Yoko Taro: L'uomo sotto la maschera

Chi è davvero Yoko Taro? Ne parliamo insieme, in un racconto che vuole ripercorrere il metodo di scrittura di uno degli sceneggiatori più singolari della storia di questo medium!

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a cura di Andrea Dall'Oglio

Yoko Taro è, per quanto lui stesso non si sforzi a dimostrare il contrario, un vero e proprio "mistero" dell'industria videoludica.

Il Game Director responsabile di videogiochi divenuti rapidamente cult, quali NieR, il suo seguito NieR:Automata e i capitoli della serie Drakengard, viene quasi sempre ripreso durante interviste o conferenze con indosso una maschera e il suo comportamento è ciò che potremmo definire "sopra le righe".

Un chiaro esempio di ciò risale a qualche anno fa, quando, ad appena una settimana dall'uscita della sua ultima fatica, Square Enix pubblicò un video dove Taro annunciò l'arrivo di merchandise relativo a NieR:Automata in modo particolare, in primo luogo cercò di sfilare una T-shirt a un collega(Taura Takahisa di Plantinum Games, studio che si occupò dello sviluppo del titolo), dopodiché venne ripreso mentre intento a rotolarsi per terra, con la maglietta stretta in mano mentre gridava "Nier:Automata T-Shirt!, Nier:Automata T-Shirt! S***t Square Enix!", il tutto ovviamente senza mai separarsi dall'amata maschera.

Per quanto questo tipo di comportamento possa spingere molti a conclusioni affrettate riguardo la persona e il tipo di contenuto che questa possa presentare, nella sua nicchia di appassionati, recentemente allargatasi non poco visto il successo di Automata, Taro viene quasi idolatrato per le sue abilità sceneggiative, capaci di toccare le corde anche dei più duri di cuore. Questa strana dicotomia, unita ai comportamenti sopracitati, porta alla formazione di un'aura di mistero intorno al Director giapponese che sembra, purtroppo, allontanare i più scettici.

Oggi proveremo a scavare in quella sua dura maschera ed effettueremo una disamina del personaggio, dal suo esordio, al tanto agognato successo, soffermandoci su ciò che i fan elogiano di più, ovvero, le sue storie.

Chi è Yoko Taro?

Partiamo dal principio. Taro Yoko (il cui nome utilizza all'inverso per distinguere la sua persona privata da quella pubblica, scritta come "YOKO TARO" in maiuscolo) nasce il 6 Giugno 1970 nella città di Nagoya in Giappone, nel marzo del 1994 si diploma all'Università di Design di Kobe e un mese dopo viene assunto come Designer 3D per le sezioni di Computer Grafica presso Namco.Successivamente passò a lavorare per Cavia, Software House responsabile di titoli come Resident Evil: The Umbrella Chronicles e di molti videogiochi action e picchiaduro basati su noti anime, dove si ritrovò, per necessità, nel ruolo di direttore creativo su un progetto che portava il nome di Drakengard.

La necessità nacque dal fatto che Takuya Iwasaki, co-produttore e director del progetto fino a quel momento, era occupato su altri lavori e la scelta di affidare a Taro la direzione del titolo fu presa da Iwasaki stesso dato che aveva notato l'interesse del giovane in quell'ambito. La scelta fu di certo un azzardo dato che Taro fino a quel momento non si era mai ritrovato in una posizione così importante all'interno di un progetto, ma il vero problema fu la totale inesperienza del neo-director sul fronte della sceneggiatura.

Questo lo spinse all'acquisto di svariati libri didattici sull'argomento che però abbandonò in fretta perché, a detta dello stesso, non comprendeva come le metodologie descritte per elaborare una sceneggiatura potessero servire nell'effettiva stesura della storia per un buon gioco, così elaborò un suo metodo che, in occasione di una conferenza alla Game Developers Conference (GDC) del 2014, presentò con il nome di Backwards Scripwriting (Sceneggiatura al contrario/a ritroso).

Backwards Scriptwriting

Diversamente da quanto adottato dal "normale" processo di scrittura, Taro concepì questo particolare metodo che consiste nel partire dalla conclusione della storia per poi, a ritroso, costruire una serie di cause e ragioni che condurranno inevitabilmente a quel finale. Creare una storia in questo modo non è di certo semplice, ma scrivere un racconto avendo ben in mente come dovrà andare a finire dà la possibilità al Director giapponese di lavorare con una certa attenzione alla costruzione di un certo percorso emotivo che i giocatori si troveranno ad affrontare.

Per far sì che la storia abbia un certo tipo d'impatto sul giocatore è importante che si determinino una serie di fattori che possano esser "di supporto" all'emozione predominante che quel tipo di evento intende trasmettere. Nella sua presentazione, Taro porta come esempio un'importante quest di NieR, che vede la morte di una giovane e dolce ragazza affetta da mutismo nel giorno del suo matrimonio.

