Videogiochi ed educazione: un’integrazione sempre più possibile?

Dati, pensieri e riflessioni sul ruolo del videogioco nel processo di apprendimento.

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a cura di Michele Pintaudi

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In queste pagine abbiamo più volte affrontato un tema sempre molto caldo: l’evoluzione del ruolo del videogioco all’interno della società. Complice un costante e continuo avanzamento tecnologico e non solo, oggi il gaming è divenuto uno dei medium comunicativi più diffusi e potenti al mondo, in grado di trasmettere messaggi di vario genere in un modo mai visto finora.

L’interattività più di tutti è forse il carattere che rende opere di tal genere qualcosa di più rilevante, a livello di impatto sull’utente, rispetto ad altri mezzi: un gioco consente infatti alla persona di interagire e di partecipare attivamente al racconto, fornendo così stimoli maggiori rispetto a quelli che può avere, da questo punto di vista, un’opera cinematografica.

Chiariamo però sin da subito un punto fondamentale: né oggi né mai dichiareremo che un videogioco sia migliore o peggiore di un’opera cinematografica, in quanto veicoli diversi e, soprattutto negli ultimi anni, principali attori di una convergenza sempre più marcata. Quello che vogliamo fare oggi è accompagnarvi in tutta una serie di pensieri e riflessioni su ciò che il gaming può rappresentare sotto un punto di vista ancor più specifico: la sfera educazionale.

Quale ruolo può ricoprire nel processo di educazione di una persona? Quali utilizzi può avere? A queste ed altre domande risponderemo in questo articolo, con l’obiettivo di analizzare a fondo come un’integrazione tra gaming e educazione possa, oggi, essere effettivamente realizzabile.

Cenni storici: accademia ma non solo...

I videogiochi, oggi, si possono tranquillamente considerare parte della vita di tutti i giorni. La sempre più ampia possibilità di scelta ha portato pressoché chiunque ad avere a propria disposizione, sempre e comunque, il titolo adatto alle proprie esigenze. Oltre alla componente prettamente ludica, il gioco può però rivestire un ruolo importante anche in altri ambiti.

Spulciando tra la già ricchissima storia dei videogiochi, possiamo notare come l’incontro con il mondo accademico – e dunque con l’educazione – ci porta alla nascita del fenomeno: nel 1952 infatti Alex Douglas diede vita ad OXO, uno dei primi esempi di videogioco nella storia, come progetto per la propria tesi di laurea. Tennis for Two del 1958 rappresenta un’ulteriore applicazione in campo universitario di questa nuova tecnologia, con il Professor William Higinbotham intento a spiegare così le leggi della fisica ai suoi studenti.

Con l’ingresso del videogioco nell’immaginario collettivo, si diffondono sempre di più idee e concetti su come esso potesse venire impiegato in una maniera differente dal “semplice” uso come passatempo. Già nei primi anni Ottanta troviamo infatti diverse pubblicazioni, di carattere scientifico, che parlano di come tale strumento potesse giocare un ruolo ancora più rilevante nella formazione dell’individuo: si può dunque parlare di “edutainment”, in relazione a tutte quelle pratiche tese a creare una perfetta sinergia tra educazione e intrattenimento.

Il gaming in tal senso sembrava proprio essere lo strumento adatto ad attuare tale sinergia, il mercato non tardò ad adattarsi a questa visione e nacque dunque un vero e proprio genere a sé stante: quello degli educational games. Diversi sono gli esempi e, al fine di raggiungere al meglio l’obiettivo di comprenderne ruolo e impatto, ne citeremo alcuni tra i più noti al pubblico.

Uno dei primi risale al 1982 e risponde al nome di Typo Attack: titolo per Atari 8-bit che presentava qualche similitudine col ben più noto Space Invaders. Il gioco metteva il giocatore di fronte ad una matrice nella quale comparivano nemici e, premendo la lettera corrispondente alla corretta riga della matrice, poteva indirizzare il colpo da sparare: una dinamica semplice ma quantomai azzeccata, utile ad esempio ad imparare velocemente la posizione dei pulsanti su una tastiera.

Dread Dragon Droom (1985) fu invece uno dei primi titoli pensati appositamente per le scuole del Regno Unito, e che attraverso enigmi logici e matematici accompagnava l’utente attraverso un’avventura a tinte fantasy. Nello stesso anno la software house americana Brøderbund diede vita alla serie Carmen Sandiego, divenuta col tempo un franchise di enorme successo non soltanto in campo videoludico ma anche televisivo: ultima testimonianza in tal senso è la serie prodotta da Netflix, disponibile in tutto il mondo a partire dal gennaio 2019.

Questi titoli giocarono un ruolo molto importante nel processo di sdoganamento del videogioco: se prima essi erano poco più di un passatempo ora avevano acquisito un carattere educativo, divenendo uno strumento in grado di aiutare l’individuo nel suo percorso di crescita intellettivo. Software del genere trovarono pian piano diffusione nella scuole di varie parti del mondo e, in misura molto ridotta, anche in Italia: un numero sempre maggiori di studi, infatti, dimostrava come essi potessero costituire una motivazione all’appredimento, e non un ostacolo.

Attualità, barriere e controversie.

