Ieri osservavo la mia libreria di giochi fisici e non ho potuto fare a meno di chiedermi: "acquisterò ancora un gioco in questo formato?".
Tutti noi, soprattutto per quelli nati poco prima del 2000, ricorderanno certamente il momento febbrile che passavamo poco prima di acquistare un videogioco. Il viaggio verso il negozio di fiducia, l'acquisto, magari intanto rigirando continuamente la copertina tra le mani. E poi l’apertura: il rumore della plastica o del cartone, l’odore inconfondibile di inchiostro fresco, la carta patinata...
Oggi, penso che quello stesso gesto si sia trasformato in una pantomima vuota, un riflesso condizionato che ha perso ogni significato logico e pratico.
Guardiamo in faccia la realtà, per quanto dolorosa possa essere per il nostro lato collezionista: il videogioco fisico, inteso come oggetto da acquistare, possedere e riporre su uno scaffale, è morto.
Ciò che compriamo oggi non è un videogioco; ma pura plastica inutile, un rifiuto inquinante che serve solo a placare la nostra nostalgia e a soddisfare vecchie logiche distributive che faticano ad arrendersi al digitale.
Quando la scatola era il gioco
Pensiamo solo alle meravigliose "Big Box" per PC degli anni '90. Non erano semplici confezioni; erano come degli scrigni. Comprare un gioco come Baldur's Gate, Command & Conquer o un simulatore di volo come Falcon 4.0 era dispendioso, ma in qualche modo ci ritrovavamo tra le mani un qualcosa che sapevamo valere i soldi spesi e non solo per l'esperienza software in sé, quanto più per tutto il pacchetto completo.
Quelle scatole enormi, spesso ingombranti e difficili da impilare, erano meravigliose. Al loro interno trovavi il gioco, certo, sparso su una mezza dozzina di floppy disk o CD-ROM, ma non solo più.
Trovavi manuali che erano veri e propri romanzi o trattati tecnici, spessi centinaia di pagine, scritti fitti, pieni di lore, illustrazioni e istruzioni indispensabili (ne parleremo in un altro articolo, perché c'è davvero di cui discutere). In un'epoca dove esistevano pochissimi tutorial in-game e senza wiki online, quel manuale era come una bibbia, e capitava di leggerlo spesso in bagno o sul bus. In breve diventava anche esso un'esperienza legata al gioco.
E poi c’erano i "feelies", ovvero i piccoli oggetti tangibili. Le mappe di stoffa di Ultima che odoravano di tessuto grezzo, le monete di metallo, le ruote di cartone per i codici di protezione, i poster giganti. Avevamo la sensazione fisica di aver speso bene i nostri soldi soldi, di possedere qualcosa di valore (anche se non era necessariamente così).
L’era del DVD e il compromesso accettabile
Poi arrivò il nuovo millennio, e con esso la standardizzazione. Le console (PS2, Xbox, GameCube) imposero il formato DVD case. Le scatole di cartone per PC sparirono, sostituite da custodie in plastica amaray più economiche, uniformi, facili da stoccare per i rivenditori.
Fu già l'inizio della fine, ma all'epoca non ce ne accorgemmo, perché il compromesso era ancora accettabile. Sì, avevamo perso la maestosità del cartone, ma la sostanza c'era ancora. Aprite una custodia di GTA: San Andreas per PS2 o di The Elder Scrolls IV: Oblivion per Xbox 360. Cosa trovate?
Trovate un disco (o più di uno) che contiene tutto il gioco. Inserite quel disco oggi, vent'anni dopo, in una console scollegata da internet, e il gioco partirà. Sarà la versione 1.0, magari con qualche bug, ma è giocabile dall'inizio alla fine.
Il possesso era reale. I manuali si erano assottigliati, diventando libretti di venti o trenta pagine, ma c'erano. C'era ancora l'odore della carta. C'erano ancora le mappe pieghevoli incastrate nelle clip di plastica sulla sinistra. C'era ancora la dignità del prodotto e la custodia aveva ancora un peso. Scuotendola, non sentivamo il rumore desolante di un disco che balla nel vuoto, ma quantomeno qualcosa di presente e solido.
L'insostenibile leggerezza della plastica
Oggi quando compriamo l'ultimo tripla A per PS5 o Xbox Series X e la custodia ci arriva tra le mani, la prima cosa che notiamo è la leggerezza. La plastica della custodia stessa è cambiata: spesso è quel modello "eco-friendly" (un'ironia crudele) pieno di buchi, flessibile, fragile.
Apriamo la custodia. A sinistra: il nulla. Le clip di plastica, un tempo destinate a reggere manuali e mappe, sono lì, vuote, come costole di uno scheletro spolpato. A volte c'è un foglietto volante con un codice per riscattare qualche skin inutile o valuta premium, stampato su carta di pessima qualità. Niente manuale, niente lore, niente ringraziamenti.
A destra: il disco. E qui arriviamo al cuore della truffa legalizzata che è il mercato fisico odierno. Quel disco Blu-ray Ultra HD, capace di contenere fino a 100 GB di dati, è spesso... inutile.
