Gamer's life: il ruolo del videogioco nelle diversi fasi della nostra vita

Il videogioco è parte integrante della vita di tutti noi, ma come cambia il suo ruolo col passare degli anni? Analizziamolo insieme, a partire da come tutto ha inizio.

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a cura di Michele Pintaudi

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«Un videogioco può essere l’occasione per concentrare le nostre energie, con un implacabile ottimismo, su qualcosa nel quale siamo bravi (o stiamo migliorando) godendocelo appieno

- Jane McGonigal, Reality is Broken: Why Games Make Us Better and How They Can Change the World

Cosa rispondereste a una domanda all’apparenza semplice come: «Che cos’è un videogioco?». Sono tante le possibilità legate a un quesito che, pensandoci un attimo, non è così banale come può sembrare. Abbiamo visto insieme come un videogioco può essere un mezzo di comunicazione, uno strumento per trasmettere valori e persino un aiuto concreto in ambiti quali didattica ed educazione.

Tante risposte insomma, per tante concezioni che si continuano a evolvere in maniera pressoché incontrastata. Pensate soltanto a come e quanto, dando uno sguardo anche superficiale allo stato attuale delle cose, ci troviamo di fronte a un contesto del tutto diverso rispetto anche solo a cinque anni fa. Nascono nuove tecnologie, si sviluppano nuove idee e in sostanza si va a rivoluzionare il mondo per come lo conosciamo. Senza fermarsi, mai.

Quello che vorrei fare oggi è analizzare un altro modo di percepire questo medium così particolare, che proprio grazie al suo modo di essere riesce da sempre a catturarci ed emozionarci come poche altre cose al mondo. Qual è il ruolo che il videogioco va a ricoprire, passo dopo passo, all’interno della nostra vita? Un altro quesito bello complicato, ma che nasce da un desiderio ben preciso: indagare e scoprire come questa singolare forma d’arte ci riesca ad accompagnare in ogni passo della nostra esistenza, dall’infanzia fino all’età adulta.

Prima di iniziare, giusto una piccola precisazione. Ho investito tanto tempo nella ricerca e nella selezione di fonti per questo articolo, con l’obiettivo di restituire una panoramica che fosse il più possibile completa e onnicomprensiva. Nel mezzo ho voluto inserire qualche racconto personale, magari non così eccezionale ma proprio per questo utile a capire la misura in cui un prodotto videoludico possa avere un impatto su ognuno di noi. È inevitabile che qualcosa mi sia potuto sfuggire, e quel che vi chiedo sin da subito è chiaro e semplice: fatemi sapere cosa ne pensate, condividete il vostro punto di vista in modo da arricchire sempre di più un’analisi che, un giorno, potrebbe diventare qualcosa di più di un “semplice” articolo. Buona lettura!

I primi passi da videogiocatore.

Voglio cominciare proprio raccontando brevemente la mia esperienza, ovvero com’è avvenuto il mio personale approccio con il fantastico mondo dei videogiochi. Avevo tre anni e in casa, principalmente perché non ve ne era una reale necessità, non c’era neanche un computer: sembra così strano da dire oggi, anche perché si parla di poco più di vent’anni fa. Ospite da parenti, mi capitava ogni tanto di osservare mio cugino alle prese con qualche titolo che la mia memoria ha rimosso, fino a quando fui io a prendere il controllo: l’opera in questione era un’avventura grafica appena uscita, che con il tempo ho imparato ad amare e percepire come il mio videogioco preferito di tutti i tempi. Quel gioco era Grim Fandango, forse l’ultimo grande capolavoro firmato LucasArts.

Avendo appena tre anni non riuscivo chiaramente a capire davvero linguaggi e significati di quell’opera, e mi limitavo ad ammirarne le forme e i colori che mi si paravano davanti. Rimasi stregato nel vedere come potevo muovermi in un mondo virtuale, decidendo cosa dire e (seppur in forma limitata) che cosa fare. Accortosi del fatto che forse Grim Fandango era un po’ troppo complesso, mio cugino decise di farmi provare un’altra perla indimenticabile: il primissimo Rayman, uscito peraltro nel mio anno di nascita (1995). Fu amore a prima vista.

