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The Last of Us, il co-direttore contro l’AI generativa

Il co-direttore di The Last of Us definisce l’AI generativa incapace di creare e chiarisce la sua posizione sull’uso nel gaming.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 17/12/2025 alle 14:40

La notizia in un minuto

  • Bruce Straley, co-director di The Last of Us, critica apertamente l'AI generativa definendola "un serpente che si mangia la coda" e conferma che il suo nuovo gioco Coven of the Chicken Foot è stato sviluppato completamente senza questa tecnologia
  • Lo sviluppatore denuncia la confusione terminologica creata dall'uso del termine "AI", tradizionalmente riferito agli NPC nei videogiochi, ora associato automaticamente a machine learning e LLM, rischiando di danneggiare la percezione dei progetti
  • La posizione di Straley riflette un approccio purista dove le imperfezioni umane sono un valore aggiunto: "Non credo che il prompting sia arte", in contrasto con studi come Larian che hanno recentemente ammesso l'uso di AI generativa scatenando forti polemiche

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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Il dibattito sull'intelligenza artificiale generativa nell'industria videoludica continua a infiammare gli animi, questa volta con una presa di posizione netta da parte di Bruce Straley, co-director di The Last of Us e veterano di Naughty Dog. In occasione dell'annuncio di Coven of the Chicken Foot, il primo titolo del suo studio indipendente Wildflower Interactive, lo sviluppatore ha espresso senza mezzi termini la sua visione critica sull'AI generativa, definendola "un serpente che si mangia la coda". La questione assume particolare rilevanza nel contesto attuale, dove l'utilizzo di questa tecnologia da parte degli studi di sviluppo sta creando crescenti tensioni nella community e tra gli sviluppatori stessi.

Straley, che ha lasciato Naughty Dog nel 2017 dopo aver contribuito a definire alcuni dei franchise più iconici di PlayStation, ha chiarito che Coven of the Chicken Foot è stato sviluppato completamente senza ricorrere all'AI generativa. La sua critica si concentra sui limiti intrinseci della tecnologia: "Non può crescere e pensare autonomamente, si limita a consumare e a cercare di imitare ciò che ha consumato. Questo è il massimo che può fare al momento", ha dichiarato in un'intervista a Polygon.

Il game director ha sollevato una questione terminologica che sta creando non poca confusione nell'industria. Il termine "AI" viene utilizzato nel gaming da decenni per riferirsi all'intelligenza artificiale tradizionale degli NPC, quella che governa il comportamento dei nemici e dei compagni controllati dal computer. Oggi però questo stesso acronimo viene automaticamente associato al machine learning e ai large language model, creando ambiguità comunicative che possono danneggiare la percezione di un progetto.

"È difficile persino presentare il concetto di questa creatura, perché nel mio mondo gli NPC sono AI", ha spiegato Straley. "I programmatori AI sono una categoria di personale che hai nello staff del dipartimento di programmazione. Ora non puoi più dirlo perché se qualcuno ha un'opinione sull'AI, non posso definire questa creatura il compagno AI più avanzato. La gente penserà che abbiamo usato machine learning e LLM, e tutto il resto. No, non abbiamo fatto niente di tutto ciò. Questo è lavoro duro, molta risoluzione di problemi e molto pensiero creativo. Il che secondo me lo rende più affascinante."

Mi piace l'arte che ha scheggiature e difetti. È come la ceramica. Ha imperfezioni perché non è uscita bene dal forno. Questa è la parte interessante dell'arte

La posizione di Straley riflette una visione purista del processo creativo videoludico, dove le imperfezioni umane e le soluzioni artigianali rappresentano un valore aggiunto piuttosto che un limite. "Mi piace l'arte che ha scheggiature e difetti. È come la ceramica. Ha imperfezioni perché non è uscita bene dal forno. Questa è la parte interessante dell'arte", ha affermato, sottolineando come l'elemento umano sia insostituibile nell'esperienza artistica.

Straley non nega completamente l'utilità potenziale dell'AI generativa in alcune circostanze specifiche, ma mantiene una linea rigida per quanto riguarda il suo coinvolgimento personale: "Non credo che il prompting sia arte". Il suo disinteresse per i contenuti generati dall'AI si estende oltre i videogiochi: "Senza un essere umano alla creazione, personalmente ho zero interesse nel guardare uno show televisivo fatto da un robot. Non ho alcun interesse nel guardare arte generata da un computer."

Le dichiarazioni del co-director di The Last of Us arrivano in un momento particolarmente delicato per l'industria. Pochi giorni fa Swen Vincke, CEO di Larian Studios, ha scatenato una tempesta sui social media ammettendo in un'intervista a Bloomberg che lo studio utilizza AI generativa durante lo sviluppo. Il backlash immediato della community ha costretto Vincke a chiarire che i concept artist non verranno sostituiti dall'AI, specificando che Larian usa "strumenti AI per esplorare riferimenti" e permette agli sviluppatori di "sperimentare con questi tool per semplificarsi la vita" su base volontaria.

La reazione violenta alle parole iniziali di Vincke dimostra quanto sia polarizzante il tema dell'AI nell'ecosistema videoludico. Da una parte ci sono sviluppatori e studi che vedono nella tecnologia un potenziale alleato per ottimizzare workflow e ridurre i tempi di produzione, dall'altra una significativa porzione della community e dei professionisti del settore che percepiscono l'AI generativa come una minaccia all'integrità artistica e alla sicurezza occupazionale nel comparto creativo.

Fonte dell'articolo: www.eurogamer.net

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