Google vota contro il World Wide Web Consortium: troppa privacy è un problema

Google ha di fatto messo il veto a una proposta del World Wide Web Consortium di potenziare la privacy degli utenti online.

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a cura di Dario D'Elia

Google ad agosto è stato l'unico membro del World Wide Web Consortium a votare contro una misura che avrebbe consentito di adottare standard comuni più rigidi per la protezione della privacy. La questione è emersa solo recentemente grazie a Bloomberg, che ha potuto consultare un sondaggio interno all'organizzazione.

In pratica gli aderenti al W3C, l'organizzazione non governativa internazionale fondata da Tim Berners-Lee nel 1994 e punto di riferimento per lo sviluppo del Web, durante l'estate avevano concordato che il Privacy Interest Group (PING) potesse guadagnare maggior peso con l'approvazione di una nuova carta. Ad esempio ottenere il potere di bloccare tutti i progetti responsabili di rischi per la privacy.

Google votando contro ha fatto scattare un veto e quindi sono partite le negoziazioni. Lo scoglio però è grande perché un'eventuale stretta alla privacy potrebbe danneggiare il modello di business dell'azienda in relazione alla gestione dei dati. Sebbene le indicazioni del W3C non siano vincolanti è prassi diffusa recepirle, anche perché le decisioni vengono sempre prese per consenso. E poi non bisogna dimenticare che la via autarchica potrebbe far emergere incompatibilità con gli strumenti Web più diffusi e fondamentali.

La questione di fondo è apparentemente ideologica. Google sostiene che la protezione dei dati degli utenti è una priorità, ma anche che gli annunci mirati basati quelle informazioni raccolte sono necessari per mantenere il Web libero e accessibile. Realtà come Apple e DuckDuckGo probabilmente la pensano in modo diverso, ma è evidente che più che una questione di privacy il tema è di business.

Insomma, Google vorrebbe un compromesso che tenesse conto delle sue esigenze. Il problema però è che alcuni membri vendono nelle sue ultime proposte poco equilibrio. "Stiamo chiamando questa mossa gaslighting della privacy, perché è un tentativo di convincere gli utenti e i responsabili politici che un'ovvia protezione della privacy, già adottata dai concorrenti di Google, non è in realtà una protezione della privacy", sostengono i ricercatori di Priceton Jonathan Mayer e Arvind Narayanan riferendosi al fatto che Google si rifiuta di voler bloccare i cookie.

*gaslightining: una forma di violenza psicologica "nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l'intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione".

Aggiornamento. Google fa sapere che: "Questa rappresentazione della nostra posizione è errata. Supportiamo con fermezza l'obiettivo di PING di creare principi di privacy applicabili per lo sviluppo del web. Come pure supportiamo W3C da molti anni e continueremo a impegnarci attivamente nello sviluppo di questi principi. Il PING sarà molto più efficace una volta che questi principi saranno stati stabiliti, fintanto che ciò non avverrà aspetteremo a supportarne la diffusione".