Quell’insieme di colori, di animazioni e di suoni così unici nel loro genere riuscirono a conquistarmi nel giro di pochissimi minuti e qualche anno dopo, era il 2001, quando i miei genitori acquistarono un computer ebbi in regalo Rayman 2: The Great Escape. Il primo titolo a essere solo, ed esclusivamente mio.

Con il tempo ho imparato a conoscere il videogioco in tutti i generi e declinazioni possibili e immaginabili, sviluppando una precisa identità in questa direzione. Un percorso che per l’appunto è cominciato con una qualcosa di fondamentale e troppo spesso trascurato: l’affiancamento di un adulto, o comunque di una persona responsabile. Inizieremo il nostro viaggio proprio da qui, ovvero dal primo incontro tra un bambino e il videogioco.

In questa fase va considerato come e quanto la giovanissima età porti a un’insaziabile e continuo desiderio di conoscenza, colmato assorbendo sostanzialmente ogni singolo stimolo presente nell’ambiente circostante. Lasciare un bambino da solo di fronte a uno schermo, in breve, è qualcosa di irresponsabile e potenzialmente molto pericoloso¹.

Entra qui in gioco una figura di sostegno, com’è stato per me mio cugino: qualcuno che possa porre dei giusti limiti, promuovendo la scoperta del di questo medium in modo corretto e graduale. In tal modo non solo il bambino si diverte, ma inizia a sviluppare la propria personalità e alcune piccole abilità proprio grazie all’ausilio di questa stessa esperienza². Sono tante le ricerche che hanno portato alla luce i benefici reali e tangibili del gaming, vissuto nel modo giusto, nelle primissime fasi della vita di una persona. Si tratta di effetti positivi di vario genere, con tanti risvolti che hanno quasi del sorprendente: è infatti dimostrato come il legame tra il giovanissimo giocatore e i personaggi presenti nel titolo stesso possa, coinvolgendo a più livelli, agire direttamente sulla sfera dell’apprendimento. Come avviene tutto questo? Si stimola l’interazione richiedendo un’azione, uno sforzo attivo che va ad attivare il cervello e a migliorarne le capacità. Sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.

Quando alla componente ludica si vanno poi ad aggiungere elementi legati a esercizio e movimento, interviene un ulteriore beneficio connesso a un’abilità fondamentale nella vita di ogni individuo: la capacità di prendere decisioni, rafforzata in questo caso grazie al potenziamento delle principali funzioni cerebrali³. Senza tralasciare l’impatto che un’esperienza del genere può avere a livello di socialità, aspetto che andrò ad approfondire tra qualche riga. Riassumendo, possiamo dunque affermare che il videogioco può aiutare nella prima fase di crescita in quanto:

  • L’interazione richiesta porta allo stimolo di aree del cervello che possono, se allenate, migliorare le abilità cognitive di chi gioca;
  • Al coinvolgimento deve seguire una forte concentrazione, anch’essa affinata dal dovuto stimolo;
  • Si tratta di un medium ormai incredibilmente diffuso, e perciò potenziale elemento di aggregazione all’interno di un gruppo.

Quest’ultimo punto non ha probabilmente bisogno di particolari spiegazioni, proprio alla luce della grandezza che il fenomeno ha raggiunto negli ultimi decenni. Se nei primissimi anni della vita di un bambino il videogioco ricopre un ruolo marginale, perlomeno da questo punto di vista, con l’inserimento in una classe scolastica le cose cambiano in maniera importante. Pensiamo ad esempio alle scuole elementari: un ambiente del tutto nuovo, dove ci si trova a doversi relazionare e a conoscere persone magari mai incontrate prima. Nella giovane età è chiaramente più semplice e veloce stringere legami di questo tipo, proprio per natura e definizione di questo periodo della vita di ognuno di noi: gli argomenti su cui fare gruppo, insomma, non mancano di certo.

