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Direttiva copyright: raggiunto un accordo tra le Istituzioni Europee

Oggi i nostri consulenti legali ci spiegano le novità introdotte nel testo europeo sul diritto d0autore, ormai in via di approvazione definitiva.

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Avatar di Dott. Alvise Nisato

a cura di Dott. Alvise Nisato

Pubblicato il 02/03/2019 alle 09:30
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L’idea di una riforma del diritto d’autore in ambito comunitario nasce dalla necessità di modificare regole sul copyright ormai obsolete in relazione al rapido sviluppo della società dell’informazione
. Una società digitale nella quale giornalisti ed artisti di ogni genere vedono circolare liberamente le proprie opere ricevendo poco o nulla in cambio.

Il Parlamento Europeo, lo scorso luglio, con 318 voti favorevoli e 278 contrari, aveva di fatto sospeso l’avvio dei negoziati con le altre Istituzioni Europee al fine di produrre un testo definitivo in materia di diritto d’autore. Nello specifico, le problematiche più rilevanti erano sorte in relazione agli articoli 11 e 13 della proposta di direttiva.

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L’articolo 11, nella sua prima formulazione, prevedeva la corresponsione di un compenso agli editori di giornali per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni. In sostanza, nella sua formulazione originaria, tale articolo era volto alla tutela di quei soggetti che vedevano utilizzata, a fini commerciali, la propria opera da parte dei colossi di internet. L’obiettivo di tale norma era quello di porre fine alle controversie tra editori e colossi informatici, dove i primi vedevano utilizzate le loro pubblicazioni gratuitamente dai secondi che per giustificarsi sostenevano di aumentare, con la loro attività, il traffico dei siti degli editori.

L’articolo 13, oggetto di vere e proprie campagne di protesta, in particolar modo da parte di Wikipedia, era volto a regolamentare la diffusione online di opere senza il consenso dell’autore di queste, mediante filtri che in automatico ne impedivano la pubblicazione. La ratio di tale previsione era da individuarsi nel tentativo di arginare quel fenomeno per il quale i prestatori di servizi della società dell’informazione, come YouTube, diffondevano contenuti di terzi autori pagando ad essi una somma irrisoria rispetto a quella generata dalla condivisione di tali contenuti. Le principali piattaforme di internet hanno additato tale articolo come liberticida nel momento in cui obbligherebbe le stesse a dotarsi di filtri preventivi la cui installazione comporterebbe un esborso economico considerevole e non da tutti sostenibile (si pensi a Wikipedia il cui sostentamento è legato prevalentemente alle donazioni degli utenti). Secondo tale disposizione dunque, i prestatori di servizi della società dell’informazione avrebbero dovuto essere considerati come responsabili delle violazioni del diritto d’autore sostanziate all’interno della propria piattaforma, salvo accordi in senso contrario.

Gli emendamenti agli articoli 11 e 13: compromesso tra diritto di remunerazione degli editori e libertà di espressione nel web

Il 12 settembre 2018, il Parlamento Europeo in seduta plenaria, ha approvato alcuni fondamentali emendamenti relativi ai due articoli più contestati. La riforma, a seguito degli emendamenti approvati, è caratterizzata da un'ottica di compromesso tra le istanze portate avanti dagli editori in reazione alla remunerazione delle loro opere e quelle dei colossi di internet aventi come obiettivo il persistere della libertà di espressione nel web.

L’articolo 11, relativo alla protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, recita emendato che gli stati membri riconoscono agli editori di giornali una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni da parte dei soggetti sopracitati. Oltre al riconoscimento di un equo compenso, si stabilisce ex novo che gli stati membri debbano provvedere a che gli autori ricevano una quota adeguata dei proventi supplementari percepiti dagli editori per l’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di tali servizi.

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Se dunque da un lato vengono rafforzati i diritti degli editori, dall’altro vengono accolte le istanze di tutela di libertà di espressione nel web. Con l’introduzione del comma 1-bis infatti, si stabilisce che i diritti di remunerazione stabiliti in precedenza non debbano essere applicati in relazione al caricamento online di contenuti per fini non commerciali. Questo nuovo comma pare dunque accogliere le rivendicazioni portate avanti in particolar modo da Wikipedia essendo la stessa gratuita e priva di pubblicità.

