Il mondo di Battlefield 6 (acquistabile qui) sta attraversando una fase di turbolenza inaspettata dopo mesi di navigazione tranquilla. L'aggiornamento di ieri ha introdotto la stagione uno insieme alla modalità battle royale REDSEC, ma l'entusiasmo iniziale si è rapidamente trasformato in polemica per una parte significativa della comunità. Quello che doveva essere un momento di festa si è rivelato un punto di svolta controverso per lo sparatutto militare che aveva conquistato il pubblico proprio per il suo approccio più essenziale.
La questione delle microtransazioni sta dividendo la base di giocatori in modo netto. Il sistema adottato per questa stagione va ben oltre il classico modello "gratuito o a pagamento" tipico dei battle pass. Gli sviluppatori hanno infatti predisposto una struttura articolata in diversi pacchetti acquistabili separatamente: lo Starter Pack della stagione uno, l'Advanced Pack, il Rogue Ops e il Pro Pack. A questi si aggiungono le skin disponibili nel negozio interno del gioco, che richiedono l'acquisto di Battlefield coins, la valuta virtuale del titolo.
L'avanzamento nel battle pass funziona attraverso i punti BP, ottenibili completando sfide settimanali e accumulando esperienza durante le partite. Questo meccanismo sblocca progressivamente i livelli del pass, ricchi di cosmetici, potenziamenti e valuta di gioco. Tuttavia, è proprio il sistema delle sfide a generare le critiche più accese.
Prima dell'aggiornamento, le sfide potevano essere completate in qualsiasi modalità di gioco, salvo rare eccezioni legate a specifici sblocchi. Ora invece molte di queste missioni settimanali obbligano i giocatori a cimentarsi nella modalità battle royale, anche quando non hanno alcun interesse per questo tipo di esperienza. Esiste la possibilità di modificare le sfide assegnate, ma se dopo il cambio si ottengono nuovamente missioni legate alla battle royale, non resta altra scelta che accettarle.
L'aspetto estetico rappresenta un altro fronte caldo della controversia. I contenuti cosmetici introdotti mantengono una certa coerenza con l'estetica militare del gioco, proponendo diverse varianti di mimetiche digitali e altri elementi tematici. Nonostante questo tentativo di preservare l'autenticità visiva, una fetta di giocatori ha manifestato disappunto, in particolare coloro che avevano apprezzato l'aspetto realistico e sobrio delle classi al momento del lancio.
Il malcontento assume una dimensione ancora più significativa se contestualizzato nel panorama degli sparatutto contemporanei. Battlefield 6 aveva infatti attirato molti giocatori stanchi dell'approccio commerciale aggressivo che caratterizza ormai Call of Duty, titolo spesso percepito come un esempio di capitalismo videoludico senza freni. Il gioco di Battlefield Studios sembrava offrire un'alternativa più genuina, un ritorno a un'esperienza FPS più diretta e meno contaminata da logiche di monetizzazione invasive.
Questo mese in particolare aveva visto un'impennata di popolarità per il titolo, proprio grazie a questa promessa di autenticità. La svolta impressa dall'aggiornamento della stagione uno rischia quindi di compromettere il delicato equilibrio che aveva reso Battlefield 6 un fenomeno in crescita. Mentre alcuni giocatori si stanno divertendo con i nuovi contenuti, altri temono che il gioco stia perdendo la propria identità distintiva, scivolando verso un modello economico che avevano sperato di lasciarsi alle spalle.