Il videogioco può allora divenire uno di questi, ed emerge in questo senso la sua incredibile capacità di unire: siamo del resto alle prime battute di quella che, con gli anni, può diventare una grande passione da sviluppare ancora e ancora. Ricordo che, all’età di 9/10 anni, mi ritrovavo spesso a condividere qualche partita ad alcuni titoli perfetti da giocare in due: da Metal Slug ai vecchi Pro Evolution Soccer fino a Crash Team Racing, sono tanti i prodotti che mi hanno affiancato nei miei primi anni da videogiocatore.

A queste esperienze associo ancora oggi ricordi bellissimi, di pura e semplice tranquillità: era anche in quei momenti che si andavano a coltivare rapporti e relazioni con gli amici, peraltro destinate a durare tanti, tantissimi anni. Dopo aver iniziato ad appassionarmi al gaming, in pratica, ho iniziato a condividere questo amore con gli altri.

Tutto ciò è avvenuto come detto un passo alla volta, e qui ritorna il discorso legato a una sorta di “imposizione” di limiti. Questi sono stati, sono e saranno sempre fondamentali: è anche potendo dosare il tempo da dedicare a un’attività, qualunque essa sia, che si impara a godersela nel modo giusto. Dare e darsi dei piccoli vincoli oggi, può senza dubbio portare tanti benefici domani.

Questo per quanto riguarda il rapporto tra un individuo e il gioco durante i primi, e forse più importanti, momenti della propria esistenza. Se in questi frangenti va a rivestire un ruolo più di contorno, pur svolgendo un ottimo compito lato sociale e formativo, con il passare del tempo è possibile che il tutto cresca in maniera importante. E forse, da un certo punto di vista, si entra nella fase in cui prestare ancora più attenzione.

Videogiochi e adolescenza: un binomio pericoloso?

All’età di 11 anni inizia un periodo buio, turbolento e pieno di insidie che risponde al nome di “scuola media”. Scherzi a parte, comincia un percorso completamente diverso teso a costruire piano piano l’autonomia di una persona: è in questo momento che arriva, come un’esplosione, la tanto temuta adolescenza. Si tratta di una fase complessa da comprendere e da raccontare, cosa che peraltro ognuno di noi potrebbe fare in modo unico e quantomai personale. Adolescenza significa vivere in un veloce e costante terremoto emozionale, fatto di alti e bassi e di sensazioni destinate a rimanere impresse nella memoria. Per sempre.

Come cambia a questo punto la percezione di ciò che è il videogioco? Radicalmente, e anche qui avviene tutto poco alla volta. Partiamo da quella che è la fruizione vera e propria del medium, che andrà inevitabilmente verso una riduzione dei precitati limiti: l’utente sarà sempre più autonomo nel decidere come, quando e quanto giocare, peraltro con una maggiore consapevolezza di fondo. In questa fase sarà infatti in grado di individuare e comprendere altre fonti - oltre ad amici e conoscenti - dalle quali ottenere tutte le informazioni di cui ha bisogno: da video di YouTube ad articoli di testate di settore, magari arrivando addirittura a partecipare in prima persona a iniziative di questo genere.

Il gioco va qui ad accompagnare la crescita del soggetto da una prospettiva ancora differente: se prima si andavano a sviluppare abilità di tipo cognitivo, il lavoro si sposta ora su quella che potremmo chiamare intelligenza emotiva⁴. Crescendo si tende a selezionare con più attenzione ogni singola esperienza, sperimentando tanto per poi scoprire quella che è la nostra identità: un processo che possiamo associare ai videogiochi ma che, a conti fatti, riguarda praticamente tutti gli aspetti del nostro vissuto.

