonde, ma che trova un suo preciso stile che in tutta sincerità mi ha esaltato.

Atomic Heart, Tirando le somme

Atomic Heart mi ha convinto, anche se con alcune perplessità che andranno valutate nel gioco finito. Per esempio, non si è capito molto della struttura open world e la storia è ancora avvolta nel mistero per una buona sua parte. Tuttavia, la componente esplorativa, lo shooting e il comparto tecnico si sono rivelati all'altezza, mettendo in mostra un titolo con dei valori produttivi molto alti e una serie di qualità legate al world building che onestamente mi hanno sorpreso. Certamente esco dalla prova con più tranquillità rispetto a prima, per lo meno ora sappiamo che il gioco di Mundfish e Focus non è un qualcosa di ultraterreno ma un progetto di livello in grado di poter dire la sua nel corso del prossimo mese e perché no, anche del 2023. La speranza è che la quantità enorme di cose che ho visto riesca a legare bene tutta insieme, dando vita a un videogioco fluido e che convinca dall'inizio alla fine senza troppe criticità.