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a cura di Alessandro Crea

Tempi travagliati per Facebook. Non fa in tempo a ripetere ai quattro venti le stesse spiegazioni su quanto successo nel presunto scandalo di Cambridge Analytica che ecco arrivare un'altra accusa pesante. Questa volta a lanciare il sasso è il New York Times, che sostanzialmente accusa il popolare social network di aver ceduto negli ultimi 10 anni i dati dei propri utenti e dei loro "amici", senza esplicito consenso, ad oltre 60 aziende del settore mobile, tra cui Apple, Amazon, BlackBerry, HTC, Samsung e Microsoft, al fine di conquistare il settore mobile.

Secondo il New York Times inoltre la maggior parte di questi accordi sarebbe ancora in vigore e avrebbe permesso a Facebook di estendere enormemente il proprio raggio d'azione, consentendo ai vari produttori di dispositivi mobili di offrire e diffondere ai propri utenti alcuni dei servizi più popolari che caratterizzano il colosso dei social media.

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Un'accusa pesante, perché violerebbe i termini di un decreto del 2011 della Federal Trade Comission sulla protezione dei dati personali. La risposta di Facebook comuqnue non si è fatta attendere, arrivando per bocca del vicepresidente Facebook Ime Archibong, secondo cui Facebook avrebbe fornito ai costruttori l'accesso ai dati degli utenti non come "merce di scambio" ma al solo scopo di portare il social network sui diversi smartphone esistenti, in un periodo in cui non c'erano i negozi di app.

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Si sarebbe trattato cioè di una mera esigenza tecnica al fine di sviluppare app sulle varie piattaforme, ma i dati sarebbero stati protetti dalla sottoscrizione di accordi precisi che impedivano l'uso di quegli stessi dati per scopi differenti. "Nei primi giorni del mobile non c'erano negozi di app, quindi aziende come Facebook, Google, Twitter e YouTube dovevano lavorare direttamente con i produttori di sistemi operativi e dispositivi per portare i loro prodotti nelle mani delle persone", ha ricordato Archibong. "Abbiamo creato una serie di API che hanno consentito alle aziende di portare Facebook sugli smartphone. Dato che queste API hanno consentito ad altre società di ricreare l'esperienza di Facebook, le abbiamo controllate in modo stretto sin dall'inizio. Questi partner hanno firmato accordi che impedivano l'utilizzo delle informazioni degli utenti per scopi diversi".

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Una ricostruzione che il New York Times ha rigettato immediatamente, sostenendo che dai propri test le cose stanno in modo molto diverso e che le aziende potevano accedere a diverse categorie di dati sensibili, sia degli utenti che dei loro contatti, senza alcuna esplicita autorizzazione. E la storia continua.