La mente del giocatore è qui sufficientemente matura per iniziare ad abbracciare opere più complesse, specie dal punto di vista narrativo, che andranno a lasciare un segno indelebile e a influenzare tutto ciò che concerne gusti e interessi. Qualche esempio? Crescere con titoli come Metal Gear Solid, Kingdom Hearts o Homeworld, giusto per citare tre generi totalmente diversi tra loro, farà sì che il fortunato giocatore sviluppi un certo tipo di sensibilità e di esigenze dal punto di vista del racconto in sé. L’approccio a prodotti di questo tipo è qualcosa che richiede uno sforzo non da poco, ma l’utente consapevole sa che questo verrà senza dubbio ripagato.

Questa scoperta della narrazione potrebbe addirittura portare ad approcciare la vita in modo diverso, con uno sguardo più critico o ponderato su determinati argomenti: non sto certo dicendo che si vada a costruire un atteggiamento di distacco o di cinismo, tutt’altro. Quella che nasce è un’attitudine più analitica, grazie alla quale è possibile arricchire sempre di più il proprio bagaglio culturale. E ciò avviene per un motivo davvero molto, molto semplice: la tarda adolescenza è la fase in cui il videogioco passa da essere semplice divertimento a qualcosa di più, riuscendo a trasmettere valori e un intrattenimento più elevato. Vedendo questo medium come uno strumento sullo stesso piano di cinema, musica, letteratura e quant’altro, va da sé che come e quanto possa essere utilizzato per affinare le tante abilità che rendono un individuo unico nel suo modo di pensare e ragionare. Il gioco può arrivare a sviluppare, in pratica, la cultura di una persona tanto quanto possono farlo un libro o un film d’autore. E no, da diversi anni a questa parte non si tratta ormai più di un’affermazione azzardata.

L’adolescenza è tra le altre cose quella fase intermedia, una sorta di terra di mezzo dove una persona non è più troppo piccola ma non è ancora considerata adulta: una situazione che dà molte libertà e altrettanti limiti, e che quindi può portare a un naturale sentimento di ribellione. La compagnia di un videogioco può qui aiutare ma anche, purtroppo, condurre a effetti negativi ai quali è bene prestare attenzione. No, non stiamo per stigmatizzare l’intera industria perché porta i ragazzi sulla strada della violenza e dell’alienazione: il discorso è infatti ben più ampio e sfaccettato, nonché ricco di eccezioni e di casistiche uniche nel loro genere.

La dipendenza dai videogiochi esiste ed è una condizione seria, ma puntare il dito contro produttori e software house è la cosa più sbagliata da fare. È una questione di responsabilità, sia da parte di chi gioca che - soprattutto alla luce della giovane età - di chi ha il compito di supervisionare: crescere non significa poter fare tutto ciò che si vuole, e qualche piccola limitazione è e resta senza dubbio salutare. Volendo estremizzare, ve la sentireste di accusare un musicista per aver spinto delle persone a compiere atti di violenza estrema? Qualcuno in effetti l’ha fatto, ma questa è un’altra storia…

Come per ogni cosa, è l’eccesso a portare dei danni: l’azione del giocare in sé non è pericolosa, è l’abuso della stessa a provocare conseguenze pericolose. Parte della colpa è anche dei media, troppo spesso uniti nel bollare il gaming come qualcosa di negativo senza portare dati o studi a supporto di questa tesi così radicale. Il risultato? Un’eccessiva demonizzazione di quella che, a conti fatti, non è che l’ennesima fonte di intrattenimento in un mondo dove il fiume dell’informazione scorre ormai libero da confini e limitazioni.

Può succedere che un adolescente, spinto da paure e insicurezze, decida di chiudersi in sé stesso dedicando fin troppo tempo a tale passatempo. Ma questa è una problematica spesso legata a tantissimi altri fattori che, non occupandomi di psicologia, non sono nella posizione di commentare. Mi limiterò a riportare quanto affermato dallo psicologo Dr. Pilios-Dimitris Stavrou, all’interno dell’articolo “Addiction to Video Games: A Case Study on the Effectiveness of Psychodynamic Psychotherapy on a Teenage Addict Struggling with Low Self-Esteem and Aggression Issues”:

«Durante lo studio abbiamo osservato come il soggetto sviluppasse sì una chiusura nel videogioco, ma questa risultasse derivante da elementi di altro genere. Il soggetto parte infatti da una scarsa autostima e da relazioni problematiche con genitori e coetanei, che lo portano a sviluppare rappresentazioni mentali fallaci ed errate. Seguendo un’apposita terapia per un graduale incremento dell’autostima si sono notati miglioramenti importanti, confermando l’irrilevanza del videogioco nelle problematiche emerse in precedenza.»⁵.

