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The Last of Us Parte I, un capolavoro in gran forma | Recensione

The Last of Us Parte 1 è il rifacimento tecnico e ludico del capolavoro di Naughty Dog. Scoprite tutte le novità dell'edizione PS5.

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a cura di Antonio Rodo

Sta succedendo qualcosa di strano alla community videoludica: l’aria che si respira sui principali forum e social è sempre più pesante e, in generale, a regnare è il malcontento. Provate quindi ad immaginare, in uno scenario come quello descritto, in che calderone sia finito l’annuncio del rifacimento tecnico e ludico del primo The Last of Us. Piuttosto prevedibile. L’ormai grande classico targato Naughty Dog è giornalmente oggetto di numerose critiche piuttosto becere focalizzate principalmente sul prezzo d’acquisto e sull’utilità, e la validità dell’operazione in sé. Dubbi e perplessità più che leciti in alcuni casi, ma posti nel modo sbagliato. L’impressione che abbiamo avuto – e ormai da qualche tempo – è che Neil Druckmann e il suo franchise di punta, The Last of Us, siano finiti sotto l’occhio di un ciclone terrificante; basti ripensare al lancio di Parte 2 (QUI la nostra recensione) per rendersi conto di quanta cattiveria e ignoranza regni oramai sovrana attorno a questa IP. Avversione del tutto ingiustificata, dal momento che basterebbe dare una rapida occhiata al curriculum dello studio californiano per capire che meriterebbe quantomeno un briciolo di rispetto.

Proprio per questo motivo, quando siamo stati contattati da Sony per accedere al prodotto in largo anticipo, ci siamo immediatamente sentiti amareggiati, consapevoli che l’impegno e il duro lavoro di analisi sarebbero comunque stati stroncati da commenti fuorvianti.

A prescindere da quella che sarà la vostra reazione, comunque, noi abbiamo fatto del nostro meglio per raccontarvi nel dettaglio tutti i cambiamenti di The Last of Us Parte I (la serie si ispirerà proprio a questo capitolo). Nelle scorse settimane abbiamo impiegato decine e decine di ore tra questo rifacimento, l’originale rimasterizzato per PS4 e Parte 2, nel tentativo di offrire ai nostri lettori un’analisi quanto più lucida e completa possibile.

Non vi resta che mettervi comodi e scoprire con noi se il lavoro compiuto da Naughty Dog sia o meno meritevole di attenzioni.

The Last of Us Parte I: una narrazione di livello, ieri come oggi

Prima di addentrarci in quelli che sono i miglioramenti apportati al gameplay, all’estetica e alla tecnica, ci teniamo a sottolineare che l’originale The Last of Us, per quanto concerne narrativa e regia, è rimasto immutato. Durante la nostra prova non abbiamo trovato nuove sezioni, ambienti, scene d’intermezzo o dialoghi; solo le medesime scene già apprezzate nove anni fa. Con ciò intendiamo disinnescare tutte le voci di corridoio che alludevano a dei contenuti completamente inediti. Una notizia, questa, che non mancherà di deludere qualcuno, soprattutto coloro che dall’annuncio a oggi si sono scagliati contro Sony per la decisione di vendere il gioco a 79,99€. Noi, in tutta onestà, ci aspettavamo esattamente questo, specialmente dopo che Naughty Dog ha esplicitamente confermato di non aver fatto nuove sessioni di performance capture. Per cui lo ribadiamo un’ultima volta: sebbene rimesso a lucido, ad attendervi ci sarà il solo e unico The Last of Us uscito nel 2013.

Ciò detto, almeno dal nostro punto di vista, complice il fatto che non avremmo gradito modifiche alla storia, l’assenza di nuovi contenuti narrativi non rappresenta un reale problema. Questo perché The Last of Us, nonostante siano passati nove anni, rimane ancora oggi lodevole e dotato di una narrazione eccellente, la quale non manca tuttavia di mostrare il fianco in alcune circostanze, con esagerazioni alle volte un po' eccessive e momenti in cui l’autore tira un po’ troppo la corda. Restano però delle piccolezze, specie se confrontate a ciò che l’esperienza offre lungo tutta la durata dell’avventura, che ricordiamo si attesta sulle 17-18 ore abbondanti (Left Behind incluso).