Altra modifica rilevante è legata all’introduzione del comma 2-bis il quale esclude sia la tassazione dei collegamenti ipertestuali, sia l’obbligo di retribuzione dei cosiddetti snippet (brevi ritagli di articoli che rimandano poi al link originario). Vengono escluse, poi, dall’ambito di applicazione dell’articolo 11 le startup e le piccole imprese ancora in fase di sviluppo per non gravare eccessivamente sulla crescita delle stesse. Sono fatti salvi infine contenuti a carattere satirico, critico o parodistico (mettendo così in salvo Meme e GIF).

Come anticipato in precedenza, altre fondamentali novità sono quelle legate all’articolo 13. È bene in primis evidenziare che il testo emendato non fa più riferimento ai prestatori di servizi della società dell’informazione quanto piuttosto a prestatori di servizi di condivisione di contenuti online che agiscono a fini commerciali. L’oggetto della norma però non cambia. L’obiettivo rimane quello di responsabilizzare i colossi del web per le violazioni del diritto d’autore realizzate all’interno delle loro piattaforme. Tale responsabilizzazione si traduce in un cambio di prospettiva in virtù del quale, a differenza di quanto avviene oggi, non dovranno più essere gli autori di contenuti protetti ad avanzare una richiesta di rimozione del contenuto, quanto piuttosto le piattaforme di condivisione a sottoscrivere accordi preventivi. Ciò dovrebbe garantire ai titolari dei diritti (quali musicisti, artisti, giornalisti) un maggior potere negoziale al fine della sottoscrizione degli accordi di licenza.

All’interno di quell’ottica di compromesso già evidenziata per l’articolo 11, pur ribadendo la necessità per i prestatori di servizi sopra menzionati di concludere accordi equi ed adeguati di licenza con i titolari dei diritti, al fine di disciplinare la responsabilità per le opere caricate dagli utenti di tali servizi, si stabilisce che la responsabilità delle piattaforme debba attenuarsi nel momento in cui queste tentino di ottenere una licenza o usino mezzi “secondo alti standard industriali” per eliminare il contenuto illecito. Come evidente dal testo della norma, manca qualsiasi esplicito riferimento alla necessità di impostare appositi filtri automatici. Nel momento in cui le grandi piattaforme web non siano in grado di trovare soluzioni innovative potranno, su base volontaria, adottare un sistema di filtri di caricamento. Il legislatore europeo pare dunque aver lasciato un certo grado di libertà circa gli strumenti da utilizzare per tutelare i titolari dei diritti.

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Per contrastare il problema relativo alla rimozione ingiustificata di contenuti caricati dagli utenti nelle piattaforme, viene prevista l’istituzione di meccanismi di reclamo e ricorso celeri nonché la possibilità per gli utenti di adire un organismo indipendente per la risoluzione delle controversie in alternativa all’autorità giudiziaria di norma competente.

La situazione ad oggi

Lo scorso 13 febbraio, Parlamento Europeo, Commissione UE e Consiglio hanno raggiunto un accordo per l’approvazione di un testo di compromesso così come emendato nel settembre scorso. Per le Istituzione UE la nuova direttiva non sarà fonte di alcuna censura. Introducendo infatti una maggior responsabilizzazione, essa permetterà agli aventi diritto di accrescere la propria forza contrattuale nei confronti delle grandi piattaforme di internet. Il tutto mantenendo intatta la libertà nel web che rimarrà tale fino a che il suo esercizio non limiterà i diritti degli altri o sarà illegale.

Il sì finale è atteso tra il 25 e il 28 marzo, quando il Parlamento Europeo si riunirà nuovamente in sessione plenaria. È lecito aspettarsi l’approvazione definitiva del testo anche in virtù dei tempi ristretti legati alla fine della corrente legislatura a maggio e delle conseguenti problematiche che potrebbero altrimenti sorgere in relazione ad un Parlamento Europeo caratterizzato da nuovi e diversi equilibri politici. Detto ciò, il tortuoso iter di approvazione di tale riforma, caratterizzato da forti pressioni esterne poste in essere dai giganti del web e dagli attivisti per un internet libero, rende lecito aspettarsi altri colpi di scena.

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