Videogiochi e violenza non sembrano dunque essere legati, almeno non in maniera così diretta come troppo spesso viene facile pensare. Spesso e volentieri è sufficiente informarsi in maniera più attenta, anche e soprattutto al netto del fatto che oggi abbiamo a disposizione tantissimi dati che vanno a chiarire una volta per tutta come sia necessario documentarsi prima di giungere a conclusioni affrettate. Esiste in tal proposito anche uno studio italiano, svolto presso l’Università degli Studi di Torino, dove le conclusioni parlano chiaro: «Il tempo e la tipologia di genere videoludico non risultano correlati a condotte devianti a livello emotivo e sociali né alla dipendenza da gioco da internet.»⁶.

Tornando a osservare invece i risvolti positivi del gaming, non è un mistero come anche in fase adolescenziale il tutto possa trasformarsi in un’esperienza capace di arricchire e di aggregare, in maniera anche più importante rispetto a quanto visto durante l’infanzia. Una maggior consapevolezza dei mezzi a disposizione porta infatti alla scoperta delle community: dei veri e propri gruppi di persone con le quali condividere la propria passione, sia essa molto generale o estremamente di nicchia. Il bello di essere videogiocatori nel nuovo millennio è proprio questo, ossia il poter accedere a un’ampia gamma di scelta anche da questo punto di vista. Che sia un blog, un gruppo Telegram o un server Discord, non mancano infatti centinaia di opportunità per conoscere e confrontarsi con amanti di questo medium da ogni parte del mondo.

Per una persona timida o con qualche limite a livello di autostima, il videogioco diviene a questo punto uno strumento in grado di aiutare e non poco nell’inserimento all’interno di un contesto sociale. Si tratta chiaramente di un mezzo da affiancare a tante altre buone abitudini - che possono andare dall’esercizio fisico a un corso di teatro, di musica, di scrittura - che può davvero dare una mano nell’aprirsi e nello sperimentare qualcosa di nuovo.

In questa età il gioco può essere visto come una distrazione, e non necessariamente in senso negativo. Se è infatti bene portare a termine i propri doveri, una volta che questi ultimi sono assolti ci si potrà ritagliare una tanto desiderata pausa, concentrandosi su qualcosa di molto piacevole come un videogioco.

Non mi stancherò mai di ripetere come e quanto, nella giusta misura, un’esperienza videoludica possa risultare addirittura fondamentale in alcuni periodi di particolare stress, ma non solo. Sono due le esperienze personali che voglio portare, e che spero possano essere utili per comprendere il senso del discorso. La prima riguarda un momento di forte tensione, legato a una delle mie prime sessioni di esami universitari: un periodo complesso e impegnativo, nel quale per forza di cose mi trovavo a spendere la maggior parte del mio tempo con la testa china sui libri. Una volta terminato il mio carico di lavoro riuscivo però a trascorrere del tempo con gli amici, riservando infine qualche ora anche al gioco. Queste ultime risultavano un passatempo perfetto per rilassarmi, dedicando del tempo solo a me stesso: una cosa della quale troppo, troppo spesso finiamo per dimenticare l’importanza.

La seconda casistica riguarda invece un periodo di grande gioia e serenità, sempre legato al periodo universitario. In un momento di pausa da esami e lezioni, ritagliarmi qualche ora per giocare era una sorta di “premio” per tutti gli sforzi dei mesi passati. Si tratta in entrambi i casi di un passatempo, ma con risvolti leggermente diversi:

  • Nel periodo di stress il videogioco aiutava ad affievolire ansie e preoccupazioni, regalando qualche ora lontano da queste ultime;
  • Nella fase seguente, giocare diventa qualcosa in grado di arricchire ulteriormente una giornata già di suo molto piacevole.

