Avatar di Michele Pintaudi

a cura di Michele Pintaudi

Editor

Bentornati ad un nuovo episodio della rubrica dove noi di Game Division vogliamo raccontarvi di tutti quei titoli che, per un motivo o per l’altro, hanno ricevuto forse meno attenzione di quella che meritavano. Tutti quei giochi ricchi di potenziale ma che non sono riusciti a entrare appieno nel cuore dei videogiocatori: quelli che, quando ci tornano in mente, non possiamo fare a meno di ricordare con un malinconico sorriso, pensando a quanto diversamente potessero andare le cose.

Il titolo di oggi incarna, forse più di tutti, lo spirito di questa rubrica. Dopo avervi raccontato di Brutal Legend e del suo “successo a metà”, oggi vi vogliamo parlare di un altro titolo targato Double Fine: Broken Age, una delle migliori avventure grafiche degli ultimi anni. Un gioco che è sì riuscito a raccogliere il plauso di critica e pubblico ma che, forse pagando un’eredità enorme come quella che ha dovuto sopportare, non ha mostrato quella spinta in più che lo rendesse un’esperienza indimenticabile. Non perdiamoci in chiacchiere però e iniziamo subito a raccontare la storia del gioco, facendo un passo indietro fino al febbraio 2012…

You did it again, Mr. Schafer!

Il nome di Tim Schafer è uno dei più rilevanti all’interno della ricchissima storia dei videogiochi. Autore di capolavori come Grim Fandango e Full Throttle, oltre che sceneggiatore dei primi due Monkey Island, Schafer abbandona LucasArts nel 2000 per fondare un suo studio indipendente: Double Fine Productions. Dopo aver dato vita nel 2005 a Psychonauts, seguito quattro anni dopo da Brutal Legend, le idee per un nuovo progetto erano molte: erano le risorse ad essere carenti.

A seguito di una partnership con 2 Player Productions, nasce così una campagna Kickstarter tesa a finanziare un nuovo progetto intitolato “Double Fine Adventure”: un’avventura in due atti che segna, inoltre, il ritorno di Schafer al genere che tanto ha contribuito a rendere grande nei gloriosi anni ’90. Campagna che inizia con l’obiettivo di raccogliere 400.000 dollari: nel giro di appena nove ore, però, la cifra viene ampiamente superata raggiungendo poi il milione di dollari soltanto nelle prime ventiquattro ore.

Alla chiusura, il progetto ha raccolto più di 3.3 milioni di dollari di donazioni: uno dei più grandi successi mai visti sulla piattaforma e che, come notò Schafer stesso, riuscì a superare i budget di due glorie del passato come Day of the Tentacle (600.000 dollari) e Full Throttle (1.5 milioni di dollari).

In seguito il gioco assumerà il nome con cui tutti noi oggi lo conosciamo: Broken Age, che dopo uno sviluppo curato nei minimi dettagli, vede finalmente la luce con l’uscita del primo atto il 28 gennaio 2014. Verso la fine di aprile dell’anno seguente l’avventura troverà poi il suo compimento con l’arrivo del secondo e ultimo atto: praticamente un cliffhanger durato più di un anno, fattore che ha fatto storcere il naso a coloro che avevano supportato il gioco sin da subito, senza pensare a quanto avrebbero dovuto attendere per l’esperienza completa. E qui, con tutta probabilità, risiede uno dei primi elementi che hanno portato il gioco ad essere un successo a metà. Un vero peccato.

Routine? No, grazie!

Uno dei punti di forza di Broken Age è, senza ombra di dubbio, la trama: Double Fine ci regala qui un’altra esperienza da vivere intensamente, capace di emozionare e divertire senza mai diventare banale. La storia ci mette nei panni di due adolescenti, apparentemente senza alcuna connessione tra loro, le cui vicende si incroceranno in una maniera del tutto inaspettata.

Da una parte troviamo Shay Volta, unico passeggero dell’astronave Nostranavis nella quale conduce un’esistenza quantomai routinaria: un’Intelligenza Artificiale, infatti, controlla ogni singolo aspetto delle sue giornate ricoprendo allo stesso tempo il ruolo di una figura materna. Le cose però stanno per cambiare, e l’incontro con un altro passeggero della nave porterà Shay ad uscire dalla sua noiosa e quotidiana normalità.