A impressionare maggiormente sono proprio i personaggi, scritti e caratterizzati benissimo e inseriti in un mondo non composto da soli buoni e cattivi, ma di persone moralmente complesse e in grado di sbagliare. Ce lo ricorda anche David, un personaggio che incontriamo nel penultimo atto: “uccidi per sopravvivere”, ci dice. “Noi facciamo lo stesso”. Un momento in cui gli sceneggiatori, in modo piuttosto esplicito, ci spiegano che pur credendo di essere dalla parte giusta, di agire per un bene superiore, agli occhi degli altri non saremo comunque tanto diversi.

Tra l’altro, a due anni di distanza dal secondo The Last of Us, stupisce che questi discorsi, saltati fuori proprio con la seconda parte, trovino in realtà spazio anche nella prima. Sorprende perché, per volontà degli stessi sceneggiatori, appaiono come dei sottotesti. Ai nostri occhi, Joel è per forza il buono: ha subito un grave lutto che gli ha cambiato per sempre la vita, e tanto ci basta per empatizzare al massimo con lui, identificandolo come l’eroe che ammazza i cattivi e salva la ragazzina, nonostante una parte di noi – quella più razionale – sia ben conscia della realtà dei fatti, come vedremo in modo più esplicito in The Last of Us Parte 2, che sconfina ulteriormente nel grigio.

Insomma, nonostante su stessa ammissione di Druckmann la parte 2 sia stata pensata in seguito e non ai tempi della stesura dello script della prima, ritornare su The Last of Us dopo aver affrontato l’oscuro cammino di vendetta di Ellie due estati fa permette al pubblico di notare un'infinità di dettagli e collegamenti tra i due titoli, che sembrano appunto far parte di un unico grande pacchetto.

Quando la tecnica migliora la narrazione

Come dichiarato a più riprese dal team di sviluppo, The Last of Us Parte 1 è stato ricreato da zero utilizzando una versione più aggiornata del Naughty Dog Engine, la stessa che abbiamo avuto modo di apprezzare in Parte 2. Così facendo, l’esperienza che troverete in questo rifacimento si libera di ogni spigolosità e limite legato alla generazione PlayStation 3.

A beneficiarne enormemente sono proprio le scene d’intermezzo: non più semplici video pre-renderizzati e anticipati da una violenta schermata a nero, bensì cutscene in real-time che si legano in modo armonioso al gameplay, alle volte persino con alcune transizioni perfette (un po’ come succede nell’ultimo God of War). Non in tutte le occasioni lo noterete, perché lo studio californiano ha voluto mantenere le inquadrature originali, evitando di snaturare il carattere registico di The Last of Us. Una scelta sensata e che ci sentiamo di appoggiare in pieno, dal momento che reputiamo la regia di Parte 1 davvero peculiare: un’alternanza convinta di tagli bruschi, interruzioni improvvise e convincenti primi piani.

Tutto studiato a tavolino per enfatizzare il racconto e, in alcuni casi, permettere al giocatore di riprendere il fiato e tirare un sospiro di sollievo. Il risultato è un miglioramento immenso, che riesce a esaltare maggiormente una narrazione sopraffina, nonostante non sia cambiata di una virgola.

Di pari passo anche i modelli dei personaggi e le loro espressioni spiccano il volo, peraltro senza la necessità di rifare nuovamente sessioni di performance capture. In sostanza, quello che il team di sviluppo ha fatto è stato riprendere l’intero girato di nove/dieci anni fa ed esprimerlo al massimo grazie alle potenzialità del nuovo hardware, che permette un aumento poligonale consistente, dei modelli a risoluzione più alta e un’espressività dei volti nettamente superiore rispetto a quanto visto su PlayStation 3. La conseguenza è una resa finale che eguaglia l’immensa qualità della Parte 2 e mantiene – per la gioia dei fan – le performance originali degli attori e il bellissimo doppiaggio in lingua italiana.

Esteticamente rivisitato

Potrà sembrar strano, ma l’estetica dell’originale The Last of Us differisce parecchio da quella di Parte 2. In verità, ciò accade a tutti i videogiochi sviluppati dalla stessa compagnia prima del 2016, anno in cui arrivò su PlayStation 4 l’ultima avventura di Nathan Drake, Uncharted 4: Fine di un Ladro.