Sono tantissime le sfumature che rendono il ruolo del gaming qualcosa di unico e univoco per ognuno di noi, con migliaia di casistiche anche molto personali che vanno a creare un mosaico che non è esagerato definire magnifico. Possiamo dunque affermare che, se recepito nel modo giusto, il videogioco appare come un potente strumento per evadere con consapevolezza. Non si tratta di abbandonare la vita reale, ma di affiancarla a qualcosa che la possa arricchire: sia essa un passatempo, una passione o per i più fortunati addirittura un lavoro.

Giocare da adulti: perché ha ancora (tanto) senso.

Superata l’adolescenza una persona si trova, si suppone, in una fase di quasi totale autonomia e indipendenza: la maturità è finalmente arrivata, e con essa tutta una serie di responsabilità non sempre semplici da gestire. Un primo elemento con cui ci si trova ad avere a che fare è la percezione di non avere tempo, o di averne una quantità molto limitata a causa dei mille impegni che popolano ogni giornata. Non è un mistero che il lavoro, ad esempio, richieda uno sforzo notevole in termini di tempo. Stesso discorso per relazioni, sport, gestione di casa e delle tante faccende organizzative da affrontare ogni giorno: impegni che possono dare tante soddisfazioni, e ai quali spesso siamo anche contenti di dedicare il nostro tempo.

In tutto ciò il rischio è di non riuscire più a riservare il giusto tempo e attenzione al gaming, che viene messo in secondo piano in favore di faccende più importanti. Giunta all’inizio dell’età adulta, insomma, non è raro che una persona decida di abbandonare e lasciarsi alle spalle quel mondo che l’ha accompagnato negli anni precedenti.

La “colpa” se vogliamo è anche dell’opinione altrui, che spesso vede il tutto come un passatempo riservato al massimo all’età adolescenziale: una percezione, questa, che non tiene però conto di un fattore molto importante. Coloro che oggi hanno più di 40 anni sono divenuti giocatori, di fatto, crescendo in quella che è stata l’epoca d’oro di questo medium: un periodo di esplosione sociale e culturale, che ha fatto sì che essi si innamorassero del videogioco conservando questa passione anche negli anni a venire. I quarantenni di oggi, insomma, sono gli adolescenti di un paio di decenni fa. Punto e basta.

Non c’è insomma da stupirsi se permane in molti il desiderio di (ri)vivere esperienze di questo tipo anche superata una data età, il tutto anche al netto del fatto che, numeri alla mano, i giocatori adulti rappresentano la fetta di utenza più ampia in assoluto⁷. Si tratta di un pensiero che va dunque sdoganato, e per farlo basta ragionare sul semplice fatto che il tempo sia passato portando con sé enormi cambiamenti nel mondo per come lo conosciamo.

Detto ciò, come si rapporta un adulto con un videogioco? Ammesso di riuscire a dedicare a questa passione il giusto spazio, una persona si trova davanti a quello che vedrà come un passatempo, ma con tutti gli strumenti intellettivi per comprenderlo in ogni sua sfaccettatura. Il giocatore è cresciuto, è pienamente consapevole e, anche se potrebbe non avere tempo e voglia di documentarsi come in precedenza, riesce a vivere il tutto come un’esperienza più che piacevole. Potrebbe insomma non andare a cercare prodotti di nicchia o titoli particolari, ma sarà comunque capace di portare avanti qualcosa che è nato in lui ormai molti anni prima.

Se ci pensate il ruolo del videogioco è il medesimo, e a cambiare non è altro che il background intorno all’utente. Facciamo un salto indietro di una qualche decennio, arrivando all’inizio degli anni Ottanta, giusto per capire bene di che cosa stiamo parlando. Ci troviamo in uno scenario dove il gaming si sta giusto affacciando al mondo contemporaneo, e dove quindi è raro trovare quelli che oggi chiameremmo appassionati di vecchia data.

