La Cina mette sotto chiave i metalli rari dell'hi-tech

Preoccupazione presso il WTO: la Cina nazionalizza sette miniere specializzate nell'estrazione di metalli rari. La produzione mondiale di dispositivi elettronici ne sarà fortemente condizionata. Pechino si nasconde dietro la protezione dell'ambiente.

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a cura di Dario D'Elia

La Cina si prepara a nazionalizzare almeno sette miniere specializzate nell'estrazione di metalli rari, fondamentali per la costruzione di dispositivi elettronici. Come abbiamo già anticipato a dicembre (Vuoi lo smartphone? Gli Stati Uniti tornano in miniera) il tema è quanto mai caldo: la Cina detiene una sorta di monopolio sul futuro produttivo del mondo hi-tech.

Miniere cinesi

Il Ministero cinese per la terra e le risorse ha sottolineato l'esigenza di una politica protezionistica: basta insomma con la "libera" esportazione di materiali così importanti. Ecco quindi la decisione di mettere sotto chiave le provincie di Nancheng e Jiangxi, anche per rispondere alla criminalità organizzata – che dell'estrazione illegale ha già fatto un ricco business.

La Cina secondo le stime detiene il 92% dell'estrazione mondiale di minerali rari, come ad esempio Cerio e Lantanio - chiave per la produzione di vetro e raffinazione del petrolio. Senza contare il 99% dell'estrazione mondiale di minerali pesanti, come il Disprosio - di vitale importanza per smartphone e lampade fluorescenti compatte.

"Le regole del WTO vietano le quote export e i dazi, e richiedono che i paesi consentano ai compratori stranieri le stesse condizioni di accesso fornite a quelli locali", sottolinea il New York Times. "Ma la Cina recentemente ha iniziato a sostenere che razionamento delle esportazioni e dazi sono un'esigenza per la protezione dell'ambiente, invocando eccezioni alle norme del WTO per la conservazione delle risorse naturali".

Una delle vie alternative sembra essere quella di puntare sulla ricerca: da rilevare infatti una recente scoperta di un team della Kyoto University che ha realizzato una lega di Palladio artificiale.

(Fonte: New York Times)