Non è però tutto oro quello che luccica: come in ogni grande innovazione, troviamo dei pro e dei contro da non sottovalutare. In nessun caso, infatti, è bene accogliere qualcosa di nuovo senza tener conto dei possibili effetti negativi che esso può portare all’ecosistema corrente, e il tema della convergenza tra educazione e videogiochi non rappresenta un’eccezione in tal senso.

Una delle prime critiche mosse a tale integrazione fu che i giovani trascorrevano già un numero di ore alquanto elevato con dispositivi tecnologici di questo genere: fattore che, secondo molti, avrebbe portato in breve tempo alla sostituzione delle tradizionali forme di relazione con altre basate esclusivamente sulla tecnologia. Una visione che a parer di qualcuno potrebbe rispondere a quella attuale, ma che a onor del vero rischia di sfociare in credenze distopiche di difficile realizzazione. La realtà dei fatti mostra invece come l’utilizzo di videogiochi, anche in contesti educazionali, costituisca una motivazione ad imparare ma anche al rapportarsi con altri soggetti all’interno di un medesimo gruppo.

Oggi il tema della dipendenza dai videogiochi è quantomai scottante, e l’acceso dibattito non accenna a fermarsi: ciò che noi, da giocatori, possiamo fare è semplicemente invitare chi non conosce a dovere il “nostro” mondo a dargli una possibilità. A provare con mano cosa significa e cosa può significare un videogioco, in tutti quegli ambiti che vanno a comporre la vita di un essere umano.

Tematica da trattare con riguardo è inoltre quella dei costi: hardware adatti a riprodurre programmi a carattere educativo sono, per le scuole, una spesa non sempre sostenibile. Anche da questo punto di vista la situazione è però andata migliorando negli ultimi anni: oggi troviamo infatti macchine di buona fattura disponibili a costi molto contenuti, anche se è comprensibile che una completa integrazione debba fare i conti con altre spese di maggiore rilevanza.

Staccandoci ora dal genere dei educational games, andiamo ad analizzare quale ruolo ricoprono gli altri videogiochi nella formazione dell’individuo. La componente del divertimento, va detto, rimane la parte principale dell’esperienza videoludica: un gioco può intrattenere come pochi altri medium, ma con uno sguardo attento possiamo notare come esista effettivamente qualcosa in più.

La progressiva integrazione a livello domestico di console e computer predisposti al gaming hanno portato ad un netto cambio delle nostre abitudini, fino ad intaccare la sfera della quotidianità. Semplicemente premendo pochi pulsanti, oggi possiamo infatti immergerci in qualunque momento all’interno di mondi distanti anni luce da noi, possiamo vivere avventure fantastiche semplicemente stando seduti sul nostro divano: cosa c’entra, a questo punto, l’educazione?

Si passa qui da una formazione prevalentemente scolastica – come quella rappresentata dagli esempi citati in precedenza – ad una più focalizzata sull’individuo, sulla persona in quanto tale. Un genitore, in breve, ha il compito di introdurre il figlio ad un media complesso come quello videoludico in maniera misurata e graduale: è qui che entra in gioco, in una forma tutta nuova, il concetto di educazione.

Un bambino può così scoprire una o più realtà alternative e, sotto l’occhio sempre vigile dei genitori, approcciarsi in maniera quantomai produttiva al mondo dei videogiochi. Riuscirà così a formare sempre di più determinati gusti, un determinato senso dell’umorismo o anche ad imparare lezioni non sottovalutare come, ad esempio, spremere le meningi per raggiungere la soluzione ad un complesso enigma.

Conclusioni, con uno sguardo al futuro.

Oggi il tema del potenziale educativo dei videogiochi è, se non completamente integrato, perlomeno parzialmente sdoganato, anche a livello accademico. La presenza di una quantità sempre maggiore di strumenti e opportunità dal mondo digitale è una ricchezza che tutti noi dobbiamo tenere in considerazione, e che ha dato vita a nuovi studi e nuove teorie sul ruolo dei videogiochi nel mondo odierno.

Harry J. Brown, nel suo volume “Videogames and Education”, parla di come le nuove tecnologie consentano a chiunque di approcciare in maniera sempre più agevole il mondo videoludico, per riuscire ad utilizzarlo come un mezzo per imparare, educando ed educandosi. Ovviamente Brown non è il solo ad aver affrontato il tema, oggi l’abbiamo voluto fare noi e approfittiamo dell’occasione per spingervi ad una personale riflessione: quale ruolo hanno avuto e possono avere i videogiochi nella vostra educazione?

Sarà curioso vedere come questa tematica, alla luce del costante progresso che stiamo attraversando, riuscirà ad affermarsi nei prossimi anni. L’avvento di strumenti come gli smartphone, ad esempio, comporta anch’esso tutta una serie di punti a favore e di criticità: l’obiettivo dell’industria, per quanto riguarda la già analizzata componente formativa, dev’essere qui quello di investire nella creazione di contenuti che possano stimolare l’utente senza renderlo passivo.

Si tratta ovviamente di una sfida davvero molto impegnativa ma che, con uno sguardo ottimista, potrà condurci verso una nuova visione di quello che è il fantastico mondo dei videogiochi. Queste, ovviamente, sono opinioni: vi invitiamo perciò a dirci la vostra sull’argomento, e sui relativi punti a favore e a sfavore di una sempre più marcata convergenza tra videogioco e educazione.

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