Dalla sinossi appena accennata si possono facilmente individuare diversi dei fattori sopracitati, come per esempio la dolcezza e gentilezza della ragazza o che un qualcosa di così atroce e violento le sia capitato proprio il giorno del suo matrimonio, che in genere è visto come un evento gioioso. Una volta create e raggruppate queste informazioni, Taro procede con il posizionarle all'interno dell'esperienza in modo che i giocatori possano avere il tempo di conoscere tutte le sfaccettature di questa persona e di conseguenza cominciare ad affezionarcisi.

 In questo metodo, così come negli altri, va dato un occhio di riguardo a quello che viene definito il Pacing della storia, per ottenere un forte impatto emotivo infatti non è consigliato "inondare" il giocatore con informazioni il più in fretta possibile dato che questi potrebbe non avere il tempo per assimilare bene il tutto rovinando così l'intera sezione. Anche l'intensità dei singoli eventi è molto importante, una storia blanda che ad un certo punto esplode poterebbe non essere coinvolgente come un continuo crescendo che infine giunge al suo climax ponendo lo spettatore davanti a una serie di emozioni che dovrà pian piano metabolizzare.

Nel concludere l'esempio Taro tiene a precisare che non tutte le persone, poste dinanzi alla stessa scena, proveranno la stessa emozione con la stessa intensità, questo fatto è dovuto dalla disparità di esperienze vissute da ciascun essere umano e dalla percezione ed empatia che ciascuno di noi possiede. Non è dunque possibile creare "la scena perfetta" che possa mettere tutti d'accordo, ed è proprio quest'ultimo punto ciò a cui Yoko Taro ambisce, ma ne riparleremo più avanti.

Photo Thinking

Creare una breve storia usufruendo del metodo sopracitato può risultare dunque una cosa fattibile, semplice addirittura. Ma cosa succede quando bisogna scrivere molteplici storie che poi vanno "compresse" nel mondo di gioco? È proprio qui che entra in gioco ciò che Taro chiama "Photo Thinking".Questo termine, da lui stesso coniato, definisce un singolare procedimento di "proiezione mentale" della scena che si vuole andare a creare comprensiva di tutti gli elementi chiave che la caratterizzano.

Il Photo Thinking non differisce più di tanto da una tecnica utilizzata spesso nel mondo del cinema, quella della previsualizzazione. La previsualizzazione consente al regista, solitamente tramite una sequenza di scene disegnate in ordine cronologico detta Storyboard, di avere un'idea sul come dovrà essere girata una scena. La principale differenza tra le due metodologie si ritrova nel modo in cui le scene vengono visualizzate, se nel mondo del cinema le scene vengono riprodotte tramite disegno o costruzione digitale, Il Director giapponese preferisce usare la propria mente.

Taro spiega come questo suo metodo ricalchi in qualche modo un'altra "abilità" chiamata Tecnica dei Loci, conosciuta ai più come Palazzo Mentale grazie al grande successo della serie BBC SherlockImprimendo nella mente in questo modo i vari avvenimenti risulterebbe dunque facilitata la costruzione del mondo di gioco, in quanto è possibile plasmare le varie location a seconda delle necessità.

Storia, Gameplay e il videogioco come "mezzo"

Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito innumerevoli volte a discussioni riguardanti l'importanza di una buona storia e un gameplay divertente e fluido. Soprattutto se si pensa a come un titolo viene recepito dalla critica, vista come punto di riferimento da molti. Ebbene Taro è pronto a dire la sua anche in questo campo e la sua risposta, come potete facilmente immaginare, non è affatto in linea con il pensiero sopracitato. L'autore confessa infatti di non prestare nessuna particolare attenzione a storia e gameplay, nè tantomeno alla resa grafica o al successo commerciale di ogni suo titolo. Taro approfondisce affermando che ciò a cui realmente aspira è la reazione del giocatore agli eventi che si ritrova a dover affrontare, rendendo il gioco e ogni aspetto al suo interno, un mero tramite tra l'autore e il pubblico.

Ma non è tutto, il director di Square Enix si permette anche una critica a ciò che è diventata oggi l'industria, ormai "rinchiusa" in una serie di regole e limiti autoimposti, come ad esempio la durata di un gioco open world, che deve ad ogni costo offrire centinaia di ore di contenuto per poter essere anche solo considerato dalla massa. Taro invece crede fermamente nell'esistenza di un grande potenziale inesplorato al dì là di quelle regole che definisce un "muro invisibile", e in ogni suo prodotto cerca sempre di fare un passo oltre quella barriera, nel territorio ancora inesplorato di questo fantastico media. Ovviamente ciò che mi ritrovo a scrivere non è una novità, Yoko Taro non è certo un "illuminato" del settore e le ragioni per cui questi "salti nel vuoto" non sono usanza comune, come è facile immaginare, sono prettamente economiche.

