Avatar di Michele Pintaudi

a cura di Michele Pintaudi

Editor

Sulle pagine di Game Division abbiamo potuto osservare a più riprese come, a fronte della moltitudine di ruoli che esso va a ricoprire nella società odierna, il videogioco sia divenuto parte integrante di moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana. Si tratta di uno strumento capace di raccontare il mondo di oggi, di creare integrazione ma anche di prestarsi a un’analisi di stampo sociologico di ciò che viviamo tutti i giorni.

Il medium videoludico è insomma divenuto col tempo più di semplice intrattenimento, sfruttando al massimo l’evoluzione in ambito tecnologico in modo da rimanere sempre in linea con i cambiamenti di quella società che troppo spesso tende a demonizzare il nuovo, piuttosto di comprenderlo. Quello che vogliamo fare oggi è comprendere il modo in cui un videogame può riuscire, in mezzo a tutte le altre funzioni che ricopre, a operare in termine di comunicazione di valori.

Un prodotto di questo tipo può essere in grado di trasmettere opinioni riguardo tematiche come amicizia, amore, fiducia e quant’altro? E se sì, in che modo? Iniziamo la nostra analisi facendo un passo indietro di qualche anno, fino a un’era di transizione quantomai importante come gli anni ’80…

Comunicazione di valori: l’affermazione nella cultura.

Nato nella seconda metà del secolo scorso come progetto di carattere accademico, il videogioco riuscirà col tempo a ritagliarsi un ruolo sempre più importante all’interno della società. La sua progressiva affermazione in ambito culturale porterà, a sua volta, al formarsi di nuove subculture e di quei fenomeni di aggregazione che oggi diamo ormai per scontati – community di giocatori, fandom e eventi di settore – ma che rappresentano a conti fatti la legittimazione di un medium come parte di un contesto socioculturale, ma non solo.

Alla prima console della storia, il Magnavox Odyssey uscito nel 1972, seguirono una serie di progetti più o meno rilevanti capaci di costruire, un frammento alla volta, l’industria del videogioco come la conosciamo oggi. La nascita di nuove figure professionali, come ad esempio quella del game designer, ha portato tale industria ad un forte sviluppo sotto diversi punti di vista: se i primi prodotti in questione erano ovviamente qualcosa di “grezzo”, soprattutto rispetto a quanto siamo abituati a vedere oggi, col tempo il mercato è arrivato a proporre realtà sempre più affinate sotto ogni punto di vista. Tra di essi troviamo la narrazione.

La componente narrativa nel videogioco acquisirà un’importanza man mano sempre più rilevante con l’affermazione del medium all’interno del panorama mainstream: pensiamo a come già in Super Mario Bros, uno dei titoli della storia a ottenere notorietà a livello globale, troviamo un flebile ma comunque presente abbozzo di storia. Storia che, a onor del vero, non è che il classico racconto dell’eroe che si trova a dover salvare la principessa in pericolo: qualcosa di sentito e risentito a più riprese in letteratura, musica e cinema… Ma non ancora in un videogioco, o perlomeno in uno diffuso in maniera così massiva.

Tenendo in considerazione l’importanza di Super Mario Bros come prodotto capace di vendere decine di milioni di unità in tutto il mondo, possiamo considerare il titolo come uno dei primi a raccontare una storia che comunichi un valore: quello dell’eroismo, del coraggio di affrontare mille sfide per mettere in salvo una persona amata. Perché sì, Super Mario Bros è stato anche da questo punto di vista un pioniere: ricordiamo che si tratta di un gioco uscito nell’ormai lontano 1985.

È dunque giusto considerarlo come un primo esemplare nella strada che porta verso il contesto contemporaneo: da quel momento in poi, infatti, un numero sempre più rilevante di titoli mostrano un investimento man mano più marcato in risorse quali soggetto, sceneggiatura e narrazione. Il videogioco era dunque passato da essere un “semplice” esperimento accademico a un mezzo di intrattenimento, fino a un’iniziale affermazione come strumento capace di comunicare valori veri e propri.

