Fastweb per anni è sembrata l'avanguardia delle telecomunicazioni italiane; oggi scopriamo che i controlli interni sono sempre stati a livello di una portineria condominiale. Stefano Parisi, amministratore delegato (indagato) dell'azienda, ieri ha spiegato in conferenza stampa che di fronte a un'indagine che è partita nel 2007 hanno fatto ciò che potevano.
Stefano Parisi, AD di Fastweb
"Fastweb è una società che vende servizi e ha una reputazione da difendere. Non abbiamo commesso nessun reato anche perché da questo giro di denaro non abbiamo ricavato nulla se non la provvigione del 5% sul traffico telefonico che passava sulle nostre linee. Ma i 38 milioni di Iva non pagati allo Stato (gli altri 290 riguardano Telecom Italia Sparkle, ndr) sono invece stati da noi regolarmente versati alle società che poi sono finite nel mirino della magistratura", ha aggiunto Parisi.
Per il momento sono saltate due teste: due dipendenti "infedeli" (Bruno Zito e Giuseppe Crudele) che secondo la dirigenza hanno truffato l'azienda portando in casa i contratti incriminati. Coscienza a posto? Pare di sì, poiché "anche i sistemi di controllo più sofisticati non possono garantire sull'onestà di tutti".
Il commissariamento non preoccupa. "Non penso che ci potrebbero essere altre conseguenze. Diamo lavoro a tremilacinquecento persone e abbiamo circa un milione e 600mila clienti. Non si può spegnere un'azienda sana".
Oggi dovrebbe rientrare dal Sud America l'ex numero uno dell'azienda, Silvio Scaglia. Qualche altro tassello potrebbe andare a posto.