Le grandi aziende, infatti, confezionano prodotti dal costo sempre più elevato, senza contare gli anni di lavoro incessante da parte di team che superano le centinaia di persone. Di conseguenza, per potere arrivare a un guadagno netto, le major preferiscono utilizzare una formula che non costringa i giocatori a uscire dalla loro zona di comfort, evitando così il rischio di deludere con scelte discutibili, ma al contempo privando il pubblico di qualcosa di veramente nuovo.

Non è un caso che una delle sue scelte più criticate, o apprezzate appunto, sia quella della cancellazione dei dati di salvataggio nel primo capitolo di NieR, quest'idea non solo è stata un qualcosa di mai visto prima di allora, ma fu una trovata geniale in quanto pose il giocatore davanti al concetto di perdita/guadagno in una prospettiva completamente innovativa poiché l'utente, sacrificando un qualcosa di veramente prezioso, veniva ricompensato con la conclusione dell'avventura.

Questa caratteristica del titolo divise nettamente il pubblico, e le loro diverse opinioni sono esattamente ciò a cui ambiva Taro rendendo questo primo capitolo, secondo alcuni, una vera gemma nascosta.

Ispirazioni e cambi di genere

Ma da dove nasce questa ricerca quasi spasmodica per un qualcosa di nuovo e diverso? La risposta, come facilmente intuibile, si nasconde nella persona sotto la maschera. Yoko Taro, infatti, si definisce come una persona che si annoia molto facilmente e il solo pensiero di un gioco che propone una ripetizione di elementi di gameplay poco varia porta il director all'abbandono di quest'ultimo. Non è un caso che nei suoi titoli, la cui durata si attesta bene o male sulla ventina di ore, troviamo una pletora di sezioni che, tramite vari aggiustamenti di camera e configurazione dei controlli, riescono a offrire dei veri e propri "cambi di genere".

Basti pensare alla sequenza iniziale di Automata dove, nel giro di pochissimi minuti, giochiamo ben 4 generi diversi, partendo da un classico shooter a scorrimento verticale con navicella per poi passare a un "twin stick shooter" (dove controlliamo separatamente movimento e direzione di fuoco tramite appunto le levette direzionali) passando successivamente in uno shooter a scorrimento laterale per poi infine prendere il controllo della protagonista e combattere corpo a corpo in un Action 3D in stile Bayonetta. Taro però porta anche un esempio esterno alla sua persona per quanto riguarda l'utilizzo "anomalo" della componente videoludica, l'iniziativa Small World Machines di Coca Cola.

Questa mossa pubblicitaria ideata dal colosso americano consisteva nel posizionamento di due speciali distributori della famosa bibita in due paesi che da più di sessant'anni provano un forte astio l'uno per l'altra, Pakistan e India. Tramite delle videocamere e uno schermo interattivo due persone, una per paese, dovevano collaborare per raggiungere un obiettivo che poteva variare dal disegnare contemporaneamente un simbolo di amicizia e pace all'eseguire un balletto e così via, la ricompensa? Ma ovviamente una lattina di Coca Cola! Il director afferma che la cosa lo aveva affascinato non tanto per l'esperienza in sé che, a causa dell'inevitabile lag tra le due macchine, non risultava un granché divertente, quanto piuttosto per l'applicazione ludica in un contesto delicato e mai visto prima.

Questo rappresenta al meglio ciò a cui ambisce Taro, un uso del mezzo ludico che possa suscitare curiosità, anche se questa avviene a discapito del divertimento.

Cosa ci aspetta in futuro?

Dinanzi a questa domanda Taro si dice poco speranzoso per il suo futuro, afferma di essere un vecchio che, nonostante militi nell'industria da vent'anni, non è mai riuscito a imporre un vero cambiamento all'intero della stessa, ma è fermamente convinto che, prima o poi, degli sviluppatori molto più giovani di lui possano "sdoganare" nuovi contesti in cui utilizzare il videogioco.

Che le speranze del game director siano ben riposte?

Di recente abbiamo assistito a titoli ed esperienze sia ad alto budget che nella scena indie che hanno osato dove mai prima d'ora.

Basti pensare al tanto adorato Undertale che offre un'interazione giocatore/gioco quasi rivoluzionaria, oppure al ben più recente Death Stranding che ha riscosso elogi e critiche proprio in virtù del fatto che niente del genere era stato concepito prima d'ora. C'è da dire che entrambi i progetti nascono da menti brillanti che hanno avuto la possibilità di creare esattamente quello che volevano senza restrizioni. Che il successo smisurato di alcune di queste realtà possano davvero smuovere qualcosa anche per quanto riguarda progetti più grandi?

E voi cosa ne pensate? Nella vostra vita vi è mai capitato fra le mani un videogioco innovativo che in seguito non è stato più replicato? Fatecelo sapere qua sotto nei commenti!

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