Vella Tartine è invece la figlia più grande di un’umile famiglia del villaggio di Dulcia. Tradizione vuole che, ogni quattordici anni, i villaggi della zona offrano in dono le fanciulle più abili al terribile mostro che risponde al nome di Mog Chothra: le prescelte, che verranno divorate senza pietà dal gigante abominio, vedono però il tutto come un onore, come il raggiungimento di un sogno rincorso per tutta la vita. Vella però non ci sta e, una volta scelta, è fermamente intenzionata a fermare Mog e il suo regno del terrore.

A colpire sin da subito è il singolare comparto grafico: una cura dei dettagli che restituisce al giocatore un misto tra un cartoon e un’opera d’arte, con l’occhio che rimarrà incantato ad ammirare le stupende ambientazioni di gioco. Come in ogni avventura grafica che si rispetti, non mancheranno poi tutta una serie di enigmi che, andando avanti nel nostro cammino, si riveleranno una sfida sempre più tosta da affrontare: un po’ di esperienza con i grandi classici del genere vi aiuterà non poco, ve lo possiamo garantire!

Immancabile anche la solita vena sarcastica che caratterizzava, a suo tempo, i prodotti LucasArts e che oggi possiamo trovare trasposta a dovere nelle opere di Tim Schafer. La presenza di dinamiche classiche, a partire dalla natura “punta e clicca” del prodotto, si va poi ad unire alla possibilità di cambiare personaggio in qualsiasi momento: se la vostra avventura con Shay dovesse trovarsi ad un punto difficile da superare, potrete intanto proseguire con la storia di Vella in attesa dell’illuminazione che ci porterà fino in fondo alla nostra avventura.

Alla luce di tutto ciò, com’è dunque possibile che Broken Age sia considerato – almeno in parte – un’occasione mancata? Com’è possibile che un progetto capace di raccogliere donazioni da 87.000 persone non abbia colpito nel segno nonostante tutto? I motivi sono diversi, e proveremo ad analizzarli insieme.

Come già detto, la troppa distanza tra l’uscita dei due atti ha costituito per molti un problema ma va qui fatta una doverosa precisazione: il tempo trascorso tra le due parti ha permesso al team di dare vita ad un proseguo che, a gioco completo, non lascia nessun punto in sospeso rivelandosi un’esperienza narrativamente completa, sotto tutti i punti di vista.

D’altro canto le avventure grafiche sono un genere che soltanto negli ultimi anni - dopo aver attraversato un declino partito con l’inizio del nuovo millennio - ha saputo risollevarsi con produzioni di buon livello, riconosciute sia dalla critica che dal pubblico. Broken Age è arrivato proprio nel mezzo di questo ritorno di popolarità, e di conseguenza i risultati in termini di vendite sono stati poco più che sufficienti.

Va detto inoltre che, nel medesimo periodo di uscita, troviamo tante altre produzioni indipendenti di altissimo livello: da Undertale a Ori and the Blind Forest, fino all’onirico Sunset e a The Vanishing of Ethan Carter. Tutti prodotti sì diversi dall’avventura di Double Fine ma che mirano almeno in parte ad una medesima fetta di pubblico, mostrando inoltre un carattere comune: offrire al giocatore un’esperienza diversa dall’ordinario, portarlo a vivere il gioco non soltanto come semplice intrattenimento.

A qualche anno dalla sua uscita, ci sentiamo dunque di ricordare Broken Age come un gioco che certamente avrebbe meritato più fortuna. Tim Schafer dà qui vita ad una produzione degna della pesante eredità lasciata da LucasArts e che, pur non portando lo stesso impatto proprio dei predecessori, noi crediamo meriti comunque la vostra attenzione... Anche in attesa di Psychonauts 2, la cui uscita è prevista proprio per quest'anno!

Broken Age è disponibile per PC, Xbox One, PlayStation 4 e Vita, oltre che per i dispositivi mobile e dunque vi invitiamo a dargli una possibilità: siamo certi che non ve ne pentirete, e che vivrete sulla vostra pelle uno dei viaggi più emozionanti della vostra vita videoludica.

Broken Age è disponibile su Humble Store ad un prezzo davvero molto interessanti, non lasciatevelo scappare!