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a cura di Alessandro Crea

Nell'affaire Cambridge Analytica scende in campo anche Altroconsumo. L'associazione ha incontrato ieri a Bruxelles alcuni rappresentanti di Facebook, chiedendo anzitutto un rimborso per gli utenti i cui profili sono stati compromessi, non soltanto per quelli italiani, ma anche per quelli che l'associazione rappresenta in Spagna, Portogallo, Belgio e Brasile.

Altroconsumo ha inoltre chiesto l'impegno da parte di Facebook di rimborsare gli utenti anche nel caso in cui dalle indagini interne emerga che altre app abbiano avuto accesso ai dati sensibili. Infine è stato chiesto al social network di cambiare l'uso delle impostazioni, in modo da rendere gli utenti unici e veri proprietari dei propri dati, mettendoli in condizione di decidere consapevolmente cosa eventualmente condividere e con chi.

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Potrebbero sembrare richieste drastiche ma, da quanto riportato da Altroconsumo, i rappresentanti di Facebook si sono mostrati possibilisti: "Facebook ha mostrato attenzione per i diritti degli utenti e il rispetto del ruolo delle organizzazioni di consumatori", si legge nella nota ufficiale, aggiungendo che l'azienda si è impegnata a fornire una risposta a tutte le richieste entro due settimane. Nell'attesa Altroconsumo non ritirerà la diffida preliminare presentata contro Facebook, decidendo in base alle risposte di Facebook se fermarsi o continuare con quella che è la premessa per una class action.

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Intanto Cambridge Analytica ha deciso di passare al contrattacco, pubblicando la propria difesa in 10 punti. L'azienda anzitutto afferma di non aver rubato o sottratto nulla illegalmente. "Non abbiamo hackerato Facebook" si legge nella nota difensiva, "Abbiamo ricevuto i dati in licenza dalla società di ricerca GSR (General Science Research) che li ha ottenuti a sua volta legalmente tramite uno strumento fornito da Facebook", una pratica utilizzata da centinaia di aziende di dati, che hanno sempre utilizzato i dati di Facebook in modo simile. Ma è proprio questo il problema, la leggerezza con cui, fino ad ora, dati sensibili sono stati raccolti e venduti come una merce di scambio.

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La memoria difensiva dell'azienda continua poi sostenendo di non aver influenzato col proprio lavoro né le elezioni presidenziali statunitensi né il referendum britannico sulla Brexit. Ma anche qui Cambidge Analytica fa un autogol: "le affermazioni secondo cui abbiamo utilizzato i dati GSR per la campagna Trump sono semplicemente false. Cambridge Analytica ha fornito sondaggi, analisi dei dati e marketing digitale per la campagna di Trump. [...] abbiamo usato gli stessi modelli utilizzati per le campagne di Obama e Clinton". Il problema è proprio qui, non sta nell'essere riusciti o meno ad influenzare gli esiti elettorali (al momento non sembra ancora possibile), ma aver utilizzato i dati degli utenti per realizzare comunque campagne di comunicazione ad hoc.

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L'etichetta di normalità che si vuole apporre su certe pratiche è infatti il problema principale, al di là della loro reale efficacia. I problemi non sembrano finire mai e proprio mentre l'azienda pubblicava la sua difesa, è emerso che l'app sviluppata da Alexander Kogan non si sarebbe limitata a raccogliere i dati di circa 87 milioni di utenti ma "per un piccolo numero di essi" avrebbe anche dato un'occhiata ai post in bacheca e addirittura ai messaggi scambiati privatamente tra utenti tramite Messenger.

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Secondo Kogan, che ha parlato al Times, i messaggi sarebbero stati raccolti "forse per duemila utenti" e facevano parte di un altro progetto col quale Cambridge Analytica non aveva nulla a che fare, volto a comprendere il modo in cui gli utenti utilizzano le emoji per esprimere i propri sentimenti. Kogan dunque minimizza, ma resta comunque l'amaro in bocca: samo tutti cavie da laboratorio, da utilizzare per esperimenti e studi sociali. A nostra insaputa. 


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