Scorn è un incubo potentissimo e indimenticabile | Recensione

Ci sono voluti quasi dieci anni, ma finalmente l'inquietante e potente visione di Ebb Software si è fatta videogioco: la recensione di Scorn.

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a cura di Fabio Canonico

Quanto abbiamo fantasticato sulla potenza espressiva di Scorn; quanto, ogni volta che il gioco è tornato a far capolino, nel corso di un ciclo gestazionale lungo e travagliato, durato quasi dieci anni, ci siamo lasciati irretire e inquietare dalle sue terribili visioni. Bastavano quei fugaci sguardi a mondi in decadimento e a creature quasi umane, ma vacue e scarnificate, a veicolare emozioni intensissime, alle quali era difficile dare una forma e un nome, come sempre accade quando ci si trova di fronte all'orrore.

Non quello violento e soverchiante, che fa urlare, ma quello che ti prende il cuore in mano e ti guarda negli occhi, e dal cui sguardo è impossibile trovare un riparo. L'angoscia, il decadimento, la corruzione, hanno un fascino magnetico, ed è principalmente su questa idea che Scorn sembrava essere imperniato.

Eppure, lasciate che ve lo anticipi: non siete pronti. Non c'è nulla, nel poco ma comunque significativo che ci è stato concesso finora, che dia davvero la dimensione di quanto intensa sia la visione di Ebb Software, di quanto potente sia questo immaginario che sì, pesca a piene mani nel pescoso bacino di orrori distorti di Hans Ruedi Giger e di Zdzisław Beksiński, ma ha una sua fortissima identità, che va oltre l'opera dei due artisti ispiratori.

Sono evidenti, attraversando il mondo in rovina che del gioco è ambientazione, i richiami al surrealismo biomeccanico del primo, alle sue forme intricate ma armoniose, che potrebbero essere di carne tanto quanto di metallo; del secondo c'è soprattutto la decadente raffigurazione dell'essere umano, non più avvolto nel suo confortante involucro, la pelle, privato della forza dei muscoli, e che allora è solo tendini e ossa, una vacuità senza un senso e senza speranza.

Ma c'è di più, dicevo. Ci mettono anche molto del loro, i ragazzi del team di sviluppo serbo, per far sì che questo allucinato viaggio in un mondo alieno sia memorabile. Lo è. È impossibile non rimanere atterriti dalla potenza evocativa di architetture visionarie, all'interno delle quali si ritrova una biomeccanica crudele ma perfettamente funzionale.

Il valore immaginifico di Scorn

Le prime due ore sono magistrali, in tal senso, perché settano subito il tono e il senso della produzione tutta, mettendo in scena quanto appena scritto con un'efficacia travolgente. C'è un gusto particolare, in Scorn, quello per l'altare, per una composizione della scena e del level design che quindi fa affidamento su un elemento centrale, che ha prima di tutto una fortissima carica evocativa, e poi è spesso la soluzione o la destinazione di quanto lo sviluppo della ludica prevede.

Non è quindi un caso che i momenti migliori del gioco, picchi dall'impatto assoluto e incancellabile, avvengano in tal contesto. I primi passi, dicevamo, attorno a un elevato monolite, che emana una solennità terribile: si utilizzano dei truculenti macchinari, che danno immediatamente la dimostrazione della crudezza dei toni, e, anche, si prende familiarità con le logiche del puzzle secondo Ebb Software, perché Scorn è soprattutto un'avventura esplorativa nella quale risolvere enigmi ambientali e rompicapi.

Più in là si incontrano altri momenti di simile impostazione, nel quale un simbolico centro irradia potenza e dirige l'azione, ma sarebbe veramente criminale se ve ne rivelassi anche una minima parte, perché tanto, tantissimo fa la sensazione di scoperta. Qui non è accompagnata dalla consueta esaltazione, bensì dall'angoscia, ma c'è un elemento in comune con la declinazione più comune della scoperta: lo stupore.

Ci sono dei passaggi che lasciano davvero a bocca aperta, scene dalla composizione perfetta che elevano a potenza il valore immaginifico di un mondo che a un certo punto pare anche volersi svelare, ma che invece rimane l'enigmatico sfondo del sofferto incedere dell'altrettanto enigmatico protagonista.

Un ulteriore elemento di quell'attrazione che crea un legame indissolubile tra opera e giocatore, praticamente impossibile da recidere prima che il viaggio arrivi a conclusione. È vero, nelle circa sei ore necessarie per completarlo ci sono anche dei momenti meno ispirati, soprattutto nei passaggi più labirintici, quando corpi deformati, lividi tentacoli e aperture purulente sono talmente concentrati da risultare quasi ripetitivi, ma è quasi fisiologico sia così, vista la qualità media dello spettacolo offerto, assai elevata, che sarebbe stata insostenibile e, probabilmente, anche pesante e svuotata del suo impatto, se spalmata su tutta la durata del gioco.

L'altra faccia dell'opera

Se fin qui ho parlato solo della potenza immaginifica di Scorn e poco della sua ludica è perché è la prima a reggere il peso della produzione tutta, nella quale la seconda risulta molto tradizionale e semplicistica. Il gioco è un'avventura esplorativa, certo, e come tale si propone efficacemente, perché c'è bisogno di una certa attenzione per capire dove andare e per intuire in quale direzione muovere i passi successivi.

In tal ottica risultano ben implementati puzzle ambientali generalmente sempre comprensibili, funzionali a rendere la progressione più significativa ma che vanno poco oltre la pressione di quel tasto o l'attivazione di quel meccanismo. Quello che funziona meno sono i rompicapi da risolvere all'istante, nulla che non si sia visto in altri congeneri e che mai sfruttano in maniera intelligente l'immaginario del gioco. Va persino peggio per la componente shooting, che risulta posticcia.

I momenti nei quali occorre utilizzare le armi sono per fortuna pochi, perché non c'è nulla che funzioni, dal feeling delle armi (e su quattro due sono totalmente inutili) all'impatto sui nemici alla precisione generale. Quasi rompono l'immersione, come testimonia in maniera evidente una sorta di boss fight nel finale, del tutto anticlimatica e artificiosa.

C'è infine un discorso da affrontare riguardo la narrazione. Come molti altri congeneri, Scorn è un'opera nella quale non esiste una narrazione esplicita, e sta al giocatore mettere insieme i pezzi per cercare di dare un senso a quanto vive. Per permettergli di farlo però bisogna essere bravi nel disseminare nel corso dell'avventura indizi significativi, utilizzando una narrazione ambientale che permetta davvero di effettuare un'opera di deduzione.

Questo il gioco pare dimenticarlo, perché sì, ci sono alcuni, pochi elementi che potrebbero funzionare in tal senso, ma l'impressione generale è che molto, troppo sia lasciato a un ermetismo dal sapore di vaghezza, piuttosto che di impenetrabilità. Se si pensa allo sforzo profuso per creare un mondo così immaginifico, di tale potenza espressiva, è quasi delittuoso che non ne se possano almeno percepire le fondamenta narrative. Ammesso che ci siano, tanto per esser chiari.