BioShock Infinite: un mito immortale lungo dieci anni

Un nostro esaustivo approfondimento legato a BioShock Infinite, il capolavoro immortale di Ken Levine, nonché terza iterazione del brand.

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a cura di Nicholas Mercurio

"Portaci la ragazza, De Witt, e annulla il debito".

A pronunciare queste parole, dieci anni fa, era una voce metallica. Sempre dieci anni fa, un uomo qualunque, nato a New York, era stato assoldato per una missione nell'angolo più misterioso e discusso del pianeta, lontano dagli Stati Uniti, dalla realtà in cui è cresciuto e da tutte quelle cose che, ancora oggi, affascinano i più curiosi per quel sogno americano che tanti sperano di raggiungere ma che in pochi, invece, abbracciano. Se c'è qualcosa che mi ha sempre affascinato di BioShock Infinite, sin da quando lo avviai per la prima, fu la sua introduzione. C'era un faro, due tizi che parlavano del fato e di enigmi curiosi, chiacchierando per rime di cosa vi fosse di celato nell'oblio e nell'ignoto, mentre il tempo passava, si rafforzava, diventava momentaneo, si fermava e poi ricominciava, come se non avesse voglia di seguire un equilibrio. Bastava sentire la voce di Booker DeWitt per rendersene conto, mentre la barcaccia lo trasportava al faro, alla ricerca di qualcosa che forse non aveva compreso appieno, e nel frattempo tutto era volto dal mistero. Perché Booker DeWitt, un investigatore privato alcolista, ben poco conosceva di dove sarebbe giunto e quali eventi avrebbe vissuto.

Sapeva che il luogo in cui era diretto si chiamava Columbia, e che ne aveva sentito parlare dalla Pinkerton, l'agenzia che lo aveva assoldato per cercare una ragazza e annullare, a detta di qualcuno, un debito che gravava sulle sue spalle. Non sapeva il perché, ma qualcosa lo attirava nell'ignoto. Entrando in quel faro, stringendo il pomello, era al corrente che niente sarebbe stato come prima. Proseguiva il suo cammino su una scalinata, per poi imbattersi in una strana sedia all'interno di una macchinario che non lo ispirava affatto, ma era l'unico modo per raggiungere la città delle nuvole. Mentre si sedeva, spaventato dal sangue sparso sul pavimento, sapeva che sarebbe giunto ben lontano dall'umana concezione e da qualunque altra formula che l'uomo era abituato a riconoscere quando pensava di essere immortale e, soprattutto, immacolato. Il sangue sul pavimento di cui vi ho parlato, infatti, non impressionò l'investigatore né lo lascio sgomento: faceva parte del suo lavoro.

Come molte, troppe cose che aveva visto in passato, ossessionato dal mistero della vita, Booker DeWitt era abituato alla morte. Aveva partecipato a una guerra, si era macchiato le mani del sangue di tanti innocenti e per molto tempo non aveva neppure provato rimorso, perché sapeva benissimo che quanto aveva fatto era il bene del suo Paese. Un Paese che, però, lo aveva abbandonato alla mercé dei suoi fantasmi, spaventato dalle morti che ogni notte vedeva nei sogni mentre cercava di prendere sonno. Booker beveva. Beveva così tanto da essersi gonfiato il fegato di paure, ansie e rancore, di aver dimenticato il bello del mondo e cosa vi fosse di placido nella sua vita.

Aveva addirittura lasciato il tempo passare, mentre tentava di riprendersi, non riuscendo neppure ad alzarsi dal divano o dalla sedia del suo ufficio. Aveva dimorato a lungo in quella prigione fatta di scelte sbagliate, con le lacrime che scendevano copiose sul suo volto mentre cercava un senso alla sua vita e a ogni cosa avesse passato, ma che non ricordava e non capiva il perché. Un sorso di birra, uno di brandy, a volte persino di whisky e ogni domenica, se riusciva ad accaparrarsene al mercato nero, addirittura un disgustoso moonshine, un distillato illegale che alcune persone vendevano a un prezzo irrisorio per pagare i debiti con la banca, gli strozzini e la criminalità organizzata, che a quel tempo, nell'America del 1910, cominciava a prendere piede.