Se le differenze stilistiche ed estetiche da un Uncharted all’altro sono passabili, però, non lo sono in una serie che si presenta al pubblico con due giochi all’attivo praticamente complementari; da qui il Parte 1 e 2 nei titoli in copertina. Poteva, Naughty Dog, lasciarsi sfuggire l’occasione per correggere il tiro? Ovviamente no. Ecco dunque che la virata al fotorealismo travolge anche The Last of Us Parte 1, adesso finalmente allineato all’estetica del suo sequel diretto.

Questo rifacimento tecnico è però tutto fuorché un modo per snaturare e cambiare a forza un gioco ancora oggi apprezzabile nella sua versione rimasterizzata. Per donare nuova vita agli ambienti e ai personaggi, Naughty Dog è tornata con la mente proprio alla generazione che cerca di lasciarsi alle spalle con questa nuova release PlayStation 5, studiando nuovamente i concept art originali nel tentativo di avvicinare The Last of Us Parte 1 alle idee avute in produzione e pre-produzione nel 2010, dopo lo sviluppo di Uncharted 2: Il covo dei Ladri.

Per questo motivo tutte le ambientazioni che abbiamo visitato in queste giornate di test non solo sono spaventosamente migliori rispetto al passato, ma anche più fedeli alla visione creativa originale: il modo in cui filtra la luce, la vegetazione più fitta, la qualità delle texture, l’effetto fungino delle spore… tutto contribuisce a creare un senso maggiore di immersione. Non a caso muoversi adesso in mezzo all’erba alta, camminare su delle strade desolate o esplorare piccole abitazioni e negozi abbandonati trasmette sensazioni quasi inedite, amplificando nei giocatori la volontà di ispezionare ogni anfratto alla ricerca di materiali utili per la creazione di oggetti o di imbattersi in alcune storie ben scritte, da scoprire leggendo i vari documenti nascosti negli scenari.

A tal proposito specifichiamo che il ruolo delle fasi esplorative è il medesimo dell’originale: di tanto in tanto ci verrà chiesto di utilizzare un cassonetto dei rifiuti per raggiungere zone sopraelevate, sfruttare un’asse per attraversare un dislivello o accendere un generatore per ripristinare la corrente elettrica. Tutte le migliorie viste in The Last of Us Parte 2, quindi, tra porte da sbloccare cercando ingressi alternativi, corde da utilizzare e piccoli puzzle ambientali da risolvere, restano fuori. Da questo punto di vista l’avventura di Ellie e Abby rimane superiore in toto, eccezion fatta per le casseforti; adesso richiedono l’inserimento manuale della combinazione, proprio come in Parte 2.

Siamo sinceri: non ci sarebbe dispiaciuto vedere introduzioni di questo tipo anche in The Last of Us Parte 1, ma in tutta onestà, lungo la nostra avventura non ne abbiamo sentito la mancanza. Solamente a posteriori, ora che stiamo scrivendo la recensione, ci stiamo pensando.

Un gameplay ampliato e migliorato

Non è un segreto per nessuno che The Last of Us Parte 2 sia un gioco nettamente superiore al primo: contribuiscono non poco introduzioni come la possibilità di schivare e stendersi a terra, passare sotto agli oggetti per eludere i nemici oppure nascondersi in mezzo alla vegetazione più fitta. Il miglioramento più percettibile è però dato dal level design, ampliato a sufficienza negli spazi e con sviluppi anche verticali. Un cambiamento talmente netto che ha portato benefici all’esplorazione, al combattimento e alle fasi furtive.

A fronte di ciò, nel momento in cui Naughty Dog stessa racconta di un The Last of Us Parte 1 ricostruito da zero per PlayStation 5, è più che lecito aspettarsi dei cambiamenti al gameplay, proprio per pareggiare la qualità di Parte 2.

Tuttavia, come intuibile dai video pubblicati sul canale PlayStation, il prodotto che ci siamo trovati a giocare non ospita affatto nuove meccaniche di gioco. Ad attendervi ci saranno le stesse identiche azioni che è possibile compiere nell’originale, portate a un livello qualitativo maggiore e rifinite nell’esecuzione e nel feeling generale.

Tutto ciò che abbiamo sempre pensato – e anche sperato –, dal momento che non avremmo gradito introduzioni come la schivata o la possibilità di strisciare; aggiunte, queste, che avrebbero per forza di cose chiamato in causa dei significativi cambiamenti alla struttura delle mappe, andando così in contraddizione alle dichiarazioni di Sony e Naughty Dog che hanno sempre parlato di un’esperienza drasticamente migliore, ma non diversa, fedelissima nella struttura.

