Hawking risponde a Wheeler: i buchi neri hanno i peli

Stephen Hawking scardina un altro caposaldo scientifico dei buchi neri: hanno i peli, ossia potrebbe esserci un modo per recuperare informazioni sugli oggetti che li hanno creati.

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a cura di Elena Re Garbagnati

I buchi neri hanno i peli. Detta così sembra una battuta che si presta a interpretazioni goliardiche, in realtà è una questione scientifica di grande rilievo che il celebre fisico Stephen Hawking ha sollevato con uno studio pubblicato sul sito open access arXiv.org.

L'espressione "i buchi neri non hanno peli" è stata coniata dal fisico di fama internazionale John Wheeler, che era particolarmente abile nel dare alle scoperte scientifiche dei nomi che le rappresentassero figurativamente nella maniera più chiara possibile.

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Ricordiamo per chiarezza che secondo la teoria della Relatività generale di Einstein, i buchi neri sono oggetti celesti estremamente densi che deformano lo spazio-tempo in modo così forte che luce, radiazioni o materia non possano sfuggire. Si reputa che i buchi neri si siano formati quando gigantesche stelle sono collassate su se stesse.

Quello che intendeva Wheeler con "peli" è qualsiasi cosa che potrebbe sporgere dal buco nero per rivelare i dettagli della stella che gli ha dato origine (cit. Buchi neri e salti temporali), e in particolare le linee del campo magnetico di una stella.

Semplificando al massimo, i fisici negli anni '60 cercavano di capire se un buco nero supermassiccio potesse far trapelare all'esterno delle informazioni per risalire al tipo di stella che l'aveva creato. La conclusione fu che quando una stella era prossima a raggiungere la sua circonferenza critica e si cominciava a formare un buco nero attorno ad essa, la sua gravità risucchiava le linee del campo magnetico fissandovele saldamente. La morale è che quando il buco nero si era formato le linee di campo si trovavano già all'interno del suo orizzonte, ossia non c'erano peli.

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Negli anni '70 Hawking scoprì che i buchi neri perdono di massa sotto forma di particelle quantistiche che sfuggono nel corso del tempo: un fenomeno noto come di Radiazione di Hawking. I fisici reputavano che la radiazione di Hawking non consentisse di recuperare informazioni sui corpi celesti che avevano dato origine al buco nero.

Una visione che non è esente da problemi, perché crea un paradosso: sulla scala quantistica le leggi della fisica sono completamente reversibili, il che significa che le informazioni che esistevano in passato dovrebbero essere teoricamente recuperabili.

Come molti lettori ricorderanno Hawking di recente ha sostenuto che l'informazione può uscire da un buco nero, e la sua nuova affermazione sui "peli" rientra in questo scenario.

Gli scienziati hanno scoperto che facendo cadere un fotone "soffice" ("soft" photon, una particella di luce che ha un'energia troppo debole per essere rilevata) in un buco nero quest'ultimo manterrebbe la stessa energia, ma un momento angolare diverso, che porterebbe alla fuoriuscita di una specie di 'fiocco di neve' con proprietà legate alla sua origine e alla sua storia. In sostanza si tratterebbe di una sorta di "disco rigido che può memorizzare essenzialmente una quantità infinita di informazioni sotto forma di fotoni a energia zero".

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Proprio questi fotoni soffici sarebbero i "peli" dei buchi neri. Perché questa teoria è importante? Perché i buchi neri potrebbero custodire informazioni importantissime sull'origine dell'Universo e riuscire a recuperarle sarebbe una svolta epocale in ambito scientifico.

Come precisa Aidan Chatwin-Davies, fisico del California Institute of Technology, questa teoria "non è una risposta definitiva al problema delle informazioni, ma sembra un passo nella giusta direzione. Se non altro, propone un nuovo modo di pensare che potrebbe rivelarsi molto utile per capire i buchi neri".

Se volete saperne di più sui buchi neri e conoscere curiosità e aneddoti sull'espressione coniata da Wheeler, leggete Buchi neri e salti temporali di Kip Thorne.

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