Incontrare fruitori di cinema, musica e letteratura è chiaramente molto più semplice, in quanto forme d’arte/intrattenimento già affermate da diverso tempo. Volessimo esagerare e tornare indietro di un secolo potremmo addirittura fare lo stesso discorso con il cinema, che a inizio Novecento non vantava certo la folta schiera di seguaci che conta oggi. Dove voglio arrivare? Il concetto è molto più semplice di quel che sembra: se ieri il gaming non era ancora diffuso quanto lo è oggi, ai giorni nostri questa barriera è stata totalmente abbattuta. Non siamo più di fronte a una novità, ma a qualcosa di consolidato ormai da molto tempo.

Tornando al ruolo vero e proprio, sarebbe comunque un errore etichettare l’azione del gioco come una mera evasione dalla realtà. Tutt’altro. L’esperienza accumulata negli anni può anzi essere trasmessa a una nuova generazione, e qui l’adulto si trova a vestire dei panni che sono a questo punto cuciti apposta per lui: quelli della figura che, prestando la giusta attenzione, accompagni un figlio, nipote o chiunque altro alla scoperta di questo medium in tutte le sue forme. Si troverà a essere, in sostanza, la stessa persona che anni prima lo ha affiancato all’inizio del suo viaggio.

C’è forse del romantico in tutto questo, e da ex studente di media e comunicazione non posso che apprezzare il videogioco anche per la sua capacità innata di unire, senza limiti e senza confini. Personalmente ho avuto, ripeto, la fortuna di essere sostenuto e affiancato nel modo corretto nel comprendere ciò a cui mi stavo approcciando: la speranza è di poter un giorno, a mia volta, introdurre qualcuno all’interno di questo mondo così fantastico e pieno di meraviglie tutte da scoprire.

In ottica futura è curioso pensare a come saranno le cose, ad esempio, tra una ventina d’anni. Non possiamo ovviamente saperlo con certezza, ma appare quasi strano oggi pensare a una miriade di “anziani” (perdonate l’uso forse improprio ed esagerato del termine) intenti a coltivare senza sosta la loro passione per questa particolare forma di intrattenimento. È però inevitabile che il tempo trascorra, e con esso culture e linguaggi che porteranno il mondo a cambiare radicalmente sotto i nostri occhi. Ancora e poi ancora.

Quello che auguro a me stesso e a tutti coloro che stanno leggendo queste righe è di riuscire, sempre e comunque, a trovare il giusto tempo da dedicare a questa passione. Non si tratta di un discorso di ore o minuti, quanto di pura e semplice qualità: è sempre meglio dedicare qualche stralcio di tempo vivendo un’esperienza appieno, piuttosto che spendere ore e ore sforzandoci di fare qualcosa che non apprezziamo davvero. No?

Conclusioni: il videogioco può arricchirci la vita, davvero.

E siamo dunque arrivati alla fine di questo percorso che, spero, sia riuscito ad appassionarvi anche solo un decimo di quanto ha catturato me nella fase di ricerca. Un processo quest’ultimo che ho voluto curare con particolare attenzione, cercando di rintracciare alcuni degli studi più adatti a sostenere le tesi riportate nell’articolo stesso. Ricorrendo a contributi di accademici ben più esperti di quanto possa esserlo io, ho voluto insomma dare quel pizzico di autorevolezza in più a tutto ciò di cui ho parlato nelle righe precedenti: una missione che mi auguro di aver compiuto, almeno in parte.

Tornando a noi, abbiamo visto come il videogioco possa arricchire la vita di ognuno di noi sotto diversi punti di vista. Parliamo infatti di uno strumento dalla potenza e dal potenziale incredibile, con applicazioni pratiche in ambito formativo, sociale, culturale e non solo: siamo di fronte a un medium capace di colpire a 360°, ma anche di essere un “semplice” passatempo.