Un uomo sospeso fra una vita sbagliata fatta di errori che non ricorda, di momenti che ha dimenticato e di situazioni cui non ha dato peso. Un uomo smarrito, solo, ancorato a una speranza e a un lavoro, l'ennesimo, che potrebbe liberarlo finalmente dai suoi tormenti. Mentre con la mano stringe la manovella per azionare il meccanismo, socchiude gli occhi, sospira e poi prende fiato, sicuro che potrebbero accadere due cose: morire a causa di un malfunzionamento, finendo nell'Oceano Atlantico, o raggiungere Columbia, varcando le porte dell'ignoto di cui tanto aveva sentito parlare e che conosceva grazie ai racconti di amici e vecchie commilitoni. Aveva pensato che fosse fantasia, ma no, non lo era affatto. Superate le nuvole, raggiungendo il cielo, aveva intravisto un tetto.

Poi un altro, un altro ancora, e aveva notato persino una struttura alta quanto l'Empire State Building, a New York, che dominava su grattacieli che nel caso di quelli di Columbia facevano parte della forma celeste, impassibili di fronte alla sua ascesa e discesa verso una chiesa. Aperto quel marchingegno, raggiunta poi una scalinata, Booker DeWitt sapeva benissimo che non fosse necessario punzecchiarsi un braccio per rendersi conto che tutto quello fosse reale. Perché lo era, lo era eccome.

La storia magnifica di un mito immortale

Avevo diciotto anni la prima volta che giocai a BioShock Infinite. Delle produzioni di Kev Levine, fino a quel momento, avevo giocato le precedenti iterazioni ed ero innamorato incantato dal primo BioShock, la leggenda degli immersive sim per eccellenza, nonché la produzione che fece da coro a quel System Shock 2 che tanti avevano amato nel corso dell'ultima decade degli anni '90. La terza produzione del brand, giunta in un momento adatto per esprimersi al meglio dopo alcuni dei videogiochi più rinomati, ebbe la capacità di affascinare e incastrarsi in un momento estremamente fortunato per Irrational Games, che aveva conquistato una nutrita schiera di giocatori e affezionati che ancora oggi, ricordando il mito di Booker DeWitt, ne rimangono incantati.

Fu un anno particolare, per me, quello di BioShock Infinite, giunto in un momento complesso che riuscì in ogni caso a migliorarlo. E se penso a tutte le piattaforme in cui l'ho giocato, è incredibile averlo attualmente per Xbox 360 (conservo ancora la copia originale), PlayStation 4, Nintendo Switch e in digitale su Xbox Series X. In realtà ho tutta la trilogia, ma con BioShock Infinite, lo ammetto, ho un legame particolare che va ben oltre la classica esperienza videoludica che concludi e puoi rimpazziare con altro. Nonostante siano passati così tanti anni, ancora oggi lo rigioco almeno una volta all'anno solo per percepire le emozioni passate dagli occhi di Booker DeWitt ed Elizabeth, una compagine del tutto inedita per sopravvivere a Columbia e alle sue minacce.

Al netto però dei discorsi personali, importanti fino a un certo punto, il fascino di BioShock Infinite deriva dalla scrittura adottata da Ken Levine per creare in modo accurato la sua opera. I precedenti capitoli, sebbene già fossero riconosciuti per l'ottimo lavoro svolto dedicato al worldbuilding e a molto altro, sapevano affascinare per le loro tematiche, abbracciando atmosfere oscure e truci. La terza iterazione, tuttavia, maschera il terrore proponendo una città lucente e meravigliosa, ben diversa da Rapture e dalle sue ipocrisie, dominata da una fede incrollabile verso Padre Comstock, il Messia del posto, un uomo che ha fatto della sua santità un esempio di virtù e invidia per chiunque sognasse di diventare come lui.

Come ben si sa, però, luoghi del genere nascondono un passato turbolento e lo stesso santone di Columbia, interessato solo ad accrescere il suo potere, mal supporta chiunque lo contraddica e lo metta in dubbio. Vive alla giornata, conta i fedeli sul palmo della sua mano e si assicura, al contempo, il futuro in ogni sua sfaccettatura, sapendo di dover mettere al primo posto il suo potere e i suoi interessi. La schiera di lealisti, tanti di numero quanto sciocchi nel discernimento, è totalmente succube della sua cupidigia. Nonostante ci sia una leggenda, che parla di un agnello e di un uomo pronto a spodestarlo, non è spaventato da questa eventualità.