Sempre più spesso, il disco non contiene il gioco. Contiene una licenza d'uso e un installer di pochi megabyte. Inserite il disco di un gioco e scoprite che al suo interno ci sono appena 70 MB di dati. Settanta megabyte. Il resto? Magari un download obbligatorio di 150 GB.
Il disco fisico non è più il veicolo del software; è una chiave hardware dongle glorificata. È un DRM fisico che dovete inserire nel lettore per dimostrare alla console che avete il diritto di scaricare il gioco dai server.
E anche quando il gioco è effettivamente sul disco (cosa che accade ancora con molte esclusive Sony o Nintendo, va ammesso), la situazione non cambia drasticamente. L'era delle "Day One Patch" ha reso quel disco obsoleto nel momento stesso in cui viene stampato. Il gioco presente sul supporto ottico è spesso una build vecchia di mesi, incompleta, buggata o priva di performance ottimali. Per giocare "davvero", siamo costretti comunque scaricare decine di gigabyte di aggiornamenti.
La menzogna del collezionismo
A questo punto, la domanda sorge spontanea: perché lo facciamo? Perché continuiamo a comprare queste scatole vuote?
I difensori del fisico (e io sono stato uno di loro per anni) portano avanti tre argomenti: il collezionismo, la rivendibilità e la preservazione. Ma analizziamoli con onestà intellettuale nel 2025.
Innanzitutto, sosa stiamo collezionando, esattamente? Custodie di plastica blu o verde prodotte in serie, con copertine stampate al risparmio (spesso senza nemmeno l'art interna), che contengono dischi che non funzionano senza un server? Guardate la vostra libreria moderna. Non è una collezione di artefatti come quelle Big Box anni '90. Sta diventando una collezione di chiavi di accesso. Stiamo feticizzando il contenitore, perché il contenuto non ci appartiene più.
Abbiamo poi la rivendibilità e forse questo è l'unico argomento che regge ancora, ma per quanto? Sì, posso vendere il mio disco usato. Ma il valore di quel disco crolla vertiginosamente proprio perché è legato a patch digitali e servizi live. Inoltre, con l'avvento delle console "All Digital" e la spinta verso abbonamenti come il Game Pass, il mercato dell'usato sta diventando una nicchia sempre più stretta.
Un tempo, il fisico era garanzia di eternità. Se i server chiudevano, io avevo ancora il mio disco. Oggi non è più vero. Se domani chiudono i server di PSN o Xbox Live, quel disco di Call of Duty con 70MB sopra diventerà un sottobicchiere. Anche i giochi completi su disco spesso richiedono handshake online. La vera preservazione oggi non la fa il disco da negozio, la fanno i gruppi di dump digitali e l'emulazione, o piattaforme DRM-free come GOG.
E infine, c'è anche il concetto ecologico. Ha senso, nel 2025, produrre milioni di dischi di plastica, inserirli in milioni di custodie di plastica, avvolgerli nel cellophane (altra plastica), imballarli in scatoloni, caricarli su camion, navi e aerei, trasportarli per migliaia di chilometri, stoccarli in magazzini riscaldati, farli guidare all'ultimo miglio da un corriere... solo per consegnare all'utente una chiave di licenza di 16 caratteri o un installer che fa partire un download? La risposta la conoscete da voi.
Il punto più basso di questa parabola discendente è rappresentato dalla dicitura "Download Code in a Box", tristemente diffusa soprattutto su Nintendo Switch, Xbox e PC. Compriamo una custodia di plastica, la apriamo e dentro non c'è nemmeno il disco o la cartuccia. C'è solo un foglietto con un codice.
In poche parole abbiamo comprato aria e plastica. In questo caso, il mercato fisico non è solo inutile, è oserei dire, dannoso. È un modo per i publisher di occupare spazio visivo sugli scaffali dei supermercati senza dover spendere i soldi per produrre le cartucce (che costano).
Lasciamo andare il passato
Lo dico con il cuore pesante, da chi ha amato follemente l'era fisica: è finita. Ha ancora senso il mercato fisico per le edizioni da collezione vere? Assolutamente sì. Le edizioni limitate, quelle prodotte da aziende come Limited Run Games o le Collector's Edition con statue, artbook rilegati e steelbook, hanno senso perché sono oggetti pensati per essere esposti, toccati e ammirati. Sono merchandise di lusso.
Ma il mercato fisico "standard", la custodia di plastica che compriamo al day one da GameStop o Amazon, è da dimenticare.
Il digitale ha vinto non solo per comodità, ma per onestà. Quando compro in digitale, so che sto comprando una licenza. Non c'è ipocrisia e non c'è spreco di plastica. Il gioco è lo stesso.
Smetttiamola di guardare quello scaffale pieno di custodie blu e verdi con orgoglio. Iniziate a guardarlo per quello che è diventato negli ultimi anni: un cimitero di plastica colorata, svuotato di ogni magia, che sopravvive solo perché non abbiamo ancora trovato il coraggio di staccare la spina alla nostra nostalgia. Il videogioco è diventato un'arte immateriale, eterea e forse è arrivato il momento di accettare che il suo contenitore fisico non è altro che la sua tomba.