La situazione è molto semplice: tutti gli elementi ludici che il primo The Last of Us condivide con il secondo sono stati espansi e migliorati; il resto che invece trovava spazio solamente in Parte 2 continua a non trovarlo in Parte 1. Ciò non significa però che Naughty Dog se ne sia stata con le mani in mano: a partire dal sistema di movimento del personaggio, passando per le fasi furtive e arrivando alle sparatorie, lo stacco con l’originale è molto netto.

Tra le introduzioni più significative segnaliamo la presenza della tecnologia chiamata motion matching, la quale migliora costantemente l’esperienza in tutte le fasi e situazioni. Si tratta di una vastissima libreria di animazioni catturate durante delle sessioni di performance capture, che il gioco – attraverso un algoritmo – richiama per adattare i movimenti dei personaggi agli ambienti e al contesto.

Se ad esempio state strangolando qualcuno e a un tratto venite scoperti, il nostro Joel, piuttosto che continuare con molta calma a soffocare il nemico, si affretterà a eliminarlo, dando vita ad animazioni completamente inedite. Se ben ricordate, parliamo della stessa tecnologia che Naughty Dog ha già mostrato al pubblico con The Last of Us Parte 2, purtroppo poco sfruttata in altri videogiochi (ci provò Ubisoft con For Honor, ma con risultati decisamente inferiori).

In definitiva, dunque, aspettatevi uno shooting più rifinito, fisico e viscerale, nonché molte più animazioni. Ma cosa è successo invece al comparto stealth? Non poche cose, dal momento che l’intelligenza artificiale nemica e amica ha subito degli accorgimenti.

Specifichiamo innanzitutto che per notarli, in alcuni casi, è suggerito giocare a difficoltà Realismo, o comunque modificare selettivamente il comportamento dell’IA, adesso che il gioco permette di agire in modo indipendente su parametri quali risorse, danni inflitti e via discorrendo, esattamente come succede in Parte 2. I nemici sono quindi più vigili e attenti ai rumori, controllano gli angoli durante le fasi di allerta e risultano molto più precisi durante le sparatorie; hanno inoltre il dannatissimo vizio di raggiungerci alle spalle.

Come anticipato, anche gli alleati beneficiano di migliorie: adesso sono molto più partecipi durante gli scontri. Capita però di assistere ancora a vecchie problematiche legate ai movimenti dei compagni durante le fasi furtive, i quali tendono a finire nel campo visivo nemico in più occasioni, soprattutto a difficoltà più elevata.

Questo perché l’IA dei compagni funziona esattamente al contrario: diventano infatti più aggressivi e partecipi selezionando un grado di sfida basso (così da aumentare ulteriormente la difficoltà del gioco quando impostata a Sopravvissuto e Realismo). A tal proposito, vi invitiamo a giocare provando a personalizzare la difficoltà e ignorando i preset pre-configurati, così da arginare – sebbene non del tutto – i problemi legati all’IA degli alleati, cucendo addosso a voi l’esperienza più equilibrata e soddisfacente.

Rendere Ellie e compagni visibili agli occhi dei nemici non sarebbe stata a nostro avviso un’idea tanto furba, dal momento che ad aumentare sarebbe il solo e unico stato di frustrazione; apprezziamo però il fatto che abbiano cercato di ridurre il problema.

Quanto detto fin qui, ovviamente, non può che migliorare l’esperienza che The Last of Us Parte 1 propone ai giocatori, avvicinandola di molto a Parte 2 e dando ai giocatori una continuità percettibile tra i due giochi non solo da un punto di vista prettamente narrativo, bensì anche ludico e, come spiegato prima, tecnico ed estetico.

Vogliamo tuttavia specificare che anche con questi miglioramenti, The Last of Us Parte 2 rimane significativamente superiore al primo: inscena diversi gruppi di nemici con routine comportamentali inedite tra loro; presenta un level design più ampio e verticale e propone infine un ventaglio di possibilità e situazioni nettamente maggiori. Tutto nella norma, secondo noi; stiamo pur sempre parlando di un sequel, cucito peraltro attorno a due personaggi completamente differenti da Joel e collocato quattro anni in là nel tempo, necessari a Ellie per affinare meglio le sue capacità.

E gli infetti?

