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Altro che AdBlock, la nemesi di Google nasce a Trento

Uno studio realizzato a Trento fa luce sul valore che diamo ai dati personali.

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Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Pubblicato il 14/07/2014 alle 12:16 - Aggiornato il 15/03/2015 alle 01:51

Lo smartphone raccoglie informazioni su di noi, e siamo pronti a svenderle per un paio di euro o poco più. Lo hanno scoperto Jacopo Staiano e Bruno Lepri della Fondazione Bruno Kessler (FBK) insieme ad alcuni colleghi, nell'ambito di una ricerca mirata a capire il valore delle informazioni personali e come far nascere un possibile mercato. A condurre questa ricerca e' stata Telefonica Research, in collaborazione con FBK, Universita' di Trento, e Telecom Italia..

Per realizzare l'esperimento si è ricorso al living lab: Staiano e i colleghi hanno dato a 60 persone uno smartphone di ultima generazione che poi sarebbe diventato loro, e che aveva installata una speciale app che tracciava praticamente ogni attività svolta dal proprietario, dalle chiamate agli SMS, dalle fotografie alle posizioni GPS. Periodicamente, poi, ai partecipanti si chiedeva di vendere queste informazioni agli scienziati, che secondo gli accordi le avrebbero usate solo a fini di ricerca.

Si è scelta la tecnica dell'asta inversa sul secondo prezzo migliore per assicurarsi un comportamento onesto da parte di tutti. Risultato? I dati a cui teniamo di più sono quelli che riguardano la posizione, e in particolare quelli che esulano dalla nostre routine. In altre parole, cerchiamo di tenerci stretti quell'informazione che potrebbe svelare una visita all'amante o comunque sollevare sospetti.

Staiano ha rivelato a Tom's Hardware che le persone più attaccate (si fa per dire) a certi dati sono quelle che si muovono più spesso, e che danno maggior valore ai dati sulla propria posizione. È emerso anche un dettaglio curioso: al momento di vendere, le persone non marcavano differenze rilevanti tra la categoria "comunicazione" e quella "applicazioni". Incuriosito, Staiano ha scoperto che le app più usate sono Whatsapp, Skype, Viber, Facebook Messenger e altre simili; tutte ricadono nella categoria "comunicazione" di fatto, così da rendere poco o per nulla significativa la divisione in due categorie. "Col senno di poi", confessa Stiano a Tom's Hardware, "cambierei la divisione in categorie rispetto a ciò che abbiamo fatto".

In ogni caso i dati sono stati sempre venduti per cifre piuttosto basse, tra i due e i quattro euro a pacchetto. Staiano spiega a Tom's Hardware un paio di dettagli che forse hanno reso i partecipanti più inclini e vendere i dati senza chiedere cifre alte in cambio: le informazioni non sarebbero servite a identificare i partecipanti in modo univoco, e, similmente le leggi sulla privacy permettono solo di dire alla persone "so che hai fatto una fotografia alla tal ora e in tal posto", ma non di usare la foto stessa.

Se l'intento della ricerca era esplorare il possibile mercato dei dati personali, l'obiettivo era anche comprendere se e come è possibile restituire all'utente il controllo su queste informazioni. Pochi oggi si chiedono perché un videogioco per Android chieda accesso alla rubrica, agli SMS o ad altri elementi, e ancora meno s'interrogano sull'uso di questi dati. Viene da chiedersi "che cosa ne fa, a chi li vende, come vengono utilizzati", afferma Staiano.

Per questo esistono iniziative come l'openPDS, a cui Staiano e Lepri sono collegati, che mirano a creare "dei cosiddetti trust framework - dei modi per dare il controllo dell'utilizzo dei dati all'utente finale. Che non siano quelli della legislazione attuale (obsoleta, NdR)", continua Staiano.  

"L'innovazione" continua Staiano, "passerà necessariamente per un meccanismo che permetta al consumatore di avere fiducia nel modo in cui vengono gestiti questi dati". Serve quindi un sistema che dia un ritorno di valore al consumatore, alla persona che ha comprato lo smartphone, "a te che li produci questi dati".

Jacopo Staiano, Bruno Lepri e il loro collega Marco Guerini

In altre parole, ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di vendere direttamente i propri dati e guadagnarci qualcosa, anche se poco. O se non altro di decidere come andranno usati, in che misura e da chi. Un'idea che abbiamo già sentito, ma la proposta di Staiano è innovativa perché propone di introdurre uno strumento a tutela della privacy e del consumatore, e che allo stesso tempo possa portare vantaggi anche per colossi come quelli che hanno finanziato lo studio.

Uno strumento del genere avrebbe un impatto devastante sul mercato, perché metterebbe in crisi il modello di business su cui si fondano Google, Facebook, i citati data broker e tante altre realtà. Su questo punto, Staiano risponde citando AdBlock, uno strumento che crea una destabilizzazione del tutto simile, perché mette in discussione modelli di business esistenti e obbliga a crearne di nuovi. In altre parole, ogni tanto le novità arrivano e qualche volta ci rompono le uova nel paniere: l'unica è sapersi adattare velocemente altrimenti si affonda. 

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