Uno sguardo allo stato attuale delle cose ci mostra un’evoluzione, in termini di linguaggi e di portata, realmente impressionante. Di fatto oggi abbiamo per le mani gli strumenti giusti per capire questi prodotti in tutte le loro sfumature e concezioni, con tantissima scelta qualunque sia la nostra esigenza. Forse troppa scelta, con servizi capaci di offrire cataloghi sterminati di titoli d’ogni genere da poter giocare dove, come e quando vogliamo. Questa sorta di eccesso non deve però essere necessariamente qualcosa di negativo, e anzi è bene percepire il tutto come un’occasione per scoprire e riscoprire anche il più piccolo frammento della storia di questo medium.

La cosa bella è che il viaggio del videogiocatore è unico, per ognuno di noi. Immaginiamo il nostro passato da gamer come un mosaico, dove ogni titolo è un tassello che va a incastrarsi alla perfezione con tutti gli altri. Il risultato finale sarà un’opera d’arte: in quanto tale potrà piacere o non piacere - questo è assolutamente soggettivo - ma per qualcuno ricoprirà senza dubbio un ruolo importante e profondo. Un ruolo unico, per l’appunto.

In questo mosaico spiccheranno poi quei 3 o 4 blocchetti che non sono altri che i giochi che più ci definiscono: quei capolavori in grado di formare una parte del nostro essere e del nostro approccio all’intero mondo dell’intrattenimento. A livello personale, giusto per concludere con un’ultima parentesi relativa alla mia formazione in questo senso, sono tre i prodotti che mi sento di citare. Senza alcun ordine particolare, posso dire che Metal Gear Solid, Grim Fandango e Silent Hill 2 sono quelle esperienze che hanno davvero cambiato la mia vita dentro e fuori il mio abito da gamer.

Che dire in queste ultime righe? Guardando al passato è normale, e forse persino giusto, provare un po’ di nostalgia e addirittura di invidia. Già, invidia: il viaggio del videogiocatore è qualcosa di stupendo, e a tutti noi piacerebbe con tutta probabilità avere l’occasione di riviverlo passo dopo passo. A chi l’ha appena cominciato posso soltanto augurare di goderselo in maniera sana, e con tutto il piacere che una passione del genere riesce a comunicare con ogni singolo frammento. Forse rivivere tutto sarebbe davvero bello, ma è anche il caso di riconoscersi la giusta dose di consapevolezza: del resto, abbiamo vissuto e stiamo vivendo qualcosa di spettacolare. Uno spettacolo che è di tutti e, allo stesso tempo, è soltanto nostro.


Riferimenti

¹ Mazzucchelli, C., & Bianchi, A. (2018). Tecnologie e sviluppo del benessere psicobiologico. Delos Digital srl.

² ​​González-González, C., & Blanco-Izquierdo, F. (2012). Designing social videogames for educational uses. Computers & Education, 58(1), 250-262.

³ Blumberg, F. C., Deater‐Deckard, K., Calvert, S. L., Flynn, R. M., Green, C. S., Arnold, D., & Brooks, P. J. (2019). Digital Games as a Context for Childrens Cognitive Development: Research Recommendations and Policy Considerations. Social Policy Report.

⁴ Carissoli, C., & Villani, D. (2019). Can videogames be used to promote emotional intelligence in teenagers? Results from EmotivaMente, a school program. Games for health journal, 8(6), 407-413.

Stavrou, P. D. (2018). Addiction to Video Games: A Case Study on the Effectiveness of Psychodynamic Psychotherapy on a Teenage Addict Struggling with Low Self-Esteem and Aggression Issues. Psychology, 9(10), 2436.

⁶ Soraci, P., Del Fante, E., Abbiati, F. A., Muscogiuri, G., Patanè, G., Palma, M., & Ferrari, A. Ricerca preliminare quantitativa sulla relazione tra videogame, violenza ed aggressività.

⁷ ESA. (2022). 2022 essential facts About the video game industry. Entertainment Software Association.