I fantasmi ora esistono davvero, e sono pronti a perseguitarci

La trasformazione digitale ha portato alla creazione di "deadbots", avatar chatbot basati sui dati dei defunti, sollevando importanti questioni etiche.

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a cura di Giulia Di Venere

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Internet ha trasformato il modo in cui viviamo, lavoriamo e, in un certo senso, come affrontiamo il lutto. La vera novità sta nell'emergere di ciò che gli esperti di etica dell'intelligenza artificiale (AI) definiscono una "infestazione digitale" causata dai "deadbots". Questi bot, creati dalle informazioni online lasciate da persone decedute, rappresentano una frontiera inesplorata che solleva non poche preoccupazioni etiche.

La capacità dell'intelligenza artificiale di creare avatar chatbot basati sui dati digitali dei defunti introduce un modo completamente nuovo per interagire con i ricordi. Aziende come Replika, HereAfter e Persona sono solo alcune tra quelle che stanno vagliando questa possibilità, offrendo esperienze che, seppur ammesse come simulazioni digitali, mettono in discussione la nostra concezione di presenza e assenza.

Di fronte a simili avanzamenti, emerge con forza la necessità di un dialogo aperto e di linee guida etiche ben definite per navigare un territorio tanto delicato quanto intricato.

L'industria della "vita dopo la morte digitale" trova terreno fertile anche in colossi tecnologici come Amazon, che ha dimostrato la capacità di Alexa di emulare la voce di persone decedute tramite brevi campioni audio. Un progresso tecnologico che, pur affascinante, solleva interrogativi sulla sua regolamentazione e sull'impatto psicologico.

Gli eticisti dell'AI, consapevoli delle potenziali complicazioni, hanno esplorato questi temi attraverso scenari costruiti su basi plausibili. Un recente studio condotto da Tomasz Hollanek e Katarzyna Nowaczyk-Basińska, colleghi al Leverhulme Center for the Future of Intelligence dell'Università di Cambridge, sottolinea l'urgente necessità di sviluppare regole chiare per gestire i diritti e le aspettative sia dei "donatori di dati", ovvero le persone a cui i programmi AI si ispirano, sia degli utenti finali, che si ritrovano a interagire con queste presenze digitali dei defunti. La priorità è garantire che l'impatto sociale e psicologico di queste tecnologie non aggravino il dolore di chi resta, ma offrano, invece, un sostegno nel processo di lutto.

La promessa dell'immortalità digitale pone interrogativi non solo tecnologici ma profondamente umani, richiamando l'attenzione sul bisogno di affrontare con sensibilità e prudenza le infinite possibilità offerte dall'intelligenza artificiale.