Già, e gli infetti? Ovviamente ci sono, esattamente come nell'originale The Last of Us. E a dirla tutta sono tra gli elementi più riusciti dell’intero pacchetto. In primis perché troviamo ancora oggi molto efficace l’idea dietro la mutazione e il virus. Semplicissima, eppure dannatamente efficace: si tratta di un fungo chiamato Cordyceps che nella realtà attacca bruchi e formiche, modificato nel gioco per minacciare la salute degli esseri umani. Più quest’ultimi restano infettati, maggiore sarà lo stadio della loro infezione, che parte dalla tipologia Runner fino ad arrivare a Bloater.

Dicevamo che siamo rimasti piacevolmente colpiti dal lavoro operato sugli infetti poiché gli scontri con queste creature sono cambiati in maniera sostanziale. Le loro routine comportamentali sono esattamente quelle viste in Parte 2, con Clicker molto più pericolosi e, in generale, un’atmosfera più tetra e cupa durante le fasi che li riguardano in prima persona. Inoltre, già presenti nel gioco originale ma non differenziati a sufficienza dai Runner, gli Stalker hanno adesso comportamenti ben differenziati e sono protagonisti delle scene più ansiogene della produzione: si nascondono, ti guardano e si allontanano, aspettano l’attimo esatto per colpirti e prediligono le imboscate di gruppo.

Ci sentiamo quindi di promuovere a pieni voti il lavoro svolto sugli infetti, perfettamente in linea con quanto visto in Parte 2.

Un’ode all’accessibilità

The Last of Us Parte 1, lo si era intuito già da alcuni video pubblicati da Sony (persino dal trailer di lancio), è un’esperienza ricchissima di impostazioni legate all’accessibilità.

È davvero sorprendente il modo in cui il gaming si sta muovendo da questo punto di vista: dall’Adaptive Controller di Xbox al lancio di The Last of Us Parte 2 avvenuto nel 2020, ne è passata veramente tanta di acqua sotto ai ponti, e ciò non può che farci ben sperare per il futuro.

In Parte 1 entrano dunque in gioco le stesse identiche impostazioni viste nel sequel, già tantissime e che interessavano una quantità di difficoltà motorie, uditive e visive letteralmente impressionanti. Ciononostante Naughty Dog non si è accontentata, e ha provato a spingere ancora più in là la frontiera dell’accessibilità, inserendo nel gioco la funzione Descrizione Audio che va ad attivare un commento in tutte le sequenze filmate; un vero e proprio commentary di quanto accade a schermo.

Un’ode all’accessibilità, nella speranza che sempre più videogiochi e team di sviluppo investano risorse in questo aspetto tanto importante.

E sempre a proposito di impostazioni, segnaliamo anche la possibilità di rimappare completamente ogni singolo tasto di gioco. I menu, inoltre, esattamente come l'hud a schermo, hanno subito uno svecchiamento notevole, e appaiono adesso esattamente come quelli visti in The Last of Us Parte II.

Una sfilza di contenuti bonus

Oltre a includere, come per l’edizione rimasterizzata, il bellissimo Left Behind, Naughty Dog ha colto l’occasione per inserire nel pacchetto una sfilza di contenuti extra: tra modellini da sbloccare, modificatori di gioco, concept art, diari di sviluppo, podcast e via discorrendo, The Last of Us Parte 1 è, in assoluto, la versione più ricca mai pubblicata del cammino di Joel ed Ellie. Certo, in alcuni casi, specie per le skin da applicare ai personaggi, si tratta di aggiunte parecchio superflue, già presenti nell’originale, ma adesso espanse con magliette a tema PlayStation e simpatici easter egg, tipo la tutina gialla di Uma Thurman in Kill Bill, che come la Ellie di The Last of Us Parte 2 affronta un viaggio di vendetta.

Per gli appassionati più incalliti c’è poi una modalità speedrun con tanto di classifiche e cronometro in alto a destra, la possibilità di attivare la morte permanente per gioco intero, atto o capitolo e un NG+ rivisitato che offre adesso la possibilità di ricominciare il viaggio con tutte le armi sin dalle primissime fasi di combattimento, a differenza dell’originale. Apprezziamo molto il fatto che abbiano anche lasciato al giocatore la possibilità di affrontare la nuova partita+ con la classica progressione delle armi, che andranno raccolte lungo l’avventura esattamente come la prima volta, con la sola differenza che dopo l’ottenimento saranno già potenziate al massimo o comunque nella condizione in cui le avete lasciate durante la prima passata.