Sono tanti gli esempi in questione che meriterebbero di essere citati, ma per ragioni di spazio e per l’impossibilità di riportarli tutti ci limiteremo ad alcuni dei più importanti. Pensiamo a valori come coraggio e onestà, caratteri pressoché imprescindibili nella concezione più classica dell’eroe. Tanti sono i titoli capaci di rispecchiare l’identikit di quest’ultimo: Metal Gear Solid è forse una delle saghe più emblematiche in tal senso. I protagonisti delle vicende narrate nelle opere di Hideo Kojima fanno del coraggio il loro punto di forza, trovandosi a lottare spesso da soli contro un mondo che sembra averli rifiutati.

Metal Gear, va detto, a livello di trasmissione di valori è uno dei prodotti più completi in assoluto. Il livello estremamente elevato della componente emozionale, unito alla costruzione di un impianto narrativo curato nei minimi dettagli, restituisce al giocatore un prodotto capace di comunicare in maniera diretta a più livelli. Volendo però soffermarci sui due valori precitati, coraggio e onestà, è facile notare come essi si (ri)presentino in più concezioni all’interno della serie. Prendiamo ad esempio Big Boss che si trova a dover affrontare tutto ciò che rappresenta il suo passato per rimanere fedele alla sua missione o, ancora, Solid Snake che resta ancorato ai propri principi fino alla fine e via dicendo.

Situazioni che denotano, in alcuni frangenti, anche la mancanza di valori: in Metal Gear Solid accade spesso che un personaggio decida di rinunciare alla propria integrità morale, alla propria onestà, al fine di raggiungere degli obiettivi. Il videogioco riesce a comunicare anche questo: l’assenza, in una persona, di uno o più di quei valori che rendono un eroe degno di questa nomea.

Videogiochi e sentimenti: raccontare le relazioni.

Capita ormai sempre più spesso, proprio grazie alla natura sempre più narrativa del videogioco, che esso si trovi a raccontare le relazioni che intercorrono tra i vari personaggi, o tra un personaggio e il mondo che lo circonda. Di conseguenza sono molti i valori che riescono a emergere e che vengono comunicati sfruttando, in sostanza, la componente relazionale che caratterizza l’essere umano.

Un primo esempio che vogliamo portare è rappresentato da Life is Strange, avventura targata Dontnod uscita nel 2015 e capace di raccogliere il plauso congiunto da parte di critica e pubblico. Il gioco ci mette nei panni di Max: una giovane studentessa di fotografia che scopre di essere in grado di riavvolgere il tempo, con tutto ciò che ne può conseguire. Life is Strange è però focalizzato, perlopiù, sul rapporto tra la protagonista e Chloe, un’amica di vecchia data rincontrata dopo tanti anni: la relazione tra le due è il vero punto focale della narrazione, e viene dunque strutturata su vari livelli.

Si parla di amicizia ma anche di amore: due sentimenti, due valori che vengono raccontati da parole, sguardi e comportamenti. Anche da pensieri, con Max che si trova spesso a pensare a come sarebbe il mondo senza l’amica e riflettendo su cosa sarebbe disposta a sacrificare per lei. Partendo dall’amicizia, insomma, si va a costruire qualcosa di più grande: qualcosa che la caratterizzazione dei personaggi riesce a trasmettere toccando il giocatore nel profondo.

Il valore dell’amicizia è uno dei più rappresentati all’interno del medium videoludico, in quanto si presta a molti sviluppi di carattere narrativo ma non soltanto. È un modo per plasmare una storia a partire dalla base, e anche qui di esempi se ne trovano in quantità impressionante. Pensiamo a Uncharted, dove nei primi tre capitoli viene permane, quasi come “sottotesto”, il tema del legame tra il protagonista e il mentore Victor Sullivan: un rapporto che viene approfondito nel quarto capitolo con l’introduzione, peraltro, del fratello di Nathan a costruire una storia ancora più avvincente.