Quando Booker DeWitt è stato immerso nell'acqua del battesimo, come per ripulirsi dei suoi peccati commessi a New York e in precedenza durante la guerra, ho avuto la sensazione che una nuova parte della sua vita fosse cominciata in quel momento. Infatti fu così, perché una volta uscito dall'acqua e iniziata la sua missione, del suo passato erano rimasti solo dei racconti narrati con un filo di voce e tanta paura. In un modo o nell'altro, interpreto così l'inizio di BioShock Infinite, sebbene la sua scrittura, chiara dal principio, racconti in modo accurato molto altro, tanto altro, e non lasci in sospeso alcunché. Ciò l'ho compreso qualche missione dopo, quando Booker DeWitt, liberando Elizabeth, si rende conto che la sua missione non poteva tradursi con il solo salvataggio di una ragazza che era nata in un posto sbagliato e cresciuta lontana dagli affetti di un vero padre. Comstock, in tal senso, è un uomo abietto, solo e rancoroso, aggrappato al mito dell'agnello e del pastore che lui stesso ha diffuso, sospeso fra le sue finzioni e un passato ignobile, che non comprende appieno.

Booker DeWitt e Comstock, in un modo o nell'altro, sono molto più simili di quanto immaginiamo. Se però ricordo qualcosa che mi ha fatto sorridere dieci anni fa, è quel ballo improvvisato fra Elizabeth e Booker che racconta ben più di un rapporto che si sta costruendo, bensì di una fiducia che deve instaurarsi necessariamente. E quel momento compresi, anche grazie alla letteratura e in generale ai libri, cosa significasse creare un legame con qualcuno che significava soltanto lavoro. Per Booker DeWitt era soltanto questo finché non ha compreso le potenzialità del potere nascosto Elizabeth e i suoi sogni, come raggiungere Parigi e perdersi tra le vie di Montmartre, dimenticando per un momento di essere la protetta di un uomo che vive sulle paure delle persone. Il rapporto fra i due protagonisti, che accresce a ogni sfida che affrontano, è la prova di quanto la scoperta di una nuova persona possa significare ben più del classico incontro tra sconosciuti, che poi si scopre essere qualcosa di più. La scrittura di Ken Levine, oltre a rendere verosimili i tratti sia di Booker che di Elizabeth, rappresenta alla perfezione le tematiche raccontate all'interno della sua opera.

Avanzando nell'esperienza, una volta arrivato a metà della produzione, qualcosa era mutato nell'investigatore. Per capirlo, in realtà, ho dovuto attendere il momento in cui ha temuto di perdere la ragazza. In BioShock Infinite, oltre al racconto e a un preciso stile di game design, c'era ben altro nascosto negli angoli inaspettati della produzione, che può essere compreso solo dopo alcune run. Non dichiarato e neppure palese, Booker DeWitt si affeziona a Elizabeth non appena comincia a vederla come una persona con del talento e delle passioni, e con un cuore che batte per la vita e le sue imprevedibilità. Anche se il loro primo incontro è stato burrascoso, con un libro ben assestato da parte della ragazzo sul volto del protagonista di BioShock Infinite, Booker DeWitt ha comunque scoperto un lato sensibile della giovane, desiderosa di conoscere la verità e fuggire da Columbia per raggiungere un luogo che la faccia sentire totalmente viva.

Un sogno chiamato Parigi

La narrazione, che passa da Booker DeWitt a Elizabeth, mostra le sensibilità di entrambi. Non approfondendola troppo, sappiate che i principali temi di BioShock Infinite riguardano la scoperta, la politica, l'ostentazione del potere, l'odio e l'oscurantismo. Tutto è raccontato perché si avverta quella sensazione di essere in un mondo non solo distopico ma anche ottenebrato, completamente alla mercé di un potere che sta condannano le persone più miserevoli a piegarsi al volere di un uomo che non ha alcuna pietà nei confronti degli altri e che considera chi lo minaccia un peso da togliersi prima che sia troppo tardi. Le tematiche ricorrenti, oltre a ricordare le esagerazioni degli Stati Uniti e il loro potere assoluto, si riferiscono soprattutto alla propaganda.

Durante i miei viaggi per BioShock Infinite, ho notato in molte occasioni come la società di Columbia fosse legata in modo indissolubile alle decisioni di Padre Comstock e che ogni cittadino, in un modo o nell'altro, fosse osservato e giudicato in base a qualunque scelta intrapresa, giusta o sbagliata che fosse. Peccare in un luogo del genere è sconsigliabile per chiunque cerchi di trovare qualcosa di bello in una realtà completamente dominata dalla paura e dall'oscurantismo, flagellata dal panico e dal dubbio, diviso fra il passato e il presente. Lo stesso Booker DeWitt, ad esempio, è un uomo pentito degli orrori commessi in guerra: il massacro di Wounded Knee, vicenda storica accaduta realmente, è ricordato dall'investigatore come uno dei momenti più brutti della sua vita. In una missione dell'esperienza, infatti, Booker DeWitt rivive quel momento complesso e l'eccidio commesso in passato ai danni del popolo Sioux Lakota, che non intendeva abbandonare le sue terre né entrare a far parte delle frontiere, luoghi che significavano prigionia e controllo da parte del Governo di Washington. In questo modo, il giovane Booker DeWitt, al tempo diciassettenne, cominciò a macchiarsi le mani del sangue degli innocenti, dimenticando il ragazzo e diventando un uomo afflitto dalla sofferenza.

Se la propaganda di Columbia mostra l'esagerazione del sogno americano in ogni sua sfaccettatura, immaginate come questa possa rovinare la vita di qualcuno che cerca di dimenticare gli orrori perpetrati numerose volte in passato. La vicenda di Wounded Knee fu solo uno dei tanti momenti che vide protagonista Booker DeWitt, perché nel suo storico di massacri ne ha visti e vissuti parecchi, alle volte addirittura in groppa a un cavallo al fianco dei generali più illustri e rinomati degli Stati Uniti. Un sogno chiamato Parigi, però, è impossibile da negare a una ragazzina che sogna di vivere un'esistenza diversa e felice. Ed è un sogno che all'apparenza, per quanto complesso, è l'unico che resta a Elizabeth per fuggire da Columbia assieme a Booker. Il loro rapporto, accrescendo adagio, si scopre a tal punto da diventare travolgente e potente. Parla al cuore del giocatore perché è vero, diretto e concreto, e non si accontenta soltanto di legare le proprie esaltazioni alle meraviglie di Columbia, bensì di estendersi ben oltre il firmamento e le nuvole che dominano sull'intera Columbia. Quel fascino, dopo dieci anni, è ancora perpetuo e dubito che cambierà mai.

BioShock Infinite e l'immortalità del ricordo

Se Parigi è lontana, immaginate quanto sia complesso riuscire a raggiungere una via di fuga per chi è rincorso dai soldati di Padre Comstock. Della struttura ludica di BioShock Infinite si può dire di tutto, ma lo scopo del pezzo non è propriamente questo. BioShock Infinite, per Kev Levine, è stato probabilmente il momento più adatto e alto della sua carriera per il valore espressivo che è riuscito a trasmettere al suo interno: potente, graffiante, significante e capace di sottolineare l'importanza dei rapporti umani e della propaganda, è la dimostrazione perfetta di quanto guardare il cielo e scoprire una nuova tecnologia sia solo un pretesto per affascinarsi, perché il resto a completare l'opera è invece la storia di Booker DeWitt e di Elizabeth, due fra i protagonisti migliori che l'industria dei videogiochi possa vantare.

Inoltre, è fondamentale sottolineare quanto la prima e la seconda parte di Burial at the Sea, il DLC dedicato all'esperienza di BioShock Infinite, siano fondamentali per comprendere al meglio le vicende che legano i due protagonisti e cosa vi è di realmente nascosto nella loro storia. Si scopre una Elizabeth diversa, molto più diretta e meno impacciata, coraggiosa e sarcastica. E Booker DeWitt, invece, è sempre lo stesso investigatore attirato stavolta dal mistero di Rapture e dalle sue acque. Dieci anni dopo da quel 26 marzo 2013, è rimasto nel cuore di chi ha vissuto Columbia intensamente un ricordo indelebile e duraturo. Il ricordo di Elizabeth, che sognava Parigi e danzare, il sogno di Booker DeWitt, che sperava di trovare un senso alla propria esistenza.

Sotto il profilo ludico, a quel tempo BioShock Infinite proponeva una struttura di gioco ben differente dalle precedenti iterazioni, che abbracciava un approccio da sparatutto, combinando quelle atmosfere immortali che in molti avevano amato in passato. Ogni leggenda merita una storia, ogni favola di essere raccontata e di essere ascoltata. Quella di oggi narra le vicende di Booker DeWitt e di Elizabeth, due anime legate l'una all'altra alla ricerca di un nuovo futuro, mentre tentano di dimenticare il passato, con tutte le intenzioni di migliorare il presente. A distanza di dieci anni, Columbia è ancora un luogo felice per molti. Per me, e lo ammetto, è un luogo di redenzione, come lo è per lo stesso Booker.