A tal proposito vale la pena spendere qualche carattere in merito ai banchi da lavoro, resi più credibili e migliorati con l’aggiunta di decine di animazioni uniche che vedono il protagonista utilizzare disparati attrezzi per migliorare le varie bocche da fuoco, subendo pure un cambiamento estetico.

The Last of Us Parte I su PlayStation 5

Chiudiamo infine con un paragrafo dedicato alla tecnica. Come già ampiamente raccontato all’interno della recensione, The Last of Us Parte 1 non snatura il carattere originale della produzione, ma al contempo lo migliora in ogni singolo aspetto, aumentando la qualità delle animazioni, degli ambienti e dei personaggi. Ma come gira su PlayStation 5? Il gioco propone due differenti preset grafici che cambiano a seconda del tipo di monitor o televisore rilevato. Se giocate su un pannello HDMI 2.1, in grado quindi di viaggiare a 4K/120Hz e con tecnologia VRR, le modalità di rendering tra cui scegliere saranno Fedeltà e Performance: la prima blocca il gioco a risoluzione 4K con obiettivo 40FPS; la seconda viaggia a 60fps sfruttando una risoluzione 4K dinamica o un rendering nativo a 1440p nel caso in cui giochiate su un monitor e siate già in possesso dell’ultimo firmware di PlayStation 5, attualmente in beta. In più, la modalità Performance, quando combinata con il VRR, permette lo sblocco del frame rate, facendo viaggiare il titolo a frequenze altissime, sebbene altalenanti. Discorso leggermente diverso sulle classiche TV con ingressi HDMI 2.0, che viaggiano a un massimo di 4K a 60Hz. In questo caso il gioco si configura in 4K a 30fps nel preset Fedeltà e 4K dinamico a 60fps in quello Performance.

Nel momento in cui scriviamo la recensione, la modalità Fedeltà è afflitta da alcuni cali di frame rate che si verificano in alcune circostanze specifiche e durante l'utilizzo della torcia. Tuttavia, avendo giocato al titolo senza alcuna day one patch installata, confidiamo che questi problemi verranno risolti al lancio.

Una gran bella ottimizzazione e un supporto pressoché totale di tutte le tecnologie che la console Sony ospita. Appare chiaro come il sole che Naughty Dog stia cercando di familiarizzare al massimo con PlayStation 5, e occasioni del genere, come dimostrato in passato, sono le più indicate.

Meraviglioso poi il supporto al Tempest Engine della console, che permette un’uscita audio completamente in 3D, con suoni ben posizionati, nitidi e cristallini e un missaggio praticamente perfetto (almeno in questa configurazione). Giocato già con le casse del televisore, il mix risulta imperfetto. Il nostro consiglio, dunque, per apprezzare pienamente il rinnovato audio di The Last of Us Parte 1, è di fruirne con delle cuffie native in 3D. Conclude il pieno supporto al controller DualSense, il quale attiva ogni singola feature possibile, dal giroscopio al feedback aptico, arrivando ai grilletti adattivi.

Voto Recensione di The Last of Us Parte I - PS5


9

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • - Estetica e tecnica di primissimo livello

  • - Gameplay migliorato

  • - Narrazione ancora oggi sopraffina

  • - Tanti contenuti bonus

Contro

  • - Qualche miglioramento alle fasi esplorative non avrebbe guastato

Commento

Nato come un’ovvia trovata commerciale dovuta alla popolarità che l’opera ha acquisito in poco tempo, The Last of Us Parte 1 è tutto fuorché un lavoro disonesto e sviluppato con pigrizia. È un immenso atto d’amore nei confronti degli appassionati; un modo per pareggiare, e in certi casi avvicinarsi, all’estetica, alla tecnica e al gameplay del mirabolante The Last of Us Parte 2. Riviverlo in questi ultimi giorni ci ha fatto veramente piacere, oltre a confermare il fatto che era ed è rimasto un capolavoro, ancora oggi attualissimo nella narrazione e nella sua messinscena. Visti i commenti in rete, è difficile dire se sarà o meno un successo commerciale, e se sarete d’accordo con la nostra valutazione. Una cosa è però certa: The Last of Us Parte 1 vale la vostra attenzione. Se a 50, 60, 70 o 80 euro, questo lo deciderete solamente voi.

Informazioni sul prodotto

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The Last of Us Parte I - PS5