Emerge qui un’ulteriore tematica ovvero la relazione, quantomai scostante e particolare, tra due fratelli: tra scontri e situazioni che vanno dal divertente al drammatico, si va a delineare in modo sempre più marcato quello che è il racconto di una famiglia. Se a un occhio poco attento può sembrare che tutto ciò resti quasi uno “sfondo” rispetto agli eventi narrati, con un riguardo maggiore è possibile notare come in realtà non sia così: le relazioni tra i vari personaggi, infatti, vanno ad influenzare direttamente gli avvenimenti del gioco, dando origine a quello scenario che rende Uncharted uno dei migliori prodotti delle ultime generazioni.

Nei due titoli appena citati troviamo anche la tematica della crescita, narrata in modi diversi ma ugualmente efficaci: un esempio di rilievo in tal senso è un’avventura grafica uscita nel 2014 e concepita dal grande Tim Schafer, ovvero Broken Age. Nei due atti che compongono il titolo si raccontano in maniera approfondita le storie di due personaggi: Shay e Vella, due ragazzi le cui vite monotone e ormai segnate vengono improvvisamente sconvolte da degli avvenimenti inaspettati.

Con il classico tono ironico che da sempre caratterizza le sue produzioni, Schafer riesce a raccontare quanto crescere non sia altro che affrontare una serie di sfide sempre più complesse: riuscire a superarle significa diventare grandi, e riuscire a portare qualcosa di sé stessi nel mondo che ci circonda. La crescita è di per sé un valore, e Broken Age riesce attraverso a metafore e allusioni a spiegarla in un modo mai visto prima.

Altro valore di rilievo è rappresentato dalla leadership: la capacità di imporre la propria autorità al fine di raggiungere determinati obiettivi, che può sfociare in un’altra tematica di rilievo come quella della cooperazione. Volendo citare un titolo relativamente recente Nier: Automata è forse uno di quelli maggiormente rappresentativi, risultando peraltro in grado di comunicare un quantitativo di valori e sentimenti davvero impressionante.

Il rapporto tra 2B e 9S evolve, nel corso dell’avventura, in una maniera molto interessante da analizzare: se in un primo momento troviamo l’androide femmina a esercitare la propria leadership sul compagno, in seguito si andrà a sviluppare una relazione sempre più incentrata a una reciproca collaborazione. I due si focalizzeranno sempre di più su un obiettivo comune, in un racconto che è soprattutto un’enorme riflessione su quello che è e potrà diventare il genere umano.

Il videogioco insomma è uno strumento di comunicazione davvero molto potente, anche e forse soprattutto per raccontare quelle che sono le più o meno semplici relazioni che tutti noi affrontiamo ogni giorno. Narrazioni di questo tipo, come detto, sono presenti da anni in media quali cinema, musica o letteratura: ciò che differenzia il videogioco in tal senso è, probabilmente, la possibilità di poter contare su un fattore potente quale l’interazione.

Un giocatore può infatti compiere azioni in maniera diretta, operando in prima persona tutte quelle scelte che vanno a definire quella che è la storia narrata nell’opera in questione. Storia che sì, è spesso già scritta e delineata in tutte le sue parti, ma può riuscire attraverso questo medium a far sentire l’utente uno spettatore attivo: capace dunque di essere padrone del proprio destino e in grado di costruire una storia attraverso le sue azioni.

In conclusione va detto che, alla luce della costante evoluzione anche tecnologica degli ultimi decenni, sarà curioso osservare dove il videogioco potrà arrivare in futuro. Se partendo da qualcosa di semplice e basilare come Super Mario Bros si è riusciti a raggiungere una narrazione come quella, ad esempio, di The Last of Us è impressionante anche soltanto pensare a dove potremo arrivare tra dieci, venti o trent’anni. Staremo a vedere, con la consapevolezza intanto di star vivendo, a livello di produzioni, uno dei periodi più belli della storia di questa industria. La parola passa ora a voi: quali sono i videogiochi che più vi hanno influenzati